Un miraggio planetario nel deserto del Nevada

Solar System Model

Sembrano gridarlo ai quattro venti, renderlo palese con la forza dei propri semplici gesti: tutto quello che pensate di sapere sul Sistema Solare, non è proprio Sbagliato…Ma nemmeno utile a costruirvi un visione che risponda alla realtà. E la colpa, se vogliamo, è tutta degli illustratori che ci hanno portato, in anni ed anni di abbellimenti visuali, verso quel modello: la grande sfera fiammeggiante al centro. Una, due, tre, quattro palle dalle dimensioni molto minori, separate l’una dall’altra per lo spazio di qualche centimetro a dir tanto (Mercurio, Venere, Terra, Marte) ed altre quattro invece, dalle proporzioni medie, nonché vivacemente colorate: Giove, Saturno, Urano, Nettuno. Se conservate poi un ricordo del periodo antistante al 2006, a questo club ristretto si sarebbe aggiunto il “piccolo” Plutone, oggi declassificato a pianeta nano, poiché parte in realtà della lunga serie di oggetti rocciosi che formano la cintura asteroidale di Kuiper, analoga a quella interna della fascia principale. E persino lui così azzurrino (chissà poi perché) nel trionfo del paradossale, sarebbe stato lì, con l’ellisse del suo moto alla distanza media di 6 milioni di Km dal Sole circa, forse giusto un po’ di lato, su quel foglio. Messo, al massimo, lievemente in disparte. Il che non sarebbe stato un grandissimo problema, se almeno la rappresentazione convenzionale dell’intero meccanismo fosse in scala. Ma il fatto è che le vertiginose distanze che separano ciascuno di questi corpi, nella loro danza gravitazionale, è così estesa da sfuggire a degne rappresentazioni. Se volessimo raffigurare le distanze rilevanti, i pianeti dovrebbero essere puntini o al massimo cerchietti, e la pergamena usata per raffigurarli, srotolabile, fino alla lunghezza di diversi metri di assoluto nulla. Proprio per questo, le migliori rappresentazioni sono quelle digitali. Però talvolta, stanchi di guardare luci fittizie riprodotte dentro a un monitor, viene anche la voglia di dare una forma fisica a quanto descritto fino ad ora: il vero volto del Sistema. Più che altro perché, utilizzando un punto di osservazione inserito all’interno di un modello in scala, si potrà provare l’emozione di osservare ciascun elemento costituente, alla dimensione relativa che esso veramente avrebbe, nel corrispondente punto dello spazio interplanetario.
Ciò significa, come sapientemente dimostrato verso il termine del video di Wylie Overstreet ed Alex Gorosh, To Scale: The Solar System, che qualcuno potrebbe mettersi vicino a quella biglia che è nella finzione il pianeta Terra. Mentre il suo amico solleva in alto, con gesto teatrale, il mega pallone da spiaggia usato per il Sole. Mentre quest’ultimo, sapientemente manovrato, coprirà perfettamente il disco della nostra stella sopra l’orizzonte, nella perfetta riproposizione di un’eclisse fatta in casa, totalmente soggettiva quanto degna di essere narrata. Il concetto non è, in realtà, del tutto nuovo. Di modelli accuratamente proporzionati del nostro vicinato cosmico ne esistono dozzine: nei musei statunitensi, presso le istituzioni di studio e ricerca. Ad Elrlenbach sul Main, nel land della Baviera, ce n’è uno in scala 1:1.000.000.000, con sfere di metallo poste sopra grandi piedistalli. Il Sole, naturalmente, è dorato. L’università del Colorado vanta un progetto che si estende per l’intero campus, dal planetario di Fiske fino al termine del viale Regent Drive. Qualche volta, tali creazioni diventano dei veri monumenti, con ciascuna sfera montata in alto sulla strada, dislocata lungo uno spazio tra una città e l’altra, come fatto nell’esemplare vantato dallo stato del Maine, che misura complessivamente ben 64 Km e mezzo, dalla comunità di Presque Isle ad Houlton, sul confine con il Canada. Mentre il più imponente di simili costrutti si trova in Svezia, lungo diverse città presso la costa del Mar Baltico. Il Sole, qui, è rappresentato dallo stadio ad emicupola dell’Ericsson Globe, il più grande edificio del suo tipo, mentre i diversi pianeti sono attraenti opere commissionate ad artisti di fama, ciascuna nell’esatta scala di 1:20.000.000. Pensate, per iniziare a rendervi conto delle distanze relative, che i quattro pianeti del Sistema interno sono tutti a Stoccolma, mentre gli altri si trovano ad Uppsala (73 Km dal Globe) Gävle (143 Km) Söderhamn (229 Km) e così via. Per rispettare le dimensioni relative, quindi, la terra misura 65 cm di diametro, mentre Plutone appena 12. Il modello da due metri e mezzo di Urano, per motivi forse dovuti al doppio senso del suo nome, è stato più volte vandalizzato.
Ma il fatto è che qualsiasi ricostruzione di questo tipo, per sua inerente necessità, deve sempre fare i conti con le distrazioni dell’ambiente circostante: strade, lampioni, edifici… Mentre nell’idea di questi due autori, si è cercato di fare un qualcosa di totalmente diverso: il più piccolo modello che fosse anche osservabile da lontano, collocato in uno dei luoghi maggiormente affini al vuoto cosmico che abbiamo sulla Terra: il vecchio bacino endoreico (ex-lacustre) del deserto Black Rock, a decine e centinaia di chilometri dal più vicino centro abitato.

I meriti del risultato sono semplici da ammirare: nel corso degli appena 7 minuti che prende il loro video, i due registi ci invitano a conoscere brevemente i loro aiutanti, prima di mettersi all’opera con le prime luci dell’alba. Ci viene fatto capire come, per ovvie ragioni di sopravvivenza in tali lidi assai remoti, il tempo a disposizione per completare il progetto sia sostanzialmente limitato, e quindi occorra mettersi all’opera di buona lena. Ciascuna biglia usata per i pianeti interni, misurante anche meno di un centimetro, viene montata sopra dei lunghi bastoni, affinché non vada persa nelle sabbie o il vento del deserto. Le orbite vengono tracciate tramite una dei fuoristrada del gruppo, poi attentamente misurate e contrassegnate. Con il sopraggiungere del tramonto, quindi, ci viene mostrata l’arma segreta dell’intero progetto: ciascuna sferetta usata per un pianeta è in grado di illuminarsi, creando la perfetta illusione di trovarsi lì, sospesi nel grande vuoto che separa un tale spazio senza fine. In un time-lapse apparentemente del tutto fittizio, quindi, ci vengono mostrati dei raggi di luce dal moto circolare, rappresentanti il movimento dei diversi astri lungo i loro assi di rotazione. E benché venga inclusa anche qualche ripresa aerea effettuata mediante drone, al termine si resta con un vago senso d’insoddisfazione. Perché di sicuro, una volta costruito un tale modello sostanzialmente diverso da ogni altro prima d’ora, sarebbe stato bello effettuare una più vasta serie d’esperimenti e inquadrature, simulare, ad esempio, il moto di diverse ipotetiche missioni interplanetarie. Ma forse ciò è voluto, trattandosi sostanzialmente della prima puntata di quella che dovrebbe diventare una serie. Simili progetti fondati sul fascino dello spazio, del resto, hanno sempre avuto il merito di stimolare l’immaginazione:

Wanderers Wernquist
Viaggi al confine della cognizione umana. La sete di scoprire cose nuove non conosce sazietà.

Questo, per comparazione, è WANDERERS, un celebre video in Computer Graphic di Erik Wernquist, un autore che forse conoscerete per la sua opera più famosa, il video della rana pazza sopra il motorino invisibile, pubblicità di quella vecchia suoneria per cellulare che faceva: piii-pii-pipi-piii-piii[…] Che dimostra, in questa particolare creazione, doti visionarie che forse già s’intuivano nel bizzarro scenario distopico del buffo inseguimento citato, benché qui messe al servizio di una sequenza dalle implicazioni filosofiche decisamente più profonde. Il creativo ha infatti avuto l’idea, o per meglio dire la fantastica intuizione, di abbinare un celebre discorso dello scienziato e divulgatore americano Carl Sagan (1934 – 1996) a diversi scenari di un’ipotetico futuro d’esplorazione interplanetaria, da lui personalmente concepito sulla base di quanto descritto da almeno due grandi autori di fantascienza: Arthur C. Clarke (Odissea nello Spazio) e Kim Stanley Robinson (“2312”). La sequenza è un catalogo ricco di spunti visionari, spesso creati a partire da un semplice fotoritocco: si apre con l’immagine famosa, ripresa dalla stazione ISS, dell’alba sull’Oceano Pacifico, qui connotata da alcune piccole astronavi in placida osservazione. Quindi ci viene mostrato, dalla finestra di una qualche improbabile stazione orbitante, il panorama della grande Macchia Rossa di Giove, l’enorme tempesta grande tre volte il nostro pianeta. Poi si passa a Marte, che ci accoglie a bordo di un pratico ascensore orbitale, sospeso sopra gli altipiani della Terra Cimmeria, ricostruiti a partire da un’immagine composita creata dalla Nasa. È interessante notare, a questo punto, come nella galleria dedicata a questo video sul sito dell’autore siano presenti eloquenti descrizioni di ciascuno scenario, con tanto di fonti citate con prassi estremamente precisa ed accademica. La sua visione può quindi diventare, con un minimo di approfondimento, una vera e propria finestra sulle meraviglie che circondano la nostra Terra, relativamente vicine, eppure così tremendamente irraggiungibili…Cose come gli anelli di Saturno visti da vicino, oppure la titanica catena montuosa che divide a metà Giapeto, la terza luna di Saturno, qui raffigurata con l’aggiunta speculativa di grandi cupole costruite dall’uomo, ciascuna ospitante un’intera città. Non manca quindi la visita ad colonia dentro a un asteroide non meglio definito, che trae la sua gravità dalla rotazione sull’asse centrale (una diretta citazione, questa, del romanzo Incontro con Rama di Clarke). Per finire con un altro panorama di Giove, stavolta visto dalla luna glaciale Europa, e un tuffo dal dirupo più alto di Miranda, luna di Urano, lungo ben 5 Km fino alla valle sottostante, dove stando all’autore potremmo semplicemente usare una coppia di “stivali a razzo” per frenare la nostra caduta, alla risibile gravità di 0,018 g. Si, d’accordo: ciò non significa che abbia tutta questa voglia di provarci.
Il video, corroborato dalle parole del famoso discorso di Sagan sul “pallido puntino azzurro” ovvero la foto della che ci ha scattato la sonda Voyager 1 da sei miliardi di Km di distanza, nel 1990, diventa un veicolo dell’ottimismo per un futuro migliore, in cui l’intera razza umana, superate le proprie differenze e l’odio reciproco, riuscisse finalmente a proiettarsi verso quei vasti spazi che gli apparterrebbero per nascita, veicolata innanzi grazie all’uso della tecnologia futura. E di certo le ultime pubblicazioni nel settore, come le vivide foto di Plutone che continuano ad arrivare in questi giorni dalla sonda New Horizons, lasciano ben sperare. A proposito, sapete dove si sarebbe dovuto trovare il pianeta nano in questione nel modello in scala dei giovani Overstreet e Gorosh? Ad 83 Km di distanza dalla palla che rappresentava il Sole. Ecco, questa è la distanza che riusciamo a raggiungere lanciando i nostri sassi, che rimbalzano, sopra le remote pieghe dello spazio-tempo. Tutto quello che ci resta da fare è seguirli.

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