Nuovo record: 144 Km/h nell’uovo a pedali

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Neanche l’ombra di un finestrino. Il proiettile bianco trionfa di nuovo a Battle Mountain, Nevada: molti sono i soprannomi che potremmo riuscire a dargli. La ghianda, la capsula, la supposta. Ma per comprendere realmente la più pura essenza di Eta, che ha permesso al suo team Aerovelo di superare ampiamente la concorrenza internazionale, occorrerebbe rimuovere la sua intera parte superiore, per scrutare all’interno e vedere… Todd Reichert, PhD canadese in ingegneria aerospaziale dalle doti ciclistiche tutt’altro che indifferenti, intento ad esprimersi attraverso lo strumento dei pedali, in posizione reclinata, alla velocità del fulmine e del tuono. Pilota, ed al tempo stesso motore, dell’oggetto che potremmo definire il primo dei primi rappresentanti veicolari del nostro futuro.
Un mondo in cui l’unico modo per spostarsi da un luogo all’altro è bruciare del carburante, o in alternativa impiegare energia elettrica derivata, nella maggior parte dei casi, dall’aver bruciato del carburante (migliore) altrove. È davvero questo il mondo che vogliamo lasciare in eredità ai nostri discendenti? Possibile che niente possa essere fatto per l’inquinamento, i problemi ambientali e di salute, lo stress ed il costo che derivano da una delle invenzioni che più hanno influenzato gli ultimi secoli, ovvero il veicolo a motore? Perché è questo, che siamo, fondamentalmente: cicale lanciate a velocità supersonica verso il profondo baratro dell’autodistruzione. Esseri viventi che hanno costruito, o che per meglio dire lasciato che nascesse in mancanza di appropriati accorgimenti, un contesto in cui non è soltanto “normale” ma persino considerato indispensabile e necessario, che ogni giorno si salga a bordo di un mezzo in grado di contenere fino a cinque persone, e lo si usi in solitudine per raggiungere il luogo delle nostre tribolazioni lavorative. Certo, esistono le eccezioni. Persone così fortunate (nessuno esiterebbe a definirle tali) che non hanno bisogno di coprire alcuna distanza che sia superiore a quella percorribile mediante l’impiego della sola energia muscolare. E poi, ovviamente, esistono i mezzi pubblici. Ma in ultima analisi, in un domani in cui tutti, fino all’ultima persona, dovessero salire sugli stessi autobus, tram e metropolitane che sono già in nostro possesso, diventerebbe necessario vararne una quantità tripla o doppia, riportandoci a una versione più moderata dello stesso problema. No, l’unica speranza è questa: pedalare, lavorare, pedalare. Come succede, notoriamente, in Olanda. Eppure resta il fatto è che al di fuori di un simile paradiso delle trasmissioni a catena, occorre fare i conti con gli effettivi limiti funzionali associabili al concetto stesso di bicicletta. Totale esposizione agli elementi. Una sicurezza stradale tutt’altro che eccelsa. Soprattutto, prestazioni che realisticamente limitano di molto le distanze copribili in un tempo che possa ragionevolmente far fronte alle esigenze quotidiane. Ed è proprio per far fronte a queste tre esigenze, unite a quelle comparativamente simili di cielo (gasp!) e di mare, che nacque in California nel 1980 la IHPVA: International Human Powered Vehicle Association, finalizzata al raggiungimento delle massime vette dei sistemi di trasporto del tutto privi di un motore. Attraverso uno strumento, tra gli altri, che ha sempre portato alle migliori soluzioni dei più complessi problemi: la sana competizione; il che ci porta, nello specifico, all’annuale gara recentemente conclusosi della World Human Powered Speed Challenge (in breve, WHPSC), dove lo scorso 19 settembre, alla presenza dei giudici di gara, quest’uovo fantastico ha superato di 4,8 Km/h il precedente detentore del record di velocità mondiale, varcando con fragore apocalittico la soglia superiore della classifica, in un campo in cui normalmente si lavora su guadagni di neanche mezzo Km/h l’anno. E la ragione di un simile successo, oltre alla forza fisica del conducente, va ricercato nei meriti dei costruttori…

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La Pulsar italiana presenta un design soltanto lievemente meno estremo di quello dell’uovo canadese, una scelta progettuale che si riflette nell’ottimo risultato conseguito alla fine delle giornate di gara. Questo video, risalente all’anno scorso e che mostra una versione precedente del mezzo, resta ad oggi il più completo ed affascinante sulla creatura della prestigiosa università torinese.

Alla gara di quest’anno della IHPVA, come del resto in quella precedente, era presente anche il team italiano Policumbent, il cui nome fa riferimento per la prima metà al Politecnico di Torino, per la seconda alle biciclette con posizione di guida reclinata, dette per l’appunto recumbent. Proprio questo è l’approccio considerato standard nel settore dei veicoli a energia umana più veloci del mondo, poiché consente di garantire una minore resistenza all’aria, e consente soluzioni meccaniche più compatte. E sia chiaro che la nostra bicicletta, denominata Pulsar e condotta dal pilota Andrea Gallo, pur non raggiungendo la velocità estrema della Eta si è classificata in modo estremamente rispettabile, raggiungendo i comunque impressionanti 126 Km/h, superando le prestazioni precedenti e stabilendo un nuovo record italiano. In comune, i due veicoli avevano diversi aspetti. Innanzitutto il rapporto delle marce estremamente elevato, che dovendo adattarsi unicamente al pianeggiante tragitto della strada di Battle Mountain in cui vengono effettuate le misurazioni, arriva a garantire fino a quattro giri delle piccole e leggere ruote per ogni singola spinta sui pedali. La forma dell’abitacolo, simile alla carlinga di un aereo, garantisce inoltre il crearsi di un flusso laminare d’aria, tanto sottile ed ininterrotto che è bastato quest’anno, in almeno un caso, che un insetto finisse schiacciato sulla carrozzeria della eta per vanificare gli sforzi di uno dei primi tentativi di fare registrare il record. Proprio per agevolare tale aspetto, nelle bici pensate per la WHPSC sono presenti generalmente delle aperture per vedere fuori molto ridotte, o come nel caso del mezzo della Aerovelo, proprio nessuna, facendo affidamento piuttosto su un sistema con mini-telecamera incorporata nella parte superiore dell’abitacolo.
Come nelle automobili della Formula 1, tutto all’interno di queste biciclette è stato creato su misura, testato nelle condizioni specifiche ed adibito all’esigenza della vittoria. Ciascun veicolo è modellato sull’effettiva fisicità del conducente, al punto che, come narrato dal video dimostrativo della Eta, le ginocchia sfiorano l’involucro del guscio, le caviglie la trasmissione, e le braccia sono come bloccate all’interno di scanalature appena sufficienti per loro. L’idea di dare il massimo di se dal punto di vista fisico all’interno di una capsula tanto stretta e chiusa, sotto il sole ancora battente dello stato del Nevada, è ovviamente un proposito decisamente impegnativo per i polmoni dei piloti di queste bici. Non per niente, il team canadese ha previsto per quest’anno un impianto di aria condizionata nel proprio veicolo, probabilmente tra gli aspetti che si sono dimostrati più utili nell’incrementare la prestazione fisica di Todd. Oltre all’impiego quasi esclusivo della fibra di carbonio, una soluzione costruttiva che si è dimostrata in grado di garantire un peso a vuoto di appena 25 Kg.

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L’Atlas, un elicottero a energia umana costruito senza compromessi e più grande di molti aerei di linea, è stato concepito per tradurre ogni pedalata nel moto regolare dei suoi giganteschi rotori, riuscendo a sollevarsi da terra senza (ehm, quasi!) nessuna fatica.

Todd Reichert, assieme al cofondatore della Aerovelo Cameron Robertson, è del resto un vero veterano nel campo dello sfruttamento veicolare dell’energia umana. Celebre resta ad esempio il loro elicottero Atlas, concepito appositamente per vincere la celebre competizione istituita negli anni ’80 dall’industriale del settore Igor I. Sikorsky, consistente nel raggiungimento con la proprie sole forze di un altezza di almeno 3 metri, successivamente mantenuta per un periodo di 60 secondi. Impresa che gli riuscì di compiere, il 13 giugno del 2013, guadagnandosi il premio di 250.000 dollari che avrebbe costituito la base solida dei loro successivi traguardi.
Ma la strada verso lo stabilimento di un nuovo record mondiale non è mai priva d’imprevisti, e nell’ultima iterazione della bicicletta Eta, il team di Aerovelo ha dovuto far fronte diversi imprevisti, tra cui l’effetto wobble (amplificazione eccessiva ed apparentemente immotivata delle asperità del terreno) sviluppato dal mezzo soltanto nel primo giorno di gare a Battle Mountain. Un problema risolto, a quanto ci raccontano, dalla rapida inclusione di un sistema gommato di smorzamento dello sterzo, che ha tuttavia reso ancora più complessa l’operazione di lancio dal punto di vista del pilota. Dico, ve l’immaginate? Tenersi in equilibrio senza poter guardare fuori, ne mettere a terra i piedi. Coordinandosi in modo quasi psichico con chi si trova fuori. Un ultima analisi, tutta la preparazione tecnica e teorica del mondo, l’opera di un intero anno di lavoro, può essere vanificata nell’errore di una singola frazione di secondo. Questa è la natura dello sport e tale resta, in determinate condizioni, anche quella del progresso della tecnologia. Eppure, la ricompensa futura è semplicemente TROPPO allettante: un domani in cui sarebbe possibile, ipoteticamente, spostarsi su tragitti medio-lunghi ottenendo prestazioni comparabili a quelle di una piccola automobile, senza impiegare null’altro che le nostre stesse calorie giornaliere. La perfetta soluzione non soltanto del problema dell’inquinamento, ma anche di molte afflizioni fisiche derivanti dal problematico stile di vita moderno. Può sembrare facile esclamare, in ultima analisi: “Quell’uovo che corre a 144 Km/h? Un mero esercizio di stile.” Ma sarebbe un grande, grandissimo errore.

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