Uomo parla con lo spazio usando il baracchino da radioamatore

“Qui Delta Zero Alpha Kilo X-ray. Qui Larry dal Minnesota, piacere di parlare con voi. Voi portare i miei saluti alla Stazione Spaziale Internazionale”. 92 minuti per compiere un giro completo della Terra, a una velocità media di 7,66 Km al secondo. Mentre si svolge, nella più totale parvenza di normalità, lo specifico ventaglio delle possibili attività umane: dormire, mangiare, risolvere questioni… Parlare: e quando la propria esistenza è diventata quella del proiettile ipotetico di tanti esperimenti concettuali, lanciato oltre la curva dell’orizzonte che continuerà in eterno (si fa per dire) a ricadere oltre i limiti del mondo, potrete facilmente immaginarlo, sono molte le domande che la gente vorrà porvi, con le più diverse ragioni e presupposti chiarificatori. Persone come gli addetti alla cabina di regia, il cosiddetto “controllo di missione” interconnesso con un filo diretto costruito dalla connessione dati di almeno due satelliti in ogni dato momento, il russo Luch-5A e l’americano TDRSS (Tracking and Data Relay) coadiuvati ad ogni modo da una lunga serie di antenne per le onde corte, operative sulle bande VHF, UHF ed L. Il che significa, in altri termini, che se tutti i sistemi più avanzati dovessero fallire, gli astronauti nell’ISS potrebbero cionondimeno contattare il suolo utilizzando uno strumento familiare a molti, ovvero il cosiddetto baracchino o radio CB, indistinguibile nel suo funzionamento dal sistema in uso ad opera del camionista medio. Ma poiché ogni sistema d’interrelazione tra persone deve necessariamente funzionare in entrambi i sensi, non c’è alcunché di sorprendente nel pensare che chiunque, in ogni dato momento, possa estendere la propria telepresenza aurale fino ai 400-420 Km a cui si trova un simile salotto della scienza, con la più diversa serie di obiettivi o più o meno edificanti, come nel caso specifico quello di dimostrare, al popolo di Internet, una stretta relazione tra due mondi tecnologici, il primo considerato dal senso comune come il massimo del futuribile, il remoto e l’irraggiungibile, il secondo quanto di più semplice sotto diversi punti di vista accessibile di tutti gli hobby cominciati tramite una visita da Radio Shack.
Fin troppo pochi sanno, o ancora ricordano infatti, la maniera in cui l’esplorazione orbitale sia sempre stata interconnessa strettamente con l’acquisizione di un filo comunicativo a diretta disposizione di chiunque, con il lancio il 12 dicembre 1961, soltanto quattro anni dopo lo Sputnik russo, del primo satellite per la radio amatoriale Oscar 1, carico secondario in aggiunta al dispositivo di ricognizione statunitense Discoverer 36. Destinato a rimanere fin lassù soltanto 22 giorni, sufficienti tuttavia a coinvolgere oltre 570 operatori radio da 28 paesi differenti ed aprendo la strada a una lunga serie di successori, incluso il sovietico Iskra del 1982 ed il giapponese Fuji OSCAR 12 del 1986. Strumenti in grado di rispondere, a seconda dei casi, alle esigenze di ripetitori, transponder, apparati d’immagazzinamento e rinvio dei dati… Niente a che vedere, tuttavia, con lo straordinario potenziale di una vera e propria stazione come la ISS, i cui compiti coinvolgono, naturalmente, questioni d’importanza ben maggiore. Ragion per cui l’attività radioamatoriale viene convenzionalmente svolta da alcuni astronauti durante le ore libere successive al pranzo e alla cena, con il semplice obiettivo di offrire un qualche tipo di finestra addizionale, a massimo vantaggio di tutti coloro che hanno l’intenzione di sporgersi all’interno ed allargare la propria mente, verso nuove regioni della conoscenza e il “Chi l’avrebbe mai detto!”

Occasionalmente raggiungibile con il codice d’identificazione NA1SS, la stazione Ham radio della ISS viene affidata periodicamente a un’astronauta differente, con il compito autogestito di “salutar la gente” e raccontare loro, per quanto possibile e in base alle domande, gli aneddoti più interessanti del suo incredibile lavoro.

Tutto ciò possiede d’altra parte anche un nome in lingua inglese e relativo acronimo nel tipico stile americano: Amateur Radio on International Space Station (ARISS), il gruppo informale di lavoro nato nel 1983, quando durante una missione dello Space Shuttle (l’ISS viene lanciata soltanto alla fine del 1998) l’americano Owen Garriot propone di portare un baracchino a bordo dell’Orbiter Columbia, segnalando la propria presenza sulle onde cariche di aspettativa mediante l’impiego del codice di riferimento W5LFL. Un’attività condotta quasi per svago, capace tuttavia di garantire lo straordinario successo di 300 contatti, dimostrandosi un’importante strumento per la divulgazione scientifica e le pubbliche relazioni, da sempre aspetti particolarmente curati a più livelli dalla NASA nel suo complesso. Ragion per cui successivamente all’invio in orbita di un’installazione semi-permanente come la stazione spaziale, venne deciso di trasformare tale opportunità nell’occasione ricorrente dei cosiddetti School Contacts, eventi durante i quali a specifici istituti d’istruzione, selezionati sulla base dei propri meriti accademici, è permesso di trascorrere preziosi minuti conversando con coloro che si trovano lassù, al fine di rivolgergli domande dalla natura più diversa. Il che del resto è meno inutile di quanto si potrebbe tendere a pensare, offrendo il valore innegabile di nuove prospettive, tanto spesso prive di pregiudizi, su cosa possa significare trascorrere una parte della propria vita fuori dagli spazi definiti dalla nostra permeabile atmosfera.
Il che rientra, d’altra parte, in quello che è il significato più profondo e imprescindibile dell’ISS, un prodotto di concerto di nazioni differenti che potremmo definire il più importante coronamento del secolo scorso, come negazione assoluta delle lunghe decadi di guerra appena trascorse, ove ogni proposito di segretezza e inaccessibilità cessava finalmente di sussistere, verso l’acquisizione di uno stato d’interscambio e confronto pressoché totale; come prova ulteriore di questo, ad esempio, basti considerare l’installazione nel 2017 delle due antenne per il modulo Columbus gestito dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) fornite dal Politecnico di Bratislava mediante la partecipazione del Ministero Polacco della Scienza e dello Sviluppo, oltre al finanziamento di numerose entità private. E riuscite a immaginarvi, a un simile proposito, iniziative su tali diversi livelli condotte lungo la lunga e travagliata epoca della guerra fredda, quando ogni dotazione spaziale restava coperta dal segreto scientifico per lunghi e interminabili anni? Eppure sfortunatamente ancora adesso, nonostante l’assoluta potenzialità inerente, l’ISS non viene presa ad esempio per il raggiungimento di uno stato di comunione e l’interscambio e d’intenti globale. Laddove ipoteticamente, la collaborazione quotidiana di un personale addestrato ed attrezzato nei paesi più diversi doveva, inizialmente, corrispondere alla pacificazione più assoluta dei governi coinvolti. Un obiettivo che, ricetrasmittente alla mano, almeno QUALCUNO sta tuttora industriandosi nel tentativo di portare a compimento.

Il satellite OSCAR 1 e i suoi più immediati successori, spesso costruiti con componenti facilmente reperibili nei negozi di settore, erano caratterizzati da un aspetto semplice, assai lontano dalla raffinatezza progettuale normalmente associata ai dispositivi per uso spaziale.

“Vi sto contattando con un’antenna verticale, per cui sarò necessariamente rapido. Un saluto dalla gente del Minnesota, i nostri pensieri sono con voi!” Conclude quindi il titolare del canale RadioHamGuy, ottenendo un rapido ancorché sorpreso complimento per l’ottima attrezzatura da parte di Serena Aunon, astronauta in quel momento di stanza all’ufficio preposto dietro lo scudo antimeteoritico più veloce al mondo. Costituito, per la cronaca, da una radio Yaesu FTM-400 con antenna Diamond x-510 posta a “soli” 15 metri d’altezza, dimostrando inerentemente la sorprendente semplicità con cui chiunque, in qualsiasi momento, potrebbe decidere di mettersi a far lo stesso. Perché lo spazio, contrariamente agli abissi dell’oceano o le viscere della terra, può essere definito idealmente molto più “vicino” di quanto si potrebbe tendere a pensare. Tutto quello che serve per raggiungerlo è uno strumento, o veicolo adeguato. E quando si considera il fondamentale ruolo della voce e del linguaggio nell’intercomunicazione tra individui, non è poi così assurdo pensare all’importanza di una simile esperienza: esserci, soltanto per un attimo, costituire l’ancora di tali donne e uomini, portati grazie ad una storia personale d’eccezione ad essere i pionieri di noi tutti, verso un oggi carico di aspettativa e le ragioni possibili dell’indomani.
Mantenuta in funzione nonostante contrattempi, malfunzionamenti e piccole crisi internazionali di competenze, la stazione spaziale continua nonostante tutto a svolgere il lavoro per cui era stata progettata. Con molti moduli che hanno da tempo superato il tempo operativo per cui erano stati originariamente concepiti eppure, nonostante tutto, un tempo di missione allo stato attuale esteso fino al remoto 2030. E chissà quante parole, ancora, potranno essere scambiate dalla gente interessata, sull’onda incessante di una serie di vecchie apparecchiature analogiche, nondimeno valide a perseguir nobili scopi…

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