L’incrollabile utilità dei serpeggianti muri d’Inghilterra

La signora Evans uscì dal pub di Church Lane a Lymington come una furia, con l’evidente intenzione di ricevere soddisfazione: “Cosa vi è passato per la mente? Non è così che si fa un lavoro!” Per fortuna, aveva fatto in tempo. Il muro costruito attorno alla vecchia casa dai giovani soldati non aveva ancora compiuto un quarto di giro e probabilmente, sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. “Signora…” Esordì con evidente accento tedesco il sergente Hofmann, con l’uniforme in disordine ma l’alto cappello hannoveriano perfettamente posizionato sulla testa: “…Non capisco esattamente quale sia il problema. Qui è stata costruita l’opera pubblica con le più moderne soluzioni tecnologiche, secondo i criteri operativi del nostro reggimento, impiegate durante la guerra contro l’Immondo della Corsica, Little Boney. Nel 1810 A Bexhill-on-Sea, questo tipo di fortificazioni ha più volte ricevuto l’elogio del sindaco e del quartiermastro per la sua capacità di rompere le righe del nemico!” Con un’espressione particolarmente corrucciata, la donna mise le mani sulla grande gonna, fissando il lavoro: la barriera architettonica in questione, costruita per nascondere il giardino privato e potenzialmente accrescere l’accumulo di calore al fine di migliorare la condizione del frutteto, pareva un disegno infantile delle onde del Tamigi. “Beh qui nello Hampshire, non si è mai visto niente di simile. Esigo che una soluzione tanto antiestetica venga rifatta e questa volta in modo DI-RIT-TO, oppure ne vedrete delle belle, miei cari!” L’uomo della Legione tedesca del Re, emigrato in Inghilterra con il resto della sua famiglia ormai quasi 15 anni prima alla dissoluzione dell’Elettorato indicò a questo punto i mattoni disponibili nel cumulo a lato della strada, sollevando evidentemente il sopracciglio destro: “Allora, mylady, dovrà dirci lei come dovremmo riuscire a farlo. Perché come noterà ben presto, mancano semplicemente i mattoni.” Ed a quel punto, con tono calmo e misurato, iniziò a spiegare.
Crinkle crancle, crinkum crankum oppure in modo ancor più semplice e descrittivo, “il nastro”. Un visione relativamente comune nell’Anglia Orientale fin dalla bonifica delle paludi dei Fens, effettuata nel 1630 da esperti ingegneri olandesi, che erano soliti chiamarli piuttosto slangenmuur ovvero l’unione delle due parole “parete serpentina”. Un’approccio relativamente complesso ad un problema semplice, finalizzata a risolvere una delle più antiche esigenze dell’uomo: delimitare o racchiudere gli spazi. Perché un muro come questo, benché sembri avere funzioni di natura prevalentemente estetica (e più o meno discutibile) risulta nei fatti un contributo matematico notevole all’economia d’impiego dei materiali, in maniera probabilmente contraria a quanto saremmo, naturalmente, inclini a pensare. Poiché se pure è vero che una linea curva, per sua implicita natura, utilizza una quantità maggiore d’inchiostro rispetto alla suddivisione del foglio tracciata con la squadra, la questione cambia radicalmente nel momento in cui spostiamo la nostra attenzione nel mondo tridimensionale, iniziando a parlare di un’effettiva creazione immanente. Un muro convenzionale, infatti, necessità di un basamento sufficientemente largo o un ragionevole numero di contrafforti, per poter resistere alla forza del vento o le spinte accidentali dei passanti. Laddove la forza dell’arco, anche quando rivolta in direzione orizzontale, non può essere sopravvalutata da chicchessia…

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La naturale casa della musica sorta sulle rive del fiume Songhua

Esiste una Cina situata oltre i confini dell’orizzonte, una Cina remota e inesplorata dalla maggior parte dei visitatori turistici internazionali. Là, dove la latitudine supera i confini ragionevoli e a poca distanza dal confine con l’estremità estremo orientale della gigantesca Russia. L’area da cui, secondo i calcoli meteorologi, proviene spesso il vento gelido capace di coprire con la neve i territori di Giappone e Corea del Nord, che qui placidamente soggiace, ricoprendo ogni struttura di una lieve patina di candore. Edifici come la Cattedrale di Santa Sofia, chiesa ortodossa costruita all’epoca della Trans-Siberiana, o la Grande Casa di Pietra in stile occidentale, sede delle ferrovie cinesi, distrutta e ricostruita due volte nel 1904 e il 1906, con totale indifferenza dei lavoratori al clima invernale capace di scendere frequentemente sotto i -20 gradi Celsius. Poiché non scherzano di certo, gli oltre 10 milioni di abitanti di questo luogo, nella loro interpretazione severa del Feng Shui, scienza geometrica non solo dei percorsi energetici attraverso e dentro i luoghi oggetto della nostra urbana esistenza, bensì fondamento stesso di un punto d’accordo comune tra cosa sia accettabile, bello, desiderabile e gli esatti opposti. Fu anche perciò decisamente arduo, per l’architetto fondatore dello studio MAD Ma Yansong, effettuare una proposta valida per il concorso del 2011 relativo all’Isola Culturale, una nuova rinnovata zona dedicata a tutte le arti da costruire nella parte nord della città, non troppo lontano dalla celebre attrazione zoologica del Siberia Tiger Park. Lui che, architetto giovane propenso a rompere le convenzioni, attraverso metodi che lo accomunano alla fondamentale mentore ed ispiratrice Zaha Hadid, mutando e incrementando, piuttosto che sovrascrivendo, gli attribuiti pre-esistenti del paesaggio. Verso la creazione di un processo in divenire, che potremmo definire l’interazione dei letterali milioni di sguardi a ridosso di nuovi ed imponenti elementi posti dinnanzi al cielo. Costruzioni come il Grand Theatre, nesso e punto focale del progetto, luogo concepito per la messa in opera di opere, drammi e concerti, all’interno di pareti tanto inusuali da sembrare, complessivamente, il prodotto del costante battere del vento e la pioggia. Verso la creazione di un elemento che al tempo stesso connota ed arricchisce lo spoglio ambiente di appartenenza: spazi vasti, desolati e ricoperti dalla neve in inverno, ove collocare secondo i requisiti del concilio d’amministrazione cittadino due diversi palcoscenici dall’acustica versatile, l’uno con la capienza di 1500 spettatori e l’altro “appena” 400, oltre a una piazza pubblica per l’organizzazione di riunioni ed eventi.
Apparirà chiaro dunque a questo punto che stiamo parlando di un titano da 79.000 metri quadrati, che tuttavia non sembra occuparne, grazie alla forma organica e leggiadra, più di una ridotto benché significativo frazionamento…

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Golfista-per-caso inventa la mazza robotica definitiva

Immane lo sforzo ma grande la soddisfazione, di riuscire in qualcosa che non è parte del nostro sentire quotidiano. Scendere in campo, anche letteralmente, tra i fronzuti fusti della sfida e cercare non soltanto di tenersi al di sotto della loro ombra, bensì lanciare palle verso il cielo ed oltre tali ostacoli, fino alla buca della consapevolezza ulteriore. Poiché golf non è soltanto un modo per passare un pomeriggio in mezzo a prati ben tenuti, sotto il solleone che c’illumina con il suo sguardo indagatore; giungendo, piuttosto, a realizzare il sogno di un predominio strategico sul territorio e le regole del tutto arbitrarie, nonché fastidiose, che determinano la traiettoria di una pallina. Ma che dire di coloro che, nati con due mani sinistre, semplicemente non comprendono gli astuti metodi per compiere la marcia fino al green? Chi si ergerà a proteggere il loro diritto a far di tale sensazione un punto cardine della giornata ideale, che inizia con la nascita e raggiunge il compimento il giorno dell’improvvida ma inevitabile dipartita dai viventi? Shane Wighton, qui presente titolare del canale StuffMadeHere, sembrerebbe possederne il potere, pur non avendone il dovere, il che del resto non ha fatto nulla per fermarlo dal percorrere la strada che conduce all’ultima risoluzione dell’idea. Pensiero che conduce nel caso specifico, alla creazione di un oggetto al cui confronto Excalibur parrebbe un mero gioco per bambini: elettronica, robotica ed analisi statistica, fatte convergere in un crogiolo perfettamente coerente ad uno scopo, e quello soltanto! Condurre il pegno con la forma di un piccolo globo dalla superficie complessa fino alle radici dell’agognata bandierina, per 18 volte fino all’ultimo coronamento di una delle più stimate competizioni sportive tra gentlemen, uomini d’affari e presidenti degli Stati Uniti dalla folta chioma elettorale.
Il tutto per uno di quei video, estremamente rappresentativi della maker culture (tipica dei cosiddetti “artigiani digitali”) in cui non soltanto l’attrezzo pseudo-sportivo viene messo in opera e testato, bensì spiegato in ogni sua parte neanche si trattasse di un vero e proprio tutorial per la sua riproduzione. A partire dal driver relativamente a buon mercato fatto a pezzi e utilizzato come base, per l’immediata sostituzione della testa dietro elaborazione di un meccanismo che consentisse, in parole povere, di “scegliere” la distanza di ciascun tiro, mediante inclinazione operativa di un vero e proprio attuatore robotico, di quelli usati per la maggior parte dei progetti basati sull’architettura hardware Arduino, creata originariamente in Italia presso l’IDI di Ivrea. Soluzione che costituisce nel caso specifico un punto d’arrivo, piuttosto che la partenza, mirante a risolvere una questione tutt’altro che scontata: come far muovere a comando e in tempi sufficientemente brevi un meccanismo, al tempo stesso leggero e capace di resistere alle quasi due tonnellate di forza assorbite per un brevissimo istante dalla parte finale della mazza, senza che ogni singolo componente acquistato off-the-shelf, e concepito per utilizzi decisamente meno estremi, finisca per andare in mille pezzi ad ogni singolo tentativo d’impiego….

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Dal Mar Piccolo di Taranto, la spettacolare ripartenza della portaerei Cavour

L’evento si è verificato all’inizio di maggio ma il video è comparso sul Internet soltanto il 20 del mese scorso e di certo merita di essere condiviso, benché rappresenti, nei fatti, il verificarsi di una casistica tutt’altro che rara per il porto della città di Taranto, principale avamposto della marina presso le tiepide acque del mar Ionio. Un luogo protetto in egual misura dalla conformazione del territorio e la manipolazione dello stesso da parte dell’ingegneria umana, capace di portare alla costruzione del più perfetto bacino al di là di uno stretto ingresso da quello più vasto del Mediterraneo, nonché luogo ove trova posto, sin dal 1865, il principale Arsenale Militare Marittimo del nostro paese. Con vasti bacini di carenaggio tra cui il più grande, uno dei pochi di proprietà dell stato capaci di ospitare, ogni qualvolta se ne presenti la necessità, la vasta e potente portaerei Cavour, attuale nave ammiraglia della nostra flotta: 244 metri di lunghezza per 27.900 tonnellate di dislocamento, varata nel 2004 e per questo dotata dei più recenti sistemi radar e di armamento. Ma soprattutto concepita, in ogni sua parte, come ponte mobile operativo composto da un gruppo di volo di fino a 36 Harrier Jet tutti di tipo STOVL (decollo breve, atterraggio verticale) date le dimensioni minori rispetto ai titani di tipo CATOBAR (con catapulta di lancio) delle marine statunitense e francesi per un’operatività ispirata, piuttosto, all’esperienza dell’Inghilterra nelle Falklands, durante cui l’efficienza di questo tipo di velivoli fu dimostrata al di là di ogni dubbio all’interno di un contesto bellico moderno. Il che non elimina, d’altra parte, la necessità di mantenersi aggiornati e al passo dei tempi conducendo senza falla all’effettiva necessità ed intenzione di questa particolare visita, incipit di un nuovo capitolo nella storia del grande battello: a partire dalla modifica, di necessità comprovata, del ponte di volo con l’aggiunta di una superficie metallica, per meglio resistere ai superiori impatti strutturali portati dagli più attuali e pericolosi F-35 di tipo B, considerati un notevole passo avanti nella dotazione aerea della Marina. Verso il cui imbarco temporaneo in acque nordamericane, per le prove tecniche prima della consegna di un nuovo lotto prevista entro la fine dell’anno, la nave si sta spostando proprio in questi giorni, portando a coronamento un’operazione resa tanto più problematica e complessa data la coda del periodo Coronavirus che stiamo ancora vivendo.
Una visione significativa dunque, nonché una scena memorabile, mentre la prua rialzata con la rampa di decollo di tipo skyjump (tipica caratteristica delle portaerei STOVL) si staglia contro la riconoscibile sagoma del castello Aragonese, strettamente connesso all’opera di restauro di Re Ferdinando nel 1492 benché strutture simili, in questo luogo dall’alto valore strategico, fossero esistite fin dall’epoca dei Bizantini. Benché l’unione della Città Vecchia situata sull’isola dall’altra parte dell’istmo verso il cosiddetto Mar Piccolo fosse stata realizzata soltanto nel 1887 grazie alla creazione del ponte di San Francesco di Paola dell’ing. Giuseppe Messina, capolavoro ingegneristico per l’epoca dotato in origine di un sistema di contrappeso ad acqua, sostituito soltanto verso la metà del secolo successivo con il motore di tipo elettrico fornito dalle Officine di Savigliano. Senza modificare, tuttavia, il suo principio di funzionamento, basato sulla rotazione delle due metà in direzioni parallele al molo in un periodo di circa 30 minuti, ogni qualvolta una nave sufficientemente grande richiede l’ingresso all’area protetta del porto per effettuare l’approdo o accedere alle strutture dell’Arsenale. Imbarcazioni come l’indubbiamente ingombrante portaerei Cavour…

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