Il mistero moderno dei nove dragoni nella valle dimenticata dal mondo

Il sistema cognitivo, nonché processo retorico dell’antonomasia permette di assegnare per associazione il termine di connesso al più famoso quartiere di Los Angeles a luoghi e città molto distanti tra loro. La più famosa casistica di questo tipo è Bollywood della fiorente industria cinematografica indiana, concentrata primariamente entro il territorio urbano di Mumbai. Ma abbiamo anche Jollywood di Assam, Lollywood in Pakistan, Helawood in Sri Lanka, Hallyuwood in Corea. E che dire di Kazakhwood (Almaty) Nollywood (Nigeria) o Pallywood (Palestina)… Fino a quello che costituisce, per quantità di dipendenti, il più vasto studio al mondo, la cosiddetta Chinawood degli Hengdian Studios di Dongyang, nella provincia dello Zhejiang. Luoghi che perseguono visioni e canoni espressivi differenti, eppur dotati di taluni aspetti coincidenti tra loro. Uno di questi è l’apparente necessità di poter venire ricordati per un punto di riferimento paesaggistico, come la scritta hollywoodiana sopra Mount Lee, al di sopra del canyon di Beachwood. O la costruzione di musei che impiegano vecchi set cinematografici e costumi al fine di creare attrazioni turistiche di richiamo. Orbene se ora vi dicessi, che il sopracitato sito nel meridione dello storico Regno di Mezzo ha unito le due cose, avendo edificato sulle sue colline un qualcosa che congiunge l’epico al futuristico, il mitologico al divertimento per ogni età dei suoi visitatori? Dove il piccolo laghetto artificiale al termine della profonda gola di Jiulong, chiamato tradizionalmente il pozzo del Drago Nero, si trova sovrastato non da una singola testa del mitico animale, bensì nove straordinari esempi di svettanti statue dedicate a esso, dell’altezza mediana di circa una trentina di metri. Più quello che si abbina ad un segnale sulla porta d’ingresso, un’interessante scultura lignea recante la dicitura “Parco culturale di Kowloon” (九龍 ovvero letteralmente: “dei Nove Draghi”) Ma poiché come sapete il principale degli animali folkloristici d’Asia è caratterizzato dalla forma del corpo simile a quella di un serpente, la storia è lungi da esaurirsi in tale prologo, vedendo per ciascun gigante la presenza di un notevole prolungamento, su per il declivio e fino a 400 metri di estensione per raggiungere la coda necessaria della creatura. Così numerati sulla base dei più antichi cataloghi nozionistici di quel paese, le quattro direzioni cardinali ed i cinque elementi, le strutture sorgono maestose là dove qualcuno, in un momento imprecisato a partire dagli anni 2000, sembrerebbe averle collocate con dispendio non trascurabile di risorse ed investimenti pecuniari. Prima che un’evidente mancanza di visitatori portasse, a circa una decina d’anni dall’inaugurazione, all’improvvida chiusura del parco che ora resta a sempiterna memoria della facilità con cui si tende a dare inizio a grandi e complicati progetti in Cina. Nonché quello che resta in seguito, successivamente all’abbandono dei luoghi un tempo ameni da parte della moderna civilizzazione umana…

Leggi tutto

Il grande tetto rosso e l’interludio non del tutto motivabile del Ferrari World Abu Dhabi

Amare qualcosa alla follia comporta spese addizionali non del tutto contestualizzate, come il viaggio verso mete via dal vicinato e il pagamento di un prezzo d’ingresso sensibilmente superiore alla media. Per le attrazioni di Abu Dhabi, s’intende, la capitale degli Emirati Arabi Uniti ed in modo ancor più rilevante la sua sfavillante isola artificiale di Yas. Ove sorge, tra le molte stravaganze, un edificio dalla forma vagamente minacciosa di un virus batteriofago, la cui caratteristica maggiormente riconoscibile risulta essere, oltre al costo d’ingresso tra i 70 e i 120 dollari a biglietto, il colore. Quanti super-capannoni simmetrici, da un’area abitabile di 26.000 metri quadri, possono d’altronde vantare la tonalità ove campeggia in molte circostanze il mitico equino di Marranello? Tutt’altro che una mera coincidenza, giacché se persiste in Medio Oriente uno stallaggio metaforico per quel logotipo animale, esso può essere direttamente situato qui, nel più grande parco a tema coperto al mondo. Il maggior tributo architettonico ad un marchio automobilistico. Nonché una tra le più intriganti e originali attrazioni di questa metropoli, per lo meno nei fugaci attimi in cui tutto pare funzionare a dovere.
Un luogo messo in opera grazie allo sviluppatore di proprietà immobiliari Miral, il gestore di siti d’intrattenimento Farah Experiences e l’azienda di contractors Six Construct (con partecipazione tecnica della ArcelorMittal). La cui finalità è rispondere ad un modo idoneo per far continuare il divertimento, anche nei periodi in cui i termometri d’estate possono superare da queste parti abbondantemente i 45 gradi. E farlo, sulla base di accordi dall’elevato grado di prestigio, mentre si presenta un’immagine e una patina visuale la cui matrice appare in modo indiscutibile ispirata all’Italia. La singolare location nasce dunque da un’operazione di co-marketing concepita nel 2007, quando lo stesso Luca di Montezemolo si recò al futuro cantiere per la sepoltura simbolica di una capsula temporale contenente un pistone del campionato di Formula 1 recentemente terminato in quell’anno. Benché la Ferrari non fosse in tale caso investitore o partner, bensì mero fornitore su licenza del proprio marchio ed assistenza nella progettazione delle attrazioni del parco. Il cui pièce de résistance, il cosiddetto pezzo forte, sarebbe stato fin da subito l’ottovolante lanciato con acceleratore idraulico Formula Rossa, nuovo circuito creato dalla Intamin, compagnia dietro le precedenti montagne russe più veloci al mondo, il Kingda Ka del New Jersey. Che nel presente caso si sono dimostrati in grado d’innalzare sensibilmente la portata del record, passando dai precedenti 206 Km/h alla cifra impressionante di 240, per di più coadiuvate da una fase di accelerazione capace di passare da 0 a 100 nel giro di appena 2 secondi. Generando una forza paragonabile a quella sperimentata da un pilota di aereo da caccia o per l’appunto, monoposto per il tipico gran premio di F1….

Leggi tutto

Domande da luna park: in che modo frenano le torri a caduta libera? E cosa può andare storto?

L’idea che la durata del divertimento debba essere direttamente proporzionale al tempo d’attesa per accedervi è sostanzialmente messa in dubbio dall’esperimento sociale collettivo dei luna park. Luoghi dove la gente si mette in fila, per potersi mettere in fila, aspettando il proprio turno al fine di pagare, ancora e ancora, con il solo fine di sperimentare pochi attimi di esaltazione del cervello rettile che dice: “Cadi! Cadi! Morirai!” Ed è ancor più sorprendente come nel momento stesso in cui ciò sta per verificarsi, debba essere l’angustia stessa di non sapere quanto ci vorrà prima che la gravità terrestre possa prenderci nella sua morsa, a costituire una parte imprescindibile dell’esperienza. Prendete per esempio l’attrazione moderna spesso identificata con il termine in lingua inglese di drop tower (letteralmente: “torre di caduta”) un infernale strumento inventato per tutti quei casi in cui l’impronta strutturale di un’intera montagna russa molto semplicemente non potrebbe trovare collocazione nel piano regolatore del parco giochi, sublimandone l’esperienza fondamentale in due soli gesti consequenziali l’uno all’altro: salire, scendere. O forse sarebbe meglio identificarne un terzo: il tempo prolungato ad infinitum della sosta sulla sommità distante, mentre i piedi scalciano nervosamente all’indirizzo delle plurime formiche sottostanti. Per non chiamarle con il loro vero nome di… Formiche? In taluni esempi quell’attesa, d’altra parte, viene veicolata e messa a frutto dalla coreografia stessa dell’attrazione, un metodo perfettamente rappresentato dai 120 metri del Lex Luthor Drop of Doom di Valencia (California) in cui un discorso minaccioso con la voce registrata del cattivo di Superman ha il compito di far entrare nella parte il pubblico seduto nella scomoda elevata circostanza. Prima che l’attesa termini, e la terra torni più vicina in un singolo battito di ciglio. Ma poiché come afferma un saggio proverbio, non è la caduta a ucciderti bensì l’impatto con il suolo, il fato delle sconvolte vittime è spesso quello di pagare il costo del biglietto per sperimentare nuovamente quei pochi secondi di esaltazione. Dopo tutto, nei ricordi, la ricompensa supera il più delle volte il significativo investimento trascorso nella serpeggiante macchina per la processazione dei clienti.
Attendere vuol dire, d’altra parte, avere il tempo per pensare. E non è insolito che interi gruppi dei partecipanti al grande gioco, non potendo fare altro che osservare gli altri, inizino ad interrogarsi sul funzionamento e la natura della torre antistante. Che cosa l’alimenta, quanto spesso viene ispezionata, come fa a salire, a scendere e soprattutto, a fermarsi. Perché senz’altro può succedere, e sarà successo almeno in qualche caso, che la corrente vada via durante il corso di un “giro”. Eppure non si è udita la notizia, di sicuro effetto, relativa a 16 persone che raggiungono la terra senza requie, per transustanziare il gruppo collettivo delle proprie anime all’altro mondo. Questo perché il funzionamento della tipica torre di caduta libera prevede l’utilizzo di un tipico sistema ingegneristico fail-safe, ovvero capace di fallire in sicurezza, compensando in questo modo l’indesiderabile tendenza all’annichilimento delle vite umane. Come osservabile da una presa in esame maggiormente approfondita di almeno due, dei suoi possibili meccanismi di funzionamento…

Leggi tutto

Strana visita guidata nel variopinto villaggio sopra un ponte a Chongqing

Città da oltre 30 milioni di abitanti capace di rappresentare dal punto di vista normativo uno dei maggiori centri urbani della Cina, il vasto agglomerato di Chongqing risulta in realtà composto da una serie di comunità geograficamente distinte, inframezzate da una vasta serie di spazi rurali, zone agricole ed infrastrutture stradali. Luoghi come il fiorente settore vinicolo di Linshi, distretto di Fuling, rinomato localmente per la qualità dei suoi rossi coltivati sulle pendici della montagne Daba, anticamente chiamate in modo poetico come i “Nove Dragoni” (Jiulong). Ed oggi celebri per la maniera in cui l’amministrazione locale, pensando di poter incrementare il turismo locale, ha deciso di posizionare in questa zona il più bizzarro e caratteristico dei parchi a tema. Inserito nel contesto istituzionale del vasto e poliedrico Kepu Zhongxin (科普中心 Centro Scientifico Popolare) il cosiddetto Villaggio del Vino Meixin potrebbe sembrare da una descrizione superficiale come un luogo piuttosto ordinario dotato di giostre, ruote panoramiche e i consueti punti di ristorazione, rigorosamente forniti della più rappresentativa delle bevande locali. Perciò è soltanto volgendo lo sguardo verso l’alto, che i visitatori potranno prendere atto di un qualcosa di particolarmente atipico e rappresentativo: il viadotto costruito a sbalzo di uno svettante ponte lungo 400 metri sopra il fiume Liziang, apparentemente costruito non propriamente con il mero fine di attraversare la scoscesa gola di quest’ultimo. Bensì costituire un vero e proprio quartiere turistico della comunità locale, dotato di dozzine di residenze, ristoranti ed altri edifici variopinti, evidente luogo visitabile da un’ipotetica collettività di turisti che nel corso degli ultimi mesi, sembrerebbero essersi diretti altrove. A loro volta ornate da bizzarri elementi, come uno scuolabus sospeso a mezz’aria, statue vagamente marmoree e la figura immediatamente riconoscibile di un piccolo Cristo Redentore di Rio. Ma è ancor più memorabile, a suo modo, il profilo sincretistico vantato da un simile conglomerato posto a ridosso del cielo, dove costruzioni dall’aspetto architettonico tipicamente cinese si mischiano a casette che dovrebbero (presumibilmente) rappresentare l’aspetto esteriore di un villaggio del Nord-Europa, con molti spazi dedicati a luoghi di ristoro, dove mangiare al cospetto di un punto panoramico indiscutibilmente raro. Suggestioni vagamente riconducibili a un luogo celebre nel mondo come il Ponte Vecchio di Firenze, dove botteghe e vari negozi si susseguono fino ai tre archi del punto centrale, ma ricreato su una scala tanto maggiore da approssimarsi piuttosto a un tipo d’influenza tipica del mondo della fantascienza. Quella delle enclavi sorte spontaneamente a seguito di una difficile situazione o distopia, in spazi liminali tra i recessi altrettanto indesiderabili; vedi il memorabile Ponte dell’omonima trilogia letteraria di William Gibson, trasformato in letterale formicaio umano dagli abitanti della baia di San Francisco successivamente al verificarsi del grande terremoto californiano. O la stessa città murata e super-sovrappopolata di Kowloon, realmente esistita dalla concessione dei Nuovi Territori al governo indipendente di Hong Kong e fino al 1993, quando venne comprensibilmente sottoposta a demolizione dalla Cina, ponendo fine a un letterale covo di criminalità, droghe e condizioni abitative tutt’altro che sanitarie. Tutt’altra storia rispetto all’ambiente notoriamente riconducibile all’estetica cyberpunk, per la commistione d’influenze tradizionali e vertiginose caratteristiche tecnologiche, della grande area di Chongqing, cresciuta spontaneamente attraverso i secoli ed in circostanze decisamente più favorevoli. Per non parlare dello scopo ed il significato del Villaggio del Vino Rosso, pienamente rappresentativo di quel concetto locale dell’imitazione concepita non al fine di sostituire un qualcosa, bensì rendergli omaggio, permettendo al tempo stesso a chi lo visita di fare un viaggio con la fantasia. E non è perciò del tutto errata, la definizione di quartiere fiabesco che in tanti articoli e trattazioni viene attribuita ad una simile, svettante attrazione…

Leggi tutto