Cavorite, l’aereo che nasconde dentro le sue ali 14 eliche per il decollo verticale

Leggendaria riesce ad essere quell’epoca trascorsa, risalente ad oltre un secolo prima dei nostri giorni, in cui l’uomo imparò il segreto necessario a superare le stringenti catene gravitazionali, sollevandosi liberamente grazie al volo più pesante dell’aria. Gli albori di un sentiero tecnologico, oggi esplorato in ogni valido recesso, in cui aderire a specifici linee progettuali sembra quasi obbligatorio e la creatività può esprimersi soltanto tramite una serie di approcci per lo più marginali. Il che vuol dire essenzialmente, senza nulla togliere alla fantasia degli ingegneri, che ogni “cosa” volante deve necessariamente avere due ali, una coda, una carlinga, superfici di controllo rispondenti a ricorrenti aspettative di maneggevolezza operativa. Pena lo sconfinamento, per quanto sappiamo, in quel reame di aeroplani atipici e collaterali, per loro stessa aspirazione allineati al concetto di un refolo di vento contro la direzione dominante del progresso, largamente condannati all’accantonamento dai princìpi del senso comune. Spostiamo un simile discorso agli ultimi 15, 20 anni, tuttavia e le cose sembrano rispondere a dei crismi sostanzialmente contrapposti. Con la diffusione su larga scala dei sistemi di controllo computerizzati fly-by-wire, anche al di fuori dell’ambito militare e dei costosi aerei di linea o business jet, ma soprattutto l’applicazione di quel valido principio funzionale anche alla configurazione di aeromobili ad ala rotante con multipli rotori di sollevamento. Quadri-, esa-, octo- e quanti-più-ne-hai-cotteri, mutuati dall’ambito dei mezzi radiocomandati e gradualmente trasformatisi, nell’immaginario di una pletora di compagnie startup ed altri simili ambiziose realtà aziendali, nella perfetta soluzione a quel bisogno percepito in tempi odierni, di un efficace sistema di taxi volante per riuscire a superare il traffico dei grandi centri urbani o le strategiche distanze tra i centri abitati. Ambizione con un centro principale negli Stati Uniti e la Vecchia, densa Europa ma che in questi ultimi tempi ha visto l’interesse su scala globale intensificarsi e le proposte moltiplicarsi di pari passo. Con l’ultima offerta, in ordine di tempo sotto i riflettori grazie ai validi traguardi conseguiti, concentrata geograficamente sulla cittadina di Lindsay, Ontario in Canada dove ha sede la Horizon Aircraft del duo padre-figlio Brian Robinson (ingegnere) e Brandon Robinson (CEO) creatrice di velivolo le cui caratteristiche paiono voler congiungere i migliori aspetti di ambo i mondi: quello dell’aviazione tradizionale e dei cosiddetti eVTOL, mezzi a decollo verticale caratterizzati da propulsione elettrica e la configurazione, per l’appunto, del tipico strumento fluttuante maggiormente amato dai cineamatori. A partire dalla motorizzazione stessa, appartenente in modo atipico al contesto dei sistemi ibridi, con vero carburante a bordo e la conseguente capacità di spingersi fino ad 800 Km di distanza, un vero e proprio record di categoria. Quindi per la dote inusitata di poter riuscire letteralmente a nascondere i proprio rotori multipli all’interno delle superfici portanti di un tipo maggiormente convenzionale. Diventando quando necessario, a tutti gli effetti, un “semplice” aereo da turismo, sebbene dall’estetica curiosa che ricorda vagamente il mezzo di trasporto di una classica scuola per giovani supereroi. Con un nome degno di rappresentarli: Cavorite, la mitica roccia inventata da Jules Verne, la cui principale prerogativa era quella di risultare più leggera dell’aria stessa…

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Un drone atipico che si trasforma in elicottero potendo fare a meno della fusoliera

Osservando un memorandum corrente del programma militare della DARPA cominciato il maggio scorso, nome in codice ANCILLARY, si sviluppa presto l’impressione di trovarsi nel capitolo sull’aviazione di un romanzo di fantascienza. Sei velivoli di un gruppo di finalisti, da scremare ulteriormente mediante una serie di test destinati a durare fino al 2026, prodotti da compagnie del volo non tutte o necessariamente o tradizionalmente parte dei fornitori delle forze armate statunitensi. Realtà come la Griffon Aerospace, la Karem Aircraft, la Vanilla Unmanned, in grado di raggiungere attraverso decadi l’odierna specializzazione in uno dei seguenti due campi: il volo autonomo ed il VTOL (decollo ed atterraggio verticale). Entrambi crismi operativi giudicati necessari per l’AdvaNced airCraft Infrastructure-Less Launch And RecoverY, acronimo pantagruelico determinato dalle attuali necessità di un campo di battaglia in continua trasformazione. Dove la presenza di un pilota a bordo si sta trasformando sempre più in zavorra, mentre la disponibilità di campi di volo o navi portaerei non può essere garantita nella totalità dei teatri d’ingaggio futuro. Che gli aerei in questione, tutti elettrici, siano stati ispirati o meno dalla situazione prolungata del conflitto ucraino, appare in questa fase meno evidente delle loro caratteristiche marcatamente biomimetiche: alcuni sembrano insetti, altri uccelli con arcuate ali da gabbiano.
E poi c’è l’idea di Sikorsky. Da lungo tempo iconica azienda nata per iniziativa del pioniere del volo Igor S nel 1923, tra i primi a concepire l’idea di un elicottero a singolo rotore. Che con il suo mezzo dal nome assai generico di Blown Wing UAS (Unmanned Aircraft System, in questo contesto un sinonimo del termine “drone”) sembrerebbe aver del tutto rivoluzionato la maniera per riuscire a concepire questa intera categorie di apparecchiature. Nel momento esatto in cui si osserva decollare nell’ultimo video rilasciato, dal carrello simile ad un assemblaggio di pogo sticks l’oggetto spinto da una coppia di motori non del tutto identificato, senza coda, senza una cabina (chiaramente) ne altra superficie visibile che interrompa quella lunga ala trapezoidale. Finché raggiunta un’elevazione adeguata, come niente fosse si dispone parallelamente al suolo, per procedere in maniera orizzontale accelerando in modo significativo la sua operante metodologia di propulsione. È come la manovra compiuta dal flusso vettoriale di un Harrier Jet o moderno F-35, ma effettuata da un prototipo del peso di soli 52 Kg e mediante il ri-direzionamento dell’intero velivolo, piuttosto che il mero alloggiamento degli ugelli di spinta. Le opzioni a disposizione per l’impiego di una tale piattaforma per di più scalabile, tendono ad apparire virtualmente infinite…

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Drone ibrido dimostra potenzialità e capacità di carico di un pipistrello a nove rotori

Il concetto di auto ibrida che unisce il meglio di entrambi i tipi di motore, elettrico ed a combustione interna, risulta essere fondamentalmente limitato dal fatto che in due dimensioni la direzione di marcia possibile è una soltanto, e l’interfaccia tra i due sistemi comporta necessariamente la perdita di una quantità d’energia, prima che essa possa essere trasferita all’albero di trasmissione che fa muovere in avanti le ruote. Ma basta introdurre tale configurazione nello spazio teorico dei mezzi volanti, per vedere i presupposti letteralmente capovolti su loro stessi: un aeroplano è di suo conto sottoposto in un dato momento a due forze fondamentali, quella naturale che contrasta la gravità terrestre, detta la portanza; assieme a ciò che insiste a farlo muovere in avanti. E lo stesso vale per quanto concerne l’elicottero, benché l’origine di quel vettore orizzontale sia la conseguenza meramente geometrica dell’orientamento scelto per il suo rotore. Che dire, d’altra parte, del drone? Questo termine ad ombrello, che oggi sembra incorporare ogni velivolo con sistemi di controllo parzialmente o totalmente automatici, assieme a quelli forniti di capacità per il decollo verticale grazie a configurazioni di rotori plurimi o posizionati in modo tutt’altro che convenzionale. Un ambito nel quale, fino al radicale annuncio del 2020, la compagnia slovena Pipistrel non si era ancora mossa con il chiaro intento di modificare il paradigma del settore. Non aveva combinato la sua competenza trentennale nella costruzione di aeroplani leggeri applicandola in un’interpretazione alternativa dei trasporti volanti rivisitati. E non aveva presentato al pubblico la coppia del Nuuva V20 e V300, con un approccio indubbiamente innovativo in merito a quali possano essere le aspettative per un dispositivo volante al termine del primo quarto del ventunesimo secolo, soprattutto in termini di dimensioni e capacità di carico inerente.
La più massiccia delle due proposte in effetti, sottoposta al primo breve test di volo all’inizio di questa settimana, è un impressionante apparecchio della lunghezza di 11,3 e un’apertura alare di 13,2 metri, dimensioni grosso modo comparabili a quelle di un drone militare Predator dell’Aviazione statunitense. Essendo rispetto ad esso dotato della capacità, niente affatto trascurabile, di decollare ed atterrare senza l’uso di una pista realizzata ad hoc, con un carico a bordo capace di raggiungere il volume di tre pallet europei (80 cm x 1,3 metri ciascuno) e un peso di missione massimo pari 460 Kg. Molto più del necessario, dunque, per portare i rifornimenti in un insediamento remoto, giustificare un viaggio di soccorso in un’area colpita da un disastro naturale, consegnare materiali a una piattaforma petrolifera nel mezzo dell’oceano agitato…

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Il drone giallo che consegna pollo fritto sui bastioni della Grande Muraglia cinese

Per oltre ventidue secoli, è stata lì: la cognizione che per poter individuare le caratteristiche di un grande Impero, il principale canone di riferimento fosse la qualità dei suoi sistemi di collegamento. E la portata del potere pubblico capace di costringere multiple generazioni, mediante un’uso in alternanza del bastone (di giada) e la carota (dell’immortalità) a dare il proprio contributo nella costruzione d’imponenti ed utili costrutti pubblici. Massicci contributi, largamente meritati, al nome sempiterno di colui o coloro che le avevano sapute concepire. Non c’è dunque al mondo un più efficace esempio, di una simile concentrazione di fattori, che il principale contributo al paesaggio del supremo governante Qín Shǐ Huáng, primo ed unico possente unificatore del concetto sovranazionale di “Cina”. Altresì detta “Il paese che sorge a meridione della Grande Muraglia” il che risulta formalmente parte di un proverbio folkloristico, accompagnato dalla tesi di supporto “Nessuno può essere un grande uomo, se non è salito almeno una volta sulla G.M.C.” Un credo le cui inerenti implicazioni si dimostrano più problematiche, di quanto si potrebbe tendere a pensare; giacché nella percezione asiatica del concetto di turismo, tutti, inclusi bambini, anziani, persone con disabilità motorie, dovrebbero poter accedere a un luogo relativamente remoto come l’estensione meridionale di Badaling, un tratto dell’antica fortificazione noto per le sue spettacolari torre di guardia e la relativa integrità dell’imponente fortificazione contro le scorribande dei temuti Xiongnu del Nord. Il che prevede significativi accorgimenti in termini di viabilità e modalità di accesso, ma anche concessioni alle utili praticità e convenienze del mondo contemporaneo. Il che vuol dire, cibo. Prodotto localmente e in vendita presso i banchi della zona di accoglienza, trasportato fin sul posto da ambulanti dei villaggi vicini o addirittura trasferito tramite l’antica e nobile professione del takeaway, partendo da popolari catene di fast food e ristoranti dei distretti urbani, affinché non si possa affermare che in un’ipotetica oriunda campagna di difesa dalla discesa dei barbari predatori, i coraggiosi soldati in armatura mancherebbero di hamburger, pizza o l’essenziale piatto a base dell’uccello amico dell’umanità per eccellenza, il crestato Gallus gallus che Charles Darwin prima di chiunque altro, seppe far risalire fino agli albori dell’addomesticazione nei remoti territori del subcontinente indiano.
Pollo amato dalle compagnie come la KFC statunitense, associata in questa Cina dei tempi moderni allo specialista tecnologico Meituan di Pechino, un colosso contemporaneo da oltre 100.000 dipendenti che ha fatto della logistica il proprio principale modello di business. Fondato sull’impiego di mezzi elettrici, talvolta autonomi, dotati con eguale probabilità di ruote o… Eliche rotanti per attraversare l’azzurro cielo. È l’economia “del volo a bassa quota” come la chiamano i moderni piani di fattibilità, ultima frontiera delle consegne rapide a partire da un punto d’interesse gastronomico, ad uno di riferimento culturale. Non importa quanto esteso in senso longitudinale, o se possa effettivamente risultare visibile dalle finestre panoramiche dell’ultra-rapida Stazione Spaziale Internazionale!

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