Le impeccabili riprese di un Gran Premio a Monaco negli anni ’60

E se adesso dovessi dirvi che non soltanto i viaggi nel tempo esistono, ma che qualcuno li ha già effettuati almeno in un caso, con il solo scopo di riprendere un evento sportivo risalente alla metà di un secolo a questa parte? Con il fine specifico di attirare l’attenzione del web, caricandone riprese in 4K sul suo canale YouTube! Sono pazzi, questi esperti della fisica quantistica applicata ai grandi misteri dell’universo… Ebbene immagino, sarebbe facile per voi cascarci, dinnanzi a quello che tende ad apparire come un assoluto anacronismo digitale: questa riproduzione video a colori del GP di Formula 1 tenutosi a Monaco nell’anno 1962, con tanto di camera car lanciata sul circuito durante le prove, angoli d’inquadratura multipli e vertiginosi campi lunghi dall’elicottero, lanciato in una serie di evoluzioni degne di un moderno film di James Bond. Il che riesce ad esprimere a pieno titolo almeno due aspetti estremamente contro-intuitivi: il primo è che le più avanzate tecnologie audio-video di allora erano in effetti molto superiori a quanto si tende a credere oggigiorno. Ed il secondo è che una scena come questa non può essere, semplicemente, riprodotta grazie all’uso della grafica 3D. O per meglio dire, visto che tutto è possibile IN TEORIA, potremmo affermare che nessuno ha mai pensato di provarci, in campo cinematografico né altrove, riconfermando in questo modo l’esistenza di un contesto che ci sembra vero su pellicola, ancor più di qualsiasi battaglia storica o scena gladiatoria del genere sangue & arena. Eppure potremmo ben dirlo senza esitazioni: in certi casi cellulosa canta, una canzone che è la pura ed assoluta verità.
Il fraintendimento, del resto, resta lecito a suo modo. Quando persino gli eventi sportivi risalenti agli anni ’80 e ’90 tendevano a essere ripresi con un tipo di telecamera tutt’altro che eccellente, per poi sopravvivere all’interno degli archivi digitalizzati di emittenti di vario tipo, con una qualità persino inferiore all’originale. Laddove questa sequenza, di contro, proviene dal caso atipico di un vero e proprio documentario per il cinema, l’ingiustamente oscuro Flying Clipper – Traumreise unter weissen Segeln (Viaggio da sogno sotto le vele bianche) girato da Hermann Leitner e Rudolf Nussgruber quasi vent’anni prima, allo scopo di chiamare l’attenzione del pubblico verso un’importante innovazione tecnologica di quegli anni: l’enorme schermo curvo del Cinerama. Il che portava, per la prima volta, a un uso ad ampio spettro di cineprese con obiettivi da 70mm, le stesse utilizzate da grandi maestri come Hitchcock, Kurosawa e Kubrick nei loro film. E c’era un po’ di tutto, nelle oltre due ore di reportage in giro per la Costa Azzurra ed altri luoghi antistanti al Mediterraneo, tra città storiche, operazioni aeronautiche militari e scampagnate. Ma la scena più notevole, ovviamente, resta quella del GP di quell’anno, di cui i due autori tedeschi finirono per catturare la singola testimonianza più notevole ed ancora attuale, per lo meno in termini di qualità. E che incredibile occasione di costituire un ponte ininterrotto col futuro, sarebbe stato proprio quel particolare, indimenticabile e caotico evento…

Questa ripresa prelevata dal nutrito archivio dell’agenzia inglese Pathé (come forse saprete, completamente disponibile online) durante il corso dello stesso evento è rappresentativo del tipo di qualità normalmente disponibile per le competizioni sportive degli anni ’60. La differenza, direi, è palese…

Il GP di Monaco del 1962, parte dei due campionati paralleli di Formula 1 costruttori e piloti, si tenne in un 3 giugno destinato a raggiungere temperature estremamente elevate. E non è tanto il termometro ciò a cui mi sto riferendo, bensì la drammatica riconferma di quella tendenza, non esattamente inaudita a quei tempi, di vedere soltanto un terzo dei partecipanti arrivare con successo al traguardo, in un susseguirsi d’incidenti, guasti ed altri simili imprevisti. La corsa è d’altra parte anche notevolmente rappresentativa del cambio generazionale avvenuto in quegli anni, dalla vecchia generazione di Fangio & co. verso un diverso tipo di pilota giovane e rampante, ancora ben lontano dall’immagine tutta d’un pezzo degli atleti motoristici dei nostri giorni. Figura certamente rappresentata a pieno da partecipanti come la promessa neozelandese Bruce McLaren per la Cooper (vincitore della gara) destinato proprio l’anno successivo a fondare l’importante scuderia che porta il suo nome o l’italiano Lorenzo Bandini vero e proprio “uomo del popolo” nato in Libia, che proprio l’anno prima aveva debuttato in Formula 1 nella scuderia del Cavallino all’età di 26 anni, dopo una brillante carriera nelle competizioni motoristiche minori, intrapresa col supporto del suocero meccanico di Milano. Veri e propri astri nascenti, destinati negli anni immediatamente successivi ad eclissare persino il geniale australiano Sir John Arthur Brabham qui al volante di una fiammante Lotus, già trionfatore del campionato nel ’59 e ’60 e qui ultimo rappresentante della vecchia guardia, di questi bolidi di un’era in cui il motore turbo e il cambio automatico dei nostri tempi avrebbero rappresentato un assoluto anacronismo tecnologico nonché ideale. Ma questo GP del 1962 rappresentò anche una momentanea occasione di rivalsa per gli italiani della Ferrari, in quegli anni eclissati parzialmente dai notevoli successi dei nuovi motori messi in campo dai costruttori anglosassoni rivali, grazie al secondo e terzo posto conseguiti rispettivamente dall’americano Phil Hill e Bandini stesso, dimostratosi comunque capaci di sorpassare ciascuno dei significativi ostacoli frapposti sul loro cammino.
A cominciare dalla partenza, in cui un addetto alla bandiera troppo ansioso finì per sventolare anticipatamente rispetto alle luci del semaforo, causando una disparità delle partenze tale da causare il tamponamento del francese Mairesse (terzo pilota Ferrari) nei confronti delle Lotus di Grant e Graham Hill, che per riprendere il controllo frenò bruscamente causando un’apocalittica reazione a catena. Ad avere la peggio, quindi, sarebbero state una Lotus e una BRM, oltre all’unica Porsche presente ai blocchi di partenza, con la grave conseguenza di una ruota destinata a colpire in pieno un commissario di gara. Sul destino di quest’ultimo, quindi, la pagina di Wikipedia e l’articolo online della rivista Motorsport Magazine offrono interpretazioni differenti, con la seconda che parla unicamente di “un ferito” mentre la prima menziona, purtroppo, la sua dipartita. I guai sarebbero quindi continuati nel corso dell’intera gara, con ulteriori cinque concorrenti di varie scuderie eliminati a causa di guasti riportati rispettivamente alla pompa d’alimentazione, la frizione e le sospensioni. Lo stesso Brabham successivamente, nonostante la sua notevole esperienza, sarebbe finito fuori pista al giro 77, finendo sull’erba posta di fronte alla curva del Casinò, riuscendo nonostante questo a ritornare in gara concludendo nell’ultima posizione “superstite”, l’ottava.
Una serie di drammi abilmente messi in secondo piano dai documentaristi tedeschi, che ovviamente non avevano lo scopo di documentare un evento sportivo, bensì quello di mostrare una sequenza memorabile agli spettatori del loro film. Sarebbe tuttavia ingiusto, mancare di riconoscergli i meriti di aver costruito questa vera e propria finestra verso il passato, capace di riportarci indietro di oltre 5 decenni con la letterale sensazione di esserci, attraverso una fetta estremamente significativa di spazio-tempo.

Bandini appare in queste immagini di repertorio come un personaggio estremamente spontaneo nella sua evidente modestia, e quasi timido nel modo di porsi ad un pubblico ormai internazionale. Una figura di sportivo radicalmente diversa da quella che appare costantemente sulle Tv dei nostri giorni.

Che cosa ci resta, quindi, oltre alla vittoria dell’indimenticato McLaren di un così arigogolato GP del ’62? Sarebbe certamente difficile non paragonare la sua esperienza a quella dell’italiano Bandini, che sarebbe stato costretto tragicamente ad anticiparlo all’altro mondo, causa tragico incidente, proprio su questa stessa pista di Monaco nell’edizione del 1967, durante cui la sua auto si sarebbe scontrata con un pilone per l’ormeggio degli yacht, cappottandosi e andando a fuoco in maniera pressoché immediata. Tratteggiando, all’occhio ragionevolmente vigile della storia, un’ulteriore riconferma che il regolamento della Formula 1 di quegli anni poco o nulla faceva per salvaguardare l’incolumità dei suoi attori più importanti, sopratutto su piste assolutamente non convenzionali come quella del Principato.
Rivivere quei momenti e provare ad immaginare la sensazione dei genitori, le fidanzate e le mogli di costoro, perennemente sottoposte al trauma di vedere i loro amati galoppare incontro alla morte fa molto per allontanare dai pensieri il fastidio per le semplificazioni dei tracciati e le dinamiche di guida implementate nelle decadi successive, ciascuna delle quali sarebbe stata il prodotto di una specifica quanto irrimediabile disgrazia. Ed è in questo, forse, che i 70 mm della pellicola di un dimenticato Cinerama acquisiscono i propri meriti ulteriori. Chiamatelo, se volete, il potere contenuto nella mistica gemma dell’immaginazione aiutata dall’arte, che come già sapevano gli antichi filosofi, permette di fare qualsiasi cosa, persino viaggiare nel tempo…

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