Viaggio fantastico nel foro più profondo creato dall’indigente bramosia umana

Non è un segreto che l’avidità possa smuovere le montagne ma c’è almeno un caso nella storia degli scorsi due secoli, nella geografia e topografia del Sudafrica, in cui un’intera significativa massa di terra è stata semplicemente obliterata, da circa 50.000 persone armate di semplici vanghe, carriole ed altri attrezzi fatti funzionare unicamente con la forza delle loro schiene ed il sudore delle loro fronti. Non che gli effettivi lavoratori immigrati a Kimberley della miniera destinata ad essere chiamata dopo il 1871 “The Big Hole” (Il Grande Buco) fossero destinati a trarre un effettivo aumento di privilegi da tali fatiche: il guadagno per procura fu fin dal primissimo momento uno dei punti cardine, la stessa ragione d’esistenza, del nascente commercio su larga scala dei diamanti. Fin da quando il quindicenne Erasmus Jacobs, circa 10 anni prima di quel drastico inizio, accettò di dare “in prestito” al suo vicino Schalk van Niekerk uno strano ciottolo brillante che aveva trovato sulle rive di un torrente locale. Pietra destinata ad essere analizzata, accantonata e quindi approfondita ulteriormente presso specialisti a Città del Capo, fino dimostrarsi finalmente essere quello che l’uomo aveva sempre sospettato: un diamante da 21,25 carati. Schalk l’avrebbe quindi esposto alla fiera di Parigi nel 1867, momento a seguito del quale sarebbe diventato celebre come il Diamante Eureka. Ma tale acquisizione di fama e celebrità non poi tanto significativo, rispetto all’acquisto di due anni dopo da parte sua di un’immensa pietra da 83,7 carati, dietro il pagamento ad un pastore di 500 pecore, 10 buoi e un cavallo. Affare niente male per l’acquisto del diamante destinato a diventare noto come la Stella del Sudafrica passando subito di mano per una cifra iniziale di 11.000 sterline, per poi aumentare ulteriormente di valore fino alle 225.300 per cui sarebbe stato scambiato nel 1974. Ma per tornare a un secolo prima di quel momento, fu improvvisamente chiaro al mondo che nelle colline attorno alla seconda più popolosa città della sua intera regione geografica c’era Qualcosa e che i primi che fossero riusciti a trasformarlo in opportunità ne avrebbero di certo ricavato dei profitti assolutamente spropositati. Viene dunque fatto risalire al 1869 il momento in cui una nuova classe d’immigrati cominciò ad acquistare terreni estensivi sul versante poco fertile di quelle colline, alla frenetica ricerca della propria fortuna. Dando luogo alla caotica ed urgente situazione dalla quale, gradualmente, sarebbero emerse figure destinate a lasciare un segno indelebile nella storia del commercio globalizzato…

Affiancato da un museo dei suoi trascorsi a partire dal 1965, il Grande Buco oggi parzialmente allagato attira molte migliaia di turisti ogni anno. Esso rappresenta un significativo investimento da parte della De Beers, che dichiarò di voler restituire “qualcosa” alla gente di Kimberley, dopo aver esaurito e venduto la vecchia miniera.

Tra le prime realtà operative destinate a palesarsi come più di un mero gruppo di scavatori avrebbe figurato dunque quella della Comitiva dei Cappelli Rossi di Fleetwood Rawthorne, che aveva in quel contesto trovato dei diamanti sulla collina di Colesberg, dopo essere stato inviato a svolgervi i lavori forzati, entro il terreno di una fattoria dal nome Vooruitzigt ,di proprietà dei fratelli olandesi De Beer. Proprio costoro avrebbero dunque iniziato ad allestire un’impresa di scavo in profondità, finché il governo inglese, intercedendo, non li avrebbe costretti a vendere i propri terreni al mercante Alfred Johnson Ebbes per la cifra di 6.600 sterline. Era il 1871 ed a quel punto, la Nuova Corsa era ormai prossima al punto di non ritorno. Dozzine di piccole buche costellavano le alte pendici erbose situate attorno a Kimberley, senza nessun tipo di organizzazione o sostenibilità operativa. Il tipo di caos perfetto affinché dei validi amministratori potessero emergere, acquisendo al tempo stesso una posizione di preminenza ed una situazione migliore per tutti. Un ruolo presto assunto dal venditore di pompe d’acqua Cecil Rhodes assieme al suo rivale, ed in seguito socio Barney Barnato, con cui avrebbe fondato una compagnia destinata a prosperità imperitura: quello che sarebbe diventata il De Beers Consolidated Mines. Ora l’entità degli scavi cominciò a farsi frenetica, mentre una quantità spropositata di nuovi arrivati, soprattutto provenienti dalle popolazioni indigene discriminate, si aggiungevano ai campi dei minatori, spesso costruiti con baracche o traballanti rifugi artigianali dagli elementi. Ben presto venne individuato un sito ideale dove concentrare gli sforzi, sopra un inselberg (promontorio roccioso) entro i precedenti confini della fattoria. E qui, la grande buca cominciò a palesarsi. Non ci sarebbero voluti che mesi, prima che i lavoratori in larga parte marginalizzati a causa dell’apartheid smuovessero una quantità di terra pari a 17 ettari, con un perimetro di 463 metri. Quindi si procedette a scavare fino alla profondità di 240, cifra largamente in grado di contenere gli edifici più svettanti costruiti fino a tale epoca (le cattedrali di Amburgo e Strasburgo) ma anche molti dei futuri grattacieli della nascente Grande Mela statunitense. Nel frattempo, continuando ad acquistare aggressivamente ogni minima concessione nei dintorni, la De Beers riuscì a mantenere una posizione di assoluta preminenza ed un monopolio di fatto sull’immensa quantità di pietre preziose emerse dal sottosuolo. Una quantità destinata a raggiungere entro il termine del 1914, nonostante il significativo contrattempo della seconda guerra Boera d’inizio secolo e poco prima che i giacimenti economicamente redditizi raggiungessero l’esaurimento, i 3000 Kg di diamanti, pari complessivamente a 14.504.566 carati scovati in parte anche nei circostanti tunnel lavici, esplorati fino alla considerevole distanza di 1.097 metri dalla superficie terrestre. La ricchezza accumulata fu assolutamente priva di precedenti, mentre le condizioni della forza lavoro non sarebbero migliorate in alcun modo da quei primi, frenetici giorni. Sottoposti a turni di lavoro massacranti, gli operai non ricevevano alcun tipo di assistenza medica nonostante i numerosi incidenti e venivano trattati tutti come potenziali contrabbandieri, con frequenti perquisizioni ed in seguito, l’obbligo di sottoporsi ai raggi X ogni qual volta volessero lasciare il territorio delle miniere. Iniziativa che veniva comunque, alquanto prevedibilmente, fortemente scoraggiata dai loro supervisori. Nel frattempo la città di Kimberely cresceva e vedeva aumentare esponenzialmente la propria opulenza, fino a trasformarsi nel singolo centro urbano più avanzato dell’Emisfero Meridionale, essendo arrivata ad installare le luci elettriche già nel 1882, poco dopo Philadelphia nella Pennsylvania nordamericana. Fu questo l’inizio, sotto molti punti di vista, di un’epoca di significative diseguaglianze.

Lo sfruttamento del Grande Buco ed assieme ad esso, quello delle categorie sociali appartenenti primariamente all’etnia africana Basotho ed i loro storici vicini, avrebbero ben presto condotto la De Beers nell’Olimpo delle società più quotate all’inizio del Novecento. Così che i diamanti, formati in senso geologico dal carbonio sottoposto alle notevoli pressioni del sottosuolo terrestre a una profondità di almeno 700 Km e poi proiettati verso l’alto nel sostrato di sedimenti che sarebbe stato definito in seguito, per l’appunto, kimberlitico, diventarono sostanzialmente l’effettivo sinonimo di questa compagnia e la convergenza di fattori fortunati nel luogo che l’aveva trasformata in una realtà eminente.
Fino al momento in cui avendo continuato a migliorare, nonostante tutto, la propria immagine gli eredi professionali di Rhodes e Barnato avrebbero colto l’occasione d’implementare nel 1947 grazie all’agenzia NW Ayer quella che potrebbe essere la più riuscita campagna pubblicitaria nella storia dei commerci moderni. E allora, “I diamanti sono per sempre” si trovarono a ripetere all’unisono centinaia di migliaia di gioiellieri, di fronte a coloro che intendevano sposarsi di lì a poco o per ancora moltissimi anni a venire. Comuni? Non proprio. Ma neppure gemme straordinariamente difficili da estrarre, se non fosse stato per l’iniziativa monopolista di coloro che prima di ogni altro, ne avevano individuato il potenziale. Ed è forse proprio questa la maggiore forza dei diamanti come merce dal valore superiore a qualsiasi altra: nessuno sembra poter fare a meno di desiderarli. Inclusi coloro che, più di ogni altro, ne avevano pagato il prezzo in termini di anni preziosi ed il benessere che dovettero purtroppo abbandonare, sul feroce campo di battaglia della propria sfortunata esistenza.

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