Rosso avadavat, con l’aspetto di una fragola fuggita dalla macedonia volante

All’epoca della prima creazione di un sistema tassonomico coerente, quando Linneo pubblicò il suo rivoluzionario catalogo delle specie nel Systema Naturae, capitava frequentemente che i naturalisti sopravvalutassero il numero delle specie d’uccelli. Questo per i casi di marcato dimorfismo sessuale tra maschio e femmina, caratteristica piuttosto frequente in tutti i casi in cui la competizione tra i possibili partner d’accoppiamento tendeva a svolgersi sul piano estetico, piuttosto che essere decisa dall’abilità nel canto, nella danza e la ferocia nel controllo del territorio. A tale fraintendimento poteva dunque aggiungersi l’idea che una delle suddette categorie potesse risultare migratoria, comparendo unicamente in determinati periodi dell’anno quale, ad esempio, il concludersi della stagione delle piogge nel subcontinente indiano ed Asia Meridionale. È perciò una chiara testimonianza della vasta popolazione ed ancor più significativo areale di questo bengalino estrildide, classificato in un primo momento dall’autore svedese come Frigilla amandava, se la sua situazione e storia biologica furono fin da subito chiaramente descritte, nonostante sussistesse il potenziale di significativi passi falsi in materia. La caratteristica maggiormente distintiva di questi passeriformi, piuttosto somiglianti ai diamanti mandarini (gen. Taeniopygia) benché biologicamente distinti, è proprio il mutamento stagionale del piumaggio dei maschi, che si verifica ogni anno verso il finire del mese di maggio e continua a sussistere fino a novembre. Un processo che vede il piccolo uccello di un grigio-bianco mimetico tingersi progressivamente di chiazze color vermiglio, inclini gradualmente ad incontrarsi in una singola, ininterrotta livrea puntinata di bianco. Mentre il becco del volatile, normalmente nero, diventa anch’esso del colore di un tramonto in una tersa giornata di primavera. Mentre il comportamento stesso dei prescelti li trasforma in esseri cospicui e chiassosi, rendendo molto più probabile la cattura da parte di eventuali predatori. Un chiaro esempio di dimostrazione dei fenotipi appropriati ed il valore genetico del proprio patrimonio, poiché la natura presume che soltanto i migliori a correre un rischio simile possano dirsi possessori dei presupposti necessari a cavarsela, un proposito tutt’altro che semplice sia per le figlie di Venere che i discendenti di Marte. Creature per lo più inclini a nutrirsi di semi e germogli, i bengalini comuni possiedono inoltre l’inerente propensione a catturare varie tipologie d’insetti, tra cui preferiscono in modo particolare le formiche, termiti e miriapodi di varia natura. Nei confronti dei quali appaiono, indubitabilmente, come dei terribili e spietati predatori…

Gli avadavat sono famosi per i loro gruppi di fino a 100 esemplari potenzialmente associati a stormi di fringillidi e cardellini, che si aggirano in zone a stretto contatto con gli insediamenti umani, dall’India alla Malesia ma anche in zone dove sono stati introdotti artificialmente, quali le Filippine, il Giappone, le Hawaii e Puerto Rico. I loro ambienti preferiti deviano nella stagione riproduttive verso paludi, pianure cespugliose o foreste rade, ove si aggregano in colonie solidali nel dare l’allarme in caso di attacchi, la cui dispersione avviene soltanto successivamente alla scelta di una compagna e l’inizio della costruzione del nido. Essenzialmente una struttura globulare di fili d’erba intrecciati tra loro, con la forma e dimensioni simili a quelle di un melone, che il maschio continua ad abbellire ed ampliare anche dopo che la sua consorte ha iniziato a deporre il suo prezioso tesoro. Generalmente tra le quattro e le sei uova, che richiederanno soltanto 11 giorni prima della schiusa in un periodo durante il quale il padre difenderà ferocemente il nido, lanciando striduli richiami e disponendosi a zampe larghe sui rami più alti, sempre pronto a lanciarsi in picchiata all’indirizzo dei potenziali nemici o concorrenti, il che purtroppo non è sempre sufficiente a scongiurare il rischio di essere presi di mira da parassiti di covata come il cuculo combassù (gen. Vidua) o il tessitore Anomalospiza. I piccoli venuti al mondo, marcatamente altriciali, faranno quindi di tutto per attrarre l’attenzione dei genitori aprendo pressoché costantemente il becco, agitando le ali parzialmente implumi e producendo richiami distintivi ed alquanto insistenti. La maturazione e conseguente involo avvengono quindi piuttosto presto, come in tutti i passeriformi, in un periodo massimo di una ventina di giorni, e benché una seconda covata per stagione sia relativamente rara, può succedere che una coppia riproduttiva adotti i figli di altri, qualora dovessero imbattersi in un nido rimasto privo di custodi. Una prassi che prevede, in entrambe le casistiche, un mutamento di ruolo per il maschio, che s’impegnerà personalmente ad accudire i piccoli affiancando la sua signora. I bengalini comuni non sembrano d’altronde essere monogami per la vita, con nuove coppie che tendono a formarsi continuamente nel corso dell’anno, in maniera analoga a quanto succede per i loro più prossimi parenti, l’avadavat verde (A.formosa) ed il bengalino verde arancio (a. subflava).

Creatura adattabile e prolifica, il bengalino non è considerato a rischio d’estinzione in alcun paese facente parte del suo territorio, nonostante abbia subìto nel corso dell’ultimo secolo una sensibile diminuzione della popolazione complessiva. Questo in primo luogo per il consumo degli spazi disponibili dovuto alla rapida urbanizzazione dei contesti asiatici, ma in maniera ancor più caratterizzante in funzione dell’inevitabile cattura sistematica per il mercato degli esemplari da tenere in cattività, al punto che il nome stesso di questi uccelli deriva etimologicamente dalla città di Ahmedabad nello stato indiano del Gujarat, storico luogo d’esportazione verso i territori dell’Occidente.
Un triste pragmatismo causato dal desiderio di guadagno personale, laddove appare ragionevolmente crudele intrappolare gli abitanti che costituiscono un mattone imprescindibile del proprio legittimo ambiente naturale di provenienza. Il che succederebbe anche ai comuni piccioni e passeri del contesto a noi più familiare, insistentemente scacciati come intrusi sgradevoli che infestano i quartieri cittadini. Se soltanto gli appartenenti a tali discendenze potessero vantare, nel proprio repertorio, l’abilità di cambiar colore! La loro vita ne trarrebbe giovamento. O magari l’esatto contrario? A tal punto può essere superficiale, la nostra “disinteressata” e spontanea passione per tutti quegli esseri che insistono, loro malgrado, a sorvolarci.

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