Mir, Mirny o Мир. Erano trascorse soltanto alcune decine d’anni, eppure sembravano secoli. Dopo intere generazioni di addetti ai lavori, impegnati nella perforazione e l’ampliamento di quello che restava, ancora oggi, il secondo buco più profondo mai realizzato dall’uomo, i macchinari tacquero finalmente. Per un’ora, due, un giorno, una settimana. Finché non divenne chiaro come un simile stato apparente di quiete, per lo meno in superficie, avrebbe avuto modo d’estendersi a tempo indeterminato. Il sentiero spiraleggiante fino al fondo del baratro iniziò a ricoprirsi di ghiaccio. E fu allora che l’elicottero con cameraman a bordo, recentemente giunto dalla città di Yakutsk situata circa 1.000 Km ad est, scelse d’intraprendere una missione intrigante: mostrare al mondo, o per lo meno alla parte di esso che presentasse un seppur vago interesse, l’aspetto di un’apertura verso le viscere del mondo profonda 518 e larga 1250 metri. Con il suono regolare delle pale mascherato dal sibilo del vento, l’abile pilota diminuì la sua quota con la massima cautela, al fine di migliorare l’inquadratura. Finché all’attraversamento di un confine invisibile, non capitò qualcosa: per ragioni fisicamente poco apparenti, il rotore principale dell’apparecchio iniziò a sviluppare una quantità inferiore di portanza. E mentre perdeva bruscamente di quota, la cabina s’inclinò da una parte e dall’altra, e iniziò quel tipo di rotazione che per i vettori ad ala rotante precede, generalmente, un rovinoso contatto col suolo. Le pareti scoscese si facevano sempre più vicine!
Fama meritata o immeritata che sia, c’è indubbiamente qualcosa d’inquietante nel concetto di una letterale Scilla (o forse si trattava di Cariddi?) delle vaste distese di permafrost dell’Eurasia, capace per un qualche tipo di fenomenologia mitologica d’attrarre, e addirittura fagocitare i più incauti viandanti del cielo tagliato a fette dal rombante motore. A partire da una situazione, almeno fisicamente, in realtà piuttosto chiara: l’aria più calda che sale dal fondo dell’angusta e profonda voragine, generando pericolosi vortici al contatto con gli strati gelidi soprastanti. Con questo effetto sugli aeromobili, secondo svariati resoconti più o meno diretti, potenzialmente letale. Eppure sarebbe decisamente difficile, anche a fronte di una simile conoscenza ed esattamente come nel caso dello stretto citato da Omero, pensare di resistere al richiamo palese di un tale luogo, un tempo fonte irrefutabile di un terzo abbondante di tutti i diamanti introdotti nel mercato globale. Già, una miniera… E per essere più precisi, del tipo a cielo aperto, scavata con le ruspe, la dinamite e talvolta, attrezzatura di tipo manuale appartenente a distanti contesti storici, mentre il flusso pressoché continuo di motori a jet veniva impiegato per sciogliere i ghiacci eterni, permettendo ai minatori di un simile luogo di raggiungere le posizioni preposte alla loro operatività professionale.
Ma la storia della vasta miniera di Mirny, importante punto di riferimento e fondamentale risorsa economica per l’intera quanto remota repubblica di Jacuzia, persino a partire dalla chiusura nel 2004 del suo fossato principale, può trovare una genesi ancor più remota…
Tutto ebbe inizio, secondo il tipo d’informazioni che possiamo oggi reperire online, con lo studio di fattibilità richiesto da Stalin in persona all’epoca degli anni ’30, quando alcuni geologi facenti parte dell’equipe governativa lo informarono della presenza, in determinate regioni della Siberia, di condizioni geologiche in linea con quelle della nazione sudafricana. Il che poteva sopratutto significare, in quel momento di frenetica ricerca di materiali per la corsa agli armamenti, diamanti.
Considerate, a questo punto, come il più famoso e resistente minerale frutto della concentrazione a pressioni estreme della comune anidride carbonica possa aprire la strada, in campo industriale, alla fabbricazione di macchine per il taglio e la lavorazione che semplicemente non si usurano, o subiscono un degrado del proprio funzionamento, alla stessa problematica velocità delle alternative prive di tale ausilio. Sopratutto nel caso in cui la materia che debbano lavorare appartenga, come nel caso di aerei e carri armati, alla parte propriamente metallica della tavola degli elementi terrestri. Altri problemi a problematiche campagne belliche, quindi, ritardarono la disanima di un tale potenziale fino al 1953, quando finalmente il proposito originale trovò spazio grazie alle operazioni di prospezione di Larissa Popugaieva, geologa proveniente da Mosca la quale riuscì a dimostrare come la ricerca in Siberia del nesosilicato noto come granato potesse indicare la direzione in cui trovare piccoli, medi o enormi depositi di diamanti. Ma sarebbe stato soltanto il suo collega Yuri Khabardin, nel 1955, a portare tale ipotesi fino alle maggiormente auspicabili conseguenze: al ritrovamento di un deposito potenzialmente abnorme presso il fiume Vilyul, inviò quindi un segnale segreto al governo centrale, dando inizio a un piano che avrebbe cambiato la storia stessa del paese più vasto al mondo.
La costruzione della miniera di Mirny, condotta con la massima velocità possibile in un luogo totalmente isolato dal resto della civiltà, fu come descritto sopra estremamente difficoltoso. Almeno finché, nel giro di qualche anno, un’intera città non sorse attorno al baratro vieppiù ingombrante, con tanto di ferrovia, aeroporto e connessioni stradali dotate di un rispettabile grado d’efficienza. Quindi a partire dall’inizio degli anni ’60, i russi scavarono ancora e ancora, andando incontro a una situazione decisamente inaspettata: non soltanto infatti, le apparentemente inesauribili risorse di uno dei camini kimberlitici più redditizi della storia continuava a rispondere all’intero fabbisogno di diamante industriale del paese. Ma poneva anche le basi per un surplus e conseguente accumulo di pietre preziose pronte alla vendita, tali da diventare, nel giro di poco tempo, una delle più proficue esportazioni estere della grande Unione Sovietica. Così che per la prima volta a memoria d’uomo, il sostanziale monopolio dei diamanti venduti nel campo della gioielleria dal possente conglomerato con sede in Olanda (e miniere in Africa) De Beers venne incrinato dal più inaspettato dei concorrenti, creando un sostanziale duopolio in uno dei mercati più frequentemente soggetto a fluttuazioni e modifiche dei valori in gioco.
C’è una storia piuttosto affascinante in merito all’annosa rivalità tra le due realtà commerciali, che avrebbe portato nel 1976 alla stipula di un patto tra russi e olandesi, in funzione della vendita di una buona parte di materiale grezzo da parte dei primi nei confronti dei secondi, per la visita del dirigente europeo Sir Philip Oppenheimer presso l’impianto siberiano, con il secondo fine d’acquisire, almeno in parte, il prezioso know-how locale. Se non che notoriamente, all’arrivo di quest’ultimo presso la città di Mosca, venne organizzata una così lunga serie di banchetti ed occasioni mondane presso i principali palazzi del potere da ridurre al massimo il tempo rimasto per la visita della miniera, pena scadenza del visto con conseguenze fin troppo facili da immaginare. Fino a una tempistica apparentemente innocua di appena 20 minuti effettivi, comunque sufficienti, secondo la leggenda, affinché l’esperto Oppenheimer carpisse il segreto della lavorazione a secco del minerale, una realtà assolutamente necessaria nei duri inverni di un luogo capace di oltrepassare agevolmente i -50 gradi Celsius di temperatura.
E così, la storia avrebbe avuto seguito: di un luogo le cui risorse, contrariamente alla logica, non sembrano accennare ad esaurirsi. Persino dopo la chiusura intercorsa della miniera a cielo aperto per eccessivi costi di manutenzione, successivamente alla quale, per quanto ci è dato di sapere, l’attuale società di gestione Alrosa sta continuando ad estrarre diamanti dai profondi tunnel sotterranei della città, con un ritorno d’investimento certamente degno di nota. E ciò nonostante gli occasionali, importanti incidenti, come quello del 2012 che avrebbe portato all’intrappolamento temporaneo di 109 persone (con una sola vittima, per fortuna) o l’allagamento per un guasto delle pompe intercorso nel più recente agosto del 2017, costato la vita alla quantità non trascurabile di 8 minatori. Ulteriori vittime nella costante ricerca di quel tipo di minerale che, per quanto occasionalmente utile, continua ad attrarre l’attenzione del pubblico per una sola fondamentale ragione: la sua capacità impareggiabile d’intrappolare, e nel momento della verità riflettere, la sempre attraente luce. Fortuna che, per quanto ci è dato di sapere, nessuno sfortunato elicottero (neppure quello immaginato nelle nostre battute di apertura) è ancora precipitato nel pericoloso baratro affamato di rivalsa. E a conti fatti, ciò potrebbe anche costituire un pericolo ormai remoto. Dopo tutto, al giorno d’oggi esistono anche i droni!