Cercando rami per la diga della sua tana, l’antico castoro ha ritrovato la Toscana

Diverse sono le ipotesi, non moltissime, le possibili spiegazioni. Con il suggerimento degli studiosi posto al centro della trattazione già a partire dal titolo, che apre lo studio pubblicato sull’ultimo numero testata scientifica Hystrix (Rivista italiana di mammalogia): “È possibile che la ricomparsa del castoro eurasiatico in Toscana sia la conseguenza di un rilascio non autorizzato?” Perché nel corso di questa lunga e sofferta pandemia, molte sono state le conseguenze positive per gli animali di mezzo mondo; con il ridursi progressivo delle attività antropiche, causa le pesanti restrizioni dei governi, oltre all’inevitabile e progressivamente maggiore riduzione del turismo internazionale. Così che scimmie hanno riconquistato intere città dell’Asia meridionale, delfini sono ricomparsi all’interno dei porti e canali normalmente gremiti dalle navi, lupi ed orsi hanno ricominciato a spingersi presso i confini degli insediamenti canadesi… Ma non risulta facilmente comprensibile, ne in alcun modo immaginabile, in quale maniera la riduzione del traffico veicolare potrebbe aver favorito la migrazione di uno sparuto gruppo d’imponenti roditori dalla coda larga e piatta, con un peso unitario di 23-30 Kg, ad attraversare l’intero territorio del Nord Italia giungendo fino ai boschi che circondano le città di Siena, Grosseto ed Arezzo, per la prima volta dopo il trascorrere di un periodo di almeno 500 anni. Episodio, ad ogni modo, lieto per la biodiversità e probabilmente anche in grado di fornire un’apporto positivo al sistema dell’ecologia locale, grazie alla pregressa esistenza in questi luoghi d’una tale specie d’animale, un tempo diffusa nell’intero territorio europeo con vaste e operose popolazioni entro i confini della nostra grande penisola mediterranea. Almeno finché una caccia eccessiva con finalità gastronomiche, la progressiva crescita degli insediamenti urbani e l’estendersi dei progetti territoriali dedicati all’agricoltura, non avrebbe portato alla sua progressiva riduzione e infine la scomparsa verso il concludersi dell’epoca medievale. A differenza di quanto successo nell’intera zona mitteleuropea, dove un nutrita popolazione di questi animali ancora abita i confini d’Austria, Germania e Polonia, con una concentrazione particolarmente significativa nell’ampio bacino del vasto Reno. E paradossalmente dubito che siano in molti, al giorno d’oggi, ad associare tale tipologia d’animale al cosiddetto vecchio continente, probabilmente per l’importanza e la frequenza delle trattazioni dedicate periodicamente al suo distante cugino nordamericano il Castor canadensis, in realtà una specie totalmente differente e con cui l’ibridazione (sperimentata in Russia) risulta essere del tutto impossibile, causa il possesso di un diverso numero di cromosomi. Senza neppure menzionare il modo in cui il nostrano Castor fiber risulti morfologicamente distinto, con pelo particolarmente folto, testa più grande ed allungata, un corpo meno tondeggiante ma con zampe corte e dunque inadatte a lunghe camminate sulla terraferma. Pur possedendo alcuni significativi punti di contatto, tra cui i quattro incisivi che continueranno a crescergli tutta la vita (a differenza del resto della dentatura) composti sul retro d’idrossiapatite e con una sottile placca frontale di ferro rossastro, così che il naturale erodersi durante l’uso contribuisca naturalmente ad affilarne la capacità di taglio. Dote niente meno che essenziale, al fine di mordere con gusto e rosicchiare i rami e tronchi degli alberi, per tutta una serie di validissime ragioni evolutive. Tra cui spicca, in modo preponderante, la ben nota propensione alla creatività architettonica dell’animale, incline alla costruzione sistematica delle sue tane lungo i corsi dei fiumi, con zone d’ingresso rigorosamente sommerse al fine di proteggersi dai predatori. Le famose, e spesso temute dighe in grado di rallentare il corso dei più poderosi torrenti con modifiche sensibili del paesaggio, sebbene vista la sparuta quantità di castori, saranno ancora molti gli anni necessari perché gli agricoltori toscani debbano iniziare a preoccuparsi di una tale eventualità…

La presenza del castoro, largamente dimenticata dal senso comune, è in realtà apprezzabile in buona parte dell’area mitteleuropea e fino alle propaggini più occidentali della Russia. Giustificando, almeno in parte, quel tipo di turismo che non può mancare di aiutare l’economia.

Scoperta lieta e giustamente in grado già di suscitare l’entusiasmo degli appassionati, come esemplificato da questo thread di ieri sul portale Reddit, quanto descritto nello studio in questione può essere perciò identificato come l’opera di due ricercatori naturalistici free-lance, Chiara Pucci e Davide Senserini, un ricercatore dell’Istituto Crea per la ricerca in agricoltura, Giuseppe Mazza, e il ricercatore in mammalogia presso l’Università di Siena, Emiliano Mori. Squadra coinvolta progressivamente, ed a partire dalla scoperta da parte delle guardie forestali verso l’inizio del 2021 di una quantità superiore ai 1.000 alberi evidentemente rosicchiati, con il riconoscibile taglio “a matita” da quella che poteva soltanto essere realisticamente una popolazione precedentemente mai documentata di castori, operativa lungo il corso dei fiumi Farma, Merse ed Ombrone. Così che nel giro di pochi mesi, grazie all’ingegnosa distribuzione di un gran numero di fototrappole, gli autori avevano raccolto una serie di fotografie raffiguranti almeno tre diversi esemplari, di cui uno dalle dimensioni più contenute, lasciando sospettare la felice conclusione di un pregresso evento riproduttivo. I piccoli dei castori, d’altra parte, nascono già perfettamente formati compresa la pelliccia, e ragionevolmente predisposti all’indipendenza dopo un periodo di svezzamento pari ad appena due settimane. Davvero niente male, per un animale capace di raggiungere una durata di vita pari ai 25 anni nei casi più eccezionali, benché si assesti normalmente attorno ai 7-8 causa l’occorrenza d’inevitabili incidenti, più o meno naturali.
Molti furono del resto i preconcetti, assai diffusi lungo le epoche trascorse, secondo cui una nutrita popolazione di castori potesse arrecare danni significativi ad un’ambiente utilizzato anche dall’uomo, causa la loro natura inerentemente distruttiva nei confronti della vegetazione, sia con lo scopo di costruire le già citate e ben note tane, che per la più diretta e semplice consumazione del tenero cambio, parte di legno situata sotto la corteccia, che speciali batteri all’interno dei loro intestini risultano in grado di preparare alla digestione. Al punto che nell’epoca immediatamente successiva al Concilio Papale di Costanza (1414-1418) fu dichiarato che la carne di simili animali potesse essere considerata pesce ai fini della quaresima, causa le loro abitudini alla vita in acqua, favorendone la caccia in un periodo dell’anno particolarmente delicato, in quanto corrispondente grosso modo alla loro stagione riproduttiva. Mentre in epoca contemporanea, viene spesso citato come monito il caso della Terra del Fuoco in Patagonia, dove popolazioni reintrodotte abusivamente di castori hanno arrecato danni estremamente significativi alla vegetazione locale, causa l’inadeguatezza dei grandi faggi ed altri alberi più che centenari a resistere e prosperare a fronte della costante opera dei loro taglienti incisivi taglienti come una katana. Situazione in essere, realisticamente, assai diversa da quella che potremmo immaginarci in un’Italia futura, dove millenni d’evoluzione in parallelo avevano permesso ad arbusti come il pioppo ed il salice di adeguare i propri tempi di ricrescita e propagazione, tenendo conto anche dei famelici roditori dall’instancabile masticazione. Questione largamente già trattata, per lo meno in linea teorica, a partire dal trascorso 2018, quando aveva fatto notizia l’avvistamento di un singolo castoro nel Friuli (di sesso incerto) presso le foreste antistanti Tarvisio, diventato in breve tempo una vera celebrità locale con il nome di Ponta, da una contrazione di quello del suo primo scopritore e più appassionato fotografo, il naturalista del Progetto Lince, Renato Pontarini. Animale, quest’ultimo, potenzialmente migrato mediante mezzi autonomi attraverso la notevole barriera territoriale delle Alpi, sebbene rimasto ancora oggi in attesa dell’arrivo di un potenziale partner riproduttivo, che possa dimostrarsi capace della stessa propensione all’avventura.

La vicenda del castoro Ponta, ormai da tempo dimenticata dagli scintillanti riflettori dei media, continua oggi a svolgersi senza incidenti nei dintorni dei laghi di Fusine. Un particolare commovente: sembra che tutti gli ingressi delle sue tane siano rivolti verso settentrione. Nell’improbabile, quanto condivisibile, speranza che un domani possa giungere un suo simile, dondolando goffamente giù dagli alti passi montani.

Il dubbio, in fondo, è uno dei fondamenti stessi del processo di trattazione scientifica, nata dal desiderio di confermare oggettivamente tutto ciò che avrebbe altrimenti continuato a costituire una mera percezione opinabile del variegato consorzio mentale umano. Perciò che cosa dovremmo mai pensare, di fronte alla comparsa di un qualcosa di così biologicamente perfetto come un’intera famigliola di castori, laddove neanche uno ne veniva visto fin dall’epoca in cui da queste parti visse Lorenzo il Magnifico in persona?
Non è poi così difficile operare in tal senso, come provato anche dal successo pregresso di simili iniziative abusive in Inghilterra, dove proprio un’introduzione simile di esemplari di castoro eurasiatico ha portato alla rinnovata affermazione nel territorio del Devon, lungo il corso di un importante fiume. Il nome di quel corso d’acqua? Otter: “Lontra”! (Quasi…Un castoro?) E chi ha detto che la mano non autorizzata di chi vuole ritornare agli antichi fasti, debba per forza operare al di fuori di quel tipo di responsabilità civile che richiede lunghe e complicate autorizzazioni governative. Qualche volta è più facile chiedere scusa, piuttosto che aspettare il permesso. A meno che le cose non finiscano per sfuggire drammaticamente di mano…

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