Gli gnomi australiani della densa foresta del Queensland si svegliarono al tramonto, indossando all’unisono i loro cappelli migliori. La luna era già alta e illuminava il panorama come il riflettore di un teatro, nella terza settimana dopo l’equinozio. Come indicato negli antichi scritti dei profeti barbuti, il capo del villaggio salì sopra la roccia ad arco per chiamare a raccolta la schiera dei suoi sottoposti, ciascuno dei quali recante un ciottolo, una gemma vegetale, un petalo o altro pegno simbolico della propria devozione. La pesante bandiera nera della Morte sventolava sulla svettante asta del portatore. E col sollevarsi di un canto simile a un peana catalizzatore, le loro voci s’incontrarono verso la quarta ottava, mentre iniziavano solennemente a marciare fino alle nodose radici del più alto eucalipto della zona. Tutto attorno ad esso, e avvolto attorno all’imponente tronco, sorgeva dal terreno un rampicante dai piccoli fiori rossi, e già qualche timido accenno di bacca dello stesso colore. Ma gli gnomi non guardarono con eccessiva attenzione tali aspetti, bensì perseguivano il crescendo canoro che una volta raggiunto, segnò l’attimo improvviso del silenzio. E l’inizio di una lunga e concentrata attesa. Passarono i secondi, quindi i minuti e addirittura le ore. Quando dondolando lievemente, l’aerodinamica forma iniziò a stagliarsi contro il cielo distante. “Oh sommo spirito del Drago della fine, ascolta le nostre preghiere!” Intonò con tono querulo il capo villaggio, togliendosi con entrambe le mani il copricapo conico, per appoggiarlo con gesto magniloquente sul suo petto temporaneamente immobile, mentre tratteneva il respiro. Soave in lontananza, si udì riecheggiare il verso di un gufo, che sembrò segnare l’attimo e il momento prefissato. L’essere strisciante simile a una foglia, che ormai era disceso a poco più di mezzo metro sopra il fusto della pianta epifita e si trovava su una diramazione quasi orizzontale, si arrestò e allargò le proprie pseudozampe di color marrone intenso. Con un ritmo all’improvviso accelerato, sollevò la testa, ripiegandola impossibilmente su se stessa. E fu soltanto in quel momento catartico, che si aprirono i suoi occhi cerchiati di giallo e apparve lo stregato filare di denti aguzzi su di un volto redivivo e smunto. Con un ghigno carico di sottintesi, a quel punto, il Drago iniziò a parlare.
Creature della notte figlie di sostanze psicotropiche menzionate nelle antiche tradizioni; mostri che compaiono al tramonto singolare della ragione. Alcuni bruchi, accantonato il mimetismo utile a passare inosservati, sembrano aver messo tutte le proprie ottime speranza nella possibilità di passare inosservati, puntando sui colori sgargianti, la forma stravagante ed altre doti esteriori per far PENSARE al nemico di essere velenosi, o in qualche modo dotati di un pessimo sapore. Ma che dire, invece, di chi vuole mantenere le sue zampe nei due contrapposti segmenti lungo l’asse delle possibilità? Un approccio alla questione che implica una forma complessa e in qualche modo trasformabile, ancora prima dell’imprescindibile imbozzolamento, che precorre l’apertura delle ali ed il decollo verso l’auspicato incontro amoroso dell’ultima ora. Forma come quella del Phyllodes imperialis (smithersi) o falena succhiatrice della frutta dal sotto-ala rosa, che come spesso capita sembra trovare il proprio appellativo dall’aspetto della forma adulta. Ma figura nelle enciclopedie, o rassegne biologiche di questi territori australiani, soprattutto durante il periodo della sua esistenza in cui conserva la forma larvale, di un bruco tozzo lungo fino a 12-15 cm. Capace d’inscenare, ogni volta lo ritenga necessario, la ragionevole imitazione di una lucertola predatrice, o alternativamente l’immagine inquietante di uno spirito tornato dall’altro Mondo, giunto sulla Terra per punire e redarguire i malvagi. Una dote inerente, quest’ultima, che potrebbe bastare ad elevarlo tra gli animali maggiormente rappresentativi dello sforzo collettivo nella conservazione della biodiversità ambientale. Se non fosse che, purtroppo, al di fuori del suo areale di appartenenza non sembrerebbe proprio conoscerlo nessuno…
Il P. imperialis rientra dunque nel genere dei lepidotteri Phyllodes, fam. Erebidae, spesso identificato con l’espressione omni-comprensiva di farfalle succhiatrici della frutta. Sebbene esistano due tipi di metodologia nutritiva da parte di queste creature, ciascuno indicativo di un diverso livello di rilevanza negativa per l’economia agreste. Assai più problematiche risultano essere, a tal proposito, tutte quelle farfalle dotate di un appuntito rostro o cannuccia, in grado di perforare senza alcun problema la buccia di mango, fico, papaya, kiwi e vari tipi di d’agrume. Mentre le appartenenti al secondo gruppo, tra cui per fortuna la specie a rischio della sotto-ala rosa, possiedono soltanto un flessibile proboscide, utile al massimo a consumare la polpa dei frutti già danneggiati o prossimi alla marcescenza. Il che gli basta a sopravvivere, comunque, le poche settimane o giorni necessari a raggiungere il momento dell’auspicato accoppiamento. Evento a seguito del quale, sostanzialmente, inizia un capitolo dalla natura più complicata. Questo poiché tale falena, secondo quanto ampiamente accertato dalla scienza, può deporre le sue uova unicamente sotto le foglie di una particolare pianta, il rampicante della giungla identificato con il nome scientifico di Carronia multisepalea. Che pur essendo abbastanza comune sul suolo vulcanico presente all’interno di particolari riserve nelle zone rurali del Queensland, risulta totalmente sconosciuto altrove e sta vedendo progressivamente ridursi il suo territorio di diffusione, causa l’inarrestabile processo di ampliamento delle zone coltivate ed adibite al prelievo di legna ed altre risorse vegetali pre-esistenti. Così che identificato in qualità di specie a rischio con l’Atto di Conservazione della Biodiversità del 2016, l’insetto è stato inserito nell’elenco di specie protette ad opera dello Stato, e fatto oggetto di una campagna mirante ad educare i proprietari terrieri sul suo aspetto e indurli in questo modo a preservare per quanto possibile i luoghi adatti alla sua importante, ma sempre più rara riproduzione. Degna di essere citata in modo particolare, soprattutto come fonte autorale del nostro video d’apertura, risulta a tal fine l’iniziativa del Concilio di Gold Coast, regione metropolitana sulla costa a sud del grande centro di Brisbane.
Una volta fuoriuscito dal suo uovo dopo un periodo di un paio di settimane circa, il piccolo bruco inizia quindi a nutrirsi delle foglie del rampicante, divorandole completamente fino all’attaccatura, mentre procede tutto attorno al fusto centrale. Non particolarmente prolifici o gregari, questi particolari lepidotteri non hanno un effetto particolarmente gravoso per l’ambiente, benché risultino individualmente piuttosto voraci. Attraversate quindi una quantità approssimativa di cinque mute, durante cui passano da una colorazione marrone fino a rosso o verde acceso (a seconda della sottospecie) le larve di P. imperialis iniziano a sviluppare la particolare livrea nascosta capace di salvarli nel momento della più estrema necessità. Posizionati tra le piegature della pelle, infatti, la forma degli occhi ed il disegno dei denti compaiono soltanto in un caso: quando il bruco assume la particolare posa, che indica l’intento di mettere alla prova la volontà del suo aviario, quadrupede o artropode predatore. Ciò con il probabile obiettivo, per quanto possiamo immaginare, di sfruttare l’effetto della sorpresa ed il conseguente shock capace di durare qualche significativo secondo, potenzialmente abbastanza perché qualcos’altro attiri l’attenzione del suo nemico.
Evento a seguito del quale, trascorso il pericolo, il bruco potrà nuovamente rilassare la sua forma, tornando a somigliare a una tranquilla ed insignificante foglia secca. Nella ricerca di un dualismo che, compiuto il miracolo della metamorfosi, continuerà a caratterizzare il suo aspetto di farfalla fatta e finita….
Piuttosto rara risulta essere, in effetti, una simile combinazione. Viste le ali superiori marrone chiazzato in una farfalla imponente, finalizzate a ornare i rami del viticcio con assoluta nonchalance situazionale. Coadiuvate dalle due inferiori di una tonalità rosa acceso, potenzialmente utile a risaltare limpide nel campo visivo del proprio partner riproduttivo, anch’esso di 13-17 cm di apertura alare, abbastanza da riempire il palmo la mano di un umano adulto. Così posandosi e volando in alternanza, essa prolunga il più possibile la sua esistenza. Ben sapendo che i suoi giorni tra i viventi sono prossimi al completamento. Ma qualcosa, dagli abissi silenziosi nel profondo della coscienza, sorgerà di nuovo. Perpetrando l’antico ciclo della rinascita alata.
Uno dopo l’altro, gli gnomi australiani si avvicinarono con passo rituale al teschio sovradimensionato dello strisciante Drago resuscitato. E chinando il capo, ricevettero l’attesa benedizione. Ciascuno di essi, quindi, fissando momentaneamente lo sguardo sulla cupa insegna del vessillifero, spalancò le braccia gettando via il cappello. E con un sospiro appena udibile, spiccò il volo.