Nasce forte nello zoo di Naples (FL) lo striato cucciolo del bongo

Cervocapra è lo strano connubio di termini, a suo modo esplicativo, che ci aspetteremmo di trovare tra i bestiari di una serie fantastica come Harry Potter o il Signore degli Anelli. Nonché la traduzione letterale, dalla lingua latina, del nome generico Tragelaphus, che assieme alla dicitura eurycerus, identifica la specie notturna cui appartiene questa distintiva creatura, immediatamente riconoscibile tra il gruppo variegato delle antilopi africane. Naso a punta di colore nero, corna geometriche e ritorte, zampe forti, grandi orecchie con la parte frontale a macchie, un folto pelo di colore rosso attraversato da una serie irregolare di candide strisce, con l’evidente scopo di assistere l’animale nel mimetismo. Nient’altro che un’antilope, e nient’altro che la più imponente e rara in tutto il continente africano, soprattutto nell’accezione rappresentata dalla qui presente varietà T. e. isaaci o bongo di montagna, che sul finire di febbraio ha visto la sua intera popolazione mondiale aumentare in un sol colpo di circa lo 0,7%. Per una collettività distribuita, prevalentemente, all’interno degli zoo e riserve disseminate per il mondo, mentre soltanto pochissimi esemplari restano allo stato brado tra i nativi massicci del Kenya, causa lunghi anni di caccia, persecuzione e soprattutto abbattimento sistematico delle dense foreste d’altura che costituiscono il suo naturale habitat d’appartenenza. In questo senso il rigoroso programma di tutela della principale istituzione zoologica della cittadina statunitense di Naples, sobborgo meridionale di Fort Myers in Florida, si trova qui ampiamente messo in mostra grazie all’ultimo successo conseguito nel far riprodurre in cattività, ed in tal modo prolungare l’esistenza di una simile leggenda vivente tra i ruminanti del nostro insostituibile pianeta.
La piccola femmina di nome Amali, parola che significa “speranza” in lingua Swahili, viene quindi mostrata mentre interagisce con la madre soltanto uno o due giorni dal momento della nascita, con un peso complessivo già in grado di aggirarsi attorno ai 20 Kg e un’altezza non trascurabile di 0,6 metri. Evidentemente pronta, qualora se ne presentasse la necessità, a fuggire istantaneamente tra i cespugli che da tempo immemore hanno offerto ai suoi antenati l’occasione di nascondersi o far perdere le tracce, che includono leopardi, iene e in qualche caso più raro, i leoni. Benché questi ultimi, data la preferenza per la vita di pianura, siano soliti nutrirsi piuttosto della varietà assai più diffusa di quest’antilope, quella T. e. eurycerus dal colore meno acceso, e dimensioni lievemente superiori, di cui restano in vita una quantità stimata tra i 15.000 e i 25.000 esemplari adulti. Non che ciò basti a renderla particolarmente famosa al di fuori del suo vasto territorio d’appartenenza, che include il Congo, la Costa d’Avorio, la Guinea Equatoriale, Gabon, Ghana e Sudan meridionale, facendone essenzialmente soltanto uno tra i molti animali trascurati del più biodiverso continente globale, continuando a far salire il grado di minaccia per un mantenimento complessivo degli spazi necessari alla sua continuativa sopravvivenza. Che tendono a presupporre, causa la specifica collocazione ecologica dell’animale, caratteristiche ed un’estensione tutt’altro che flessibili, incrementando ulteriormente le inerenti problematiche di una specie che potrebbe vedere peggiorare a breve la sua classificazione nell’indice delle specie in pericolo classificate dall’ente internazionale dello IUCN…

Una delle principali attrazioni in questo parco naturale a Fossil Rim, in Texas, questa famiglia di bongo sembrerebbe aver già dato anch’essa il proprio contributo alla prosecuzione della specie. Nel caso del cucciolo di Naples, la riunione con il padre è stata soltanto temporaneamente posticipata.

Diverse dal punto di vista genetico ed almeno in parte, anche nell’aspetto, le due sottospecie del bongo si ritrovano d’altronde pienamente accomunate in tali caratteristiche, che le vedono egualmente inclini a interazioni sociali complesse successivamente al tramonto del sole, tra gruppi d’individui che raramente superano i 15-20 esemplari, capaci di avvisarsi in modo solidale con richiami perfettamente udibili al palesarsi di un possibile pericolo predatorio. Eventualità a seguito della quale sono soliti rivolgere i quarti posteriori all’indirizzo del nemico, voltando indietro la testa per essere pronti a scattare a gran velocità in avanti qualora finissero per ritenerlo necessario. Un carattere schivo ed attento che non ha del resto impedito ai naturalisti di approfondire il suo stile di vita, riproduttivo e gli altri aspetti comportamentali, tratteggiando un quadro che per certi versi accomuna e al tempo stesso distingue l’eurycerus con le altre specie del genere Tragelaphus, più volgarmente detto delle “antilopi di foresta”. Con una dieta totalmente erbivora inclusiva nel caso preferibile di foglie, frutta caduta a terra, cespugli leguminosi, rampicanti e corteccia di alberi marcescenti, nutrendosi soltanto più raramente dell’erba cresciuta direttamente a terra, assieme a diverse tipologie di radici e cereali. Per un’approccio alle fonti di cibo sopraelevate che vedono il bongo fare affidamento, come la più famosa giraffa o il rinoceronte, sulla lingua lunga e prensile, capace di funzionare come un vero e proprio arto manipolatorio. Molto importanti, tra le sue abitudini alimentari, è anche la migrazione periodica presso i depositi e gli affioramenti di sali minerali nel cuore della foresta, fonte essenziale delle sostanze chimiche necessarie allo scorporamento e digestione delle piante tossiche occasionalmente ingerite nel corso della settimana. Dal punto di vista biologico il bongo è classificabile a pieno titolo nella categoria dei ruminanti, col suo stomaco diviso nei quattro compartimenti di rumine, reticolo, omaso e abomaso, ciascuno corrispondente a una diversa fase di fermentazione e successiva metabolizzazione grazie ai succhi gastrici delle sostanze contenute nei più recenti banchetti vegetali.
Per quanto concerne la stagione degli accoppiamenti, questi animali sono soliti trovare una compagna successivamente a una semplice prova di forza tra i maschi non-territoriali, che include un bonario confronto litigioso senza dover ricorrere per forza all’uso delle corna, utilizzate per lo più in effetti solamente per farsi strada all’interno del fitto sottobosco. Ragion per cui, tra tutte le antilopi, questa è la sola in cui anche il gentil sesso dispone di tale armamentario cheratinoso, in scala meno spessa e più curvilinea, ma egualmente resistente quanto leggero, causa la presenza di uno spazio cavo all’interno. La gestazione dura quindi tra i 282 e i 285 giorni, al termine dei quali nasce nella maggior parte dei casi un singolo cucciolo, sebbene coppie di gemelli siano state documentate, casistiche nelle quali entrambi si presentano caratterizzati da un peso più contenuto. Segue in natura il progressivo periodo verso il raggiungimento dell’indipendenza, che vede il maschio pronto a riprodursi entro un periodo di 914 giorni, mentre alla femmina ne bastano appena 806, a seguito dei quali entrerà in calore con cadenza pressoché mensile. La durata della vita complessiva, secondo quanto osservato in cattività, si aggira attorno ai 20 anni sebbene sia probabile estendersi per un periodo mediamente più breve negli esemplari allo stato brado, causa il verificarsi d’inevitabili incidenti di percorso.
Lungamente cacciato per scopi alimentari, come importante risorsa costituente nel corpus complessivo costituito dalla cosiddetta “carne del bush” il bongo è stato catturato negli anni anche per l’affascinante colore del suo mantello, sebbene sembra sia incline a sbiadirsi piuttosto presto, giungendo persino a tingere l’acqua della pioggia ancor prima che tocchi il suolo. Qualità folkloristica mediamente vantaggiosa si è invece rivelata essere, attraverso gli anni, la credenza di talune popolazioni locali secondo cui toccare accidentalmente il bongo potrebbe indurre negli umani improvvise crisi epilettiche, rendendolo una delle vittime meno auspicabili all’interno delle battute di caccia tribali.

Aggraziata ed insolita, la più grande antilope di foresta possiede tutte le caratteristiche necessarie a diventare un ambasciatore biologico del suo notevole ambiente di provenienza. Eppure, fuori dall’Africa, resta ancora oggi per lo più sconosciuta. Per ora?

La particolare storia del bongo di montagna T. e. isaaci, con la sua popolazione complessiva per lo più custodita in cattività soltanto quattro piccoli raggruppamenti di animali rimasti liberi e incapaci di radunarsi, può quindi costituire un chiaro esempio dell’importanza ai fini conservativi delle istituzioni zoologiche, soprattutto per sottospecie come questa che si trovano nell’immediato rischio critico d’estinzione. In tal senso un mantenimento rigoroso degli elenchi di antilopi in età riproduttiva può costituire una risorsa di fondamentale importanza, così come il confronto periodico a mezzo internet, di coloro che sono incaricati di accudirle e fare da agenti matrimoniali per garantire l’appropriata prosecuzione della specie.
In qualunque modo vada a finire, potremmo a questo punto dire, sarà un successo purché tale modo includa la specifica sequenze di cause ed effetti tali da garantire la continuativa sopravvivenza della specie. Ed in tal senso, sarebbe difficile negare come la fiorente città peninsulare di Napoli (Florida) abbia ancora una volta offerto un valido contributo e presupposti condivisibili di tutela. Sarebbe tuttavia opportuno, oggi stesso e nel futuro prossimo, che il mondo intero riesca a conoscere l’evidente splendore intrinseco di questa rara creatura. Agendo tempestivamente, finché continuerà a persisterne l’opportunità.

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