Forse l’orso polare, candido e massiccio, predatore di terra più temibile di tutto il pianeta. O magari l’alce dalla sua svettante corona, le cui proporzioni quasi preistoriche trovano rivali solo tra i grandi mammiferi della savana africana. L’aquila, la terna o il gufo delle nevi? Che osservano dall’alto il dipanarsi degli eventi, potendo scegliere le proprie battaglie e dove procurarsi il necessario per estendere la propria sopravvivenza. Se non vogliamo, piuttosto, andare a rendere gli omaggi tra gli abissi dell’oceano, nella guisa di scaltra e vorace orca, oppure il narvalo con il suo dente simile a una spada, o ancora saggio ed amichevole beluga… Definire chi possegga il vero predominio del gruppo di terre che circondano la grande e sottile distesa di ghiaccio perenne che si trova nell’estremo settentrione, ben diversa dall’effettivo e impenetrabile continente del Polo Sud, non è più semplice che farlo fuori da una qualsivoglia narrazione fiabesca. Poiché intelligenza, forza, capacità di perseguire gli obiettivi e di proteggere i propri diretti sottoposti, sono tutte doti che appartengono, in misura differente, ad una vasta gamma di creature naturali. C’è tuttavia un imponente animale, erbivoro ma non per questo privo di difese, che più di ogni altro sembrerebbe costituire la perfetta convergenza di una simile pluralità di doti. Ed il suo nome, nella lingua indigena del Saskatchewan è mâthi-mostos, l’orribile bisonte. Mentre per gli Inuit del Canada Occidentale è umingmak, il barbuto. Ma voi potreste averlo conosciuto in precedenza, secondo lo schema molto meno metaforico del mondo contemporaneo, con il termine semplicemente descrittivo di bue muschiato. Ovibos moschatus è quella creatura che tranquillamente prospera, ed agevolmente riesce a riprodursi, là dove nessun altro tipo d’ungulato è solito riuscire a spingersi neppure temporaneamente, mancando degli eccezionali adattamenti evolutivi frutto di molti millenni d’evoluzione. A partire dall’epoca del tardo Pliocene (fino a 2,3 milioni di anni fa) quando gli antenati della sua famiglia dei bovidi iniziarono a migrare sempre più lontano verso le grandi distese disabitate, dove nessuno potesse minacciare l’incolumità dei propri nuovi nati. Con una capacità innata di trovare i punti in cui la neve sembra farsi più sottile, riuscendo a nutrirsi di sparuta erba, piante robuste come il salice artico, muschi, radici e licheni. E soprattutto fare affidamento sulla loro più notevole e distintiva caratteristica, il possesso di un folto strato di pelo superficiale, tanto lungo da raggiungere il terreno in determinati casi, isolando l’ungulato da qualsiasi condizionamento frutto di un clima estremamente poco accogliente. Importante aspetto nel definire tassonomicamente un simile gigante, capace di raggiungere i 400 Kg in natura e fino ai 600 in cattività, è la mancanza di un rapporto di parentela stretto con il bisonte delle grandi pianure americane, e quello ormai rarissimo del continente europeo, essendo tali esseri dei membri della sottofamiglia Bovidae, mentre il bue muschiato è soprendentemente un membro del gruppo contrapposto dei Caprinae. Risultando nei fatti più strettamente associato alle pecore e capre moderne, o per essere più specifici le goral (gen. Naemorhedus) o takin dell’Himalaya, con cui condivide anche le considerevoli dimensioni. Laddove in effetti il bisonte, bovino a tutti gli effetti dall’aspetto esteriormente simile, può tranquillamente avvicinarsi alla tonnellata di peso, superando agevolmente l’imponenza di questa già ingombrante presenza. Caratteristica in comune di entrambe queste linee di discendenza parrebbe essere d’altronde la testa considerevole, dotata di piccole corna rivolte verso l’alto e usata durante la stagione degli accoppiamenti per determinare chi sia l’esemplare più forte, tramite una serie di roboanti impatti frontali, fino all’inevitabile ritirata di coloro che perdono necessariamente di vista l’obiettivo di partenza: guadagnarsi l’attenzione di una o più femmine, al fine di riuscire a mettere su famiglia. L’interesse totalmente in comune a qualsivoglia abitante dei diversi habitat, data l’importanza in natura di riuscire a preservare l’unicità dei propri geni…
L’effettivo comportamento dei buoi muschiati durante l’intera stagione riproduttiva, collocata tra agosto e settembre, subisce quindi una trasformazione molto significativa. Con la deriva verso un contegno particolarmente solitario, ed aggressivo verso i propri simili e chiunque altro, mentre cospargono il suolo e loro stessi di un’urina particolarmente odorosa, da cui prendono per l’appunto il nome. Questo nonostante il bue in questione sia privo di una vera e propria ghiandola del muschio, come quella posseduta da taluni altri ungulati, potendo tuttavia contare sul fluido dall’odore dolciastro emesso nella zona sub-orbitale, copiosamente strofinato dal capo dell’harem sulle proprie preziosissime consorti. L’effettiva struttura sociale dei suoi branchi infatti, composti da una quantità di fino a 24 esemplari in inverno e mai più di 20 in estate (anche meno quando iniziano a formarsi le fazioni del conflitto pre-matrimoniale) prevede un singolo condottiero dominante cui è permesso esclusivamente l’atto riproduttivo con ogni singola partner a disposizione, sebbene tale ruolo sia estremamente fluido e incline a cambiare dopo una singola carica vittoriosa. Il che rappresenta, tra l’altro, una delle caratteristiche per cui simili grandi bovini andrebbero osservati unicamente da molto lontano, vista la capacità di spostarsi per brevi tratti a fino a 40-50 Km/h, abbastanza per travolgere qualsiasi umano privo di supporto veicolare. Un consiglio molto semplice da seguire, anche istintivamente, se è vero che si ha notizia di una singola morte dovuta ad un attacco del bue muschiato, avvenuto nel 1964 ad Åmotsdal, in Norvegia. Assai probabilmente, la vittima deve aver commesso una significativa imprudenza.
Nell’organizzazione ecologica del sistema artico, il principale predatore dei nostri candidati al ruolo di sovrano ungulato è quindi il lupo delle nevi (Canis lupus arctos) con il suo efficace sistema di caccia in gruppi di svariati esemplari ben coordinato, che gli permette di circondare e separare dal branco esemplari vecchi, malati o troppo giovani per proteggere se stessi. Circostanze entro le quali i buoi, così come fatto dai loro distanti colleghi del meridione, sono soliti implementare strategie di difesa dall’alto grado di sofisticazione, circondando i più deboli e mancando di offrire il fianco alle pericolose fauci dei propri nemici. Un approccio tutt’altro che non-violento, che prevede a più riprese il capovolgimento tra preda e predatore mentre le piccole ma aguzze corna formano una barriera impenetrabile nei confronti dei canidi comprensibilmente affamati. Poiché l’Artico non perdona nessun tipo di debolezza, e forgia creature dalla formidabile capacità di superare le più difficili avversità dell’esistenza. Tra cui soltanto alcune riescono a sopravvivere, mentre tutte le altre vanno incontro all’immancabile sentiero della rovina. Se il singolo figlio partorito tra marzo ed aprile di ciascuna coppia (i gemelli sono rari e in genere non sopravvivono) riuscirà quindi a superare indenne la sua prima estate e l’inverno successivo, ci saranno ottime probabilità che possa raggiungere l’età dell’autosufficienza e preservare la sua stessa incolumità nei successivi anni a venire, fino a una durata della vita massima che si aggira tra i 15-18 anni.
Creatura generalmente non vulnerabile dal punto di vista della conservazione, il bue muschiato viene cacciato da molti popoli nell’intero estendersi del suo areale circum-polare, sebbene tale pratica sia severamente limitata e regolamentata in Alaska da un sistema di lotterie di stato. Nel Nord Europa, nel frattempo, alcune popolazioni locali erano state del tutto eliminate a causa della pratica non sostenibile, ma sono state negli anni recenti reintrodotte e hanno iniziato a prosperare senza nessun tipo di problema. Così da costituire, in maniera altamente pubblicizzata online, un letterale caposaldo del turismo ecologico, in un’ampia serie di tour e safari fotografici gestiti da compagnie locali. L’allevamento in cattività di contro, non propriamente semplice da gestire, viene finalizzato non tanto al consumo delle pur saporite carni quanto alla produzione della pregiatissima fibra di qiviut, una lana ancor più morbida di quella d’alpaca e sottile del cashmere, particolarmente apprezzata nella produzione d’indumenti dalle notevoli capacità d’isolamento termico, posizionati verso i segmenti più costosi di quel mercato: si sta parlando, per intenderci, di oltre 150 euro per un cappello o una sciarpa, e fino a 700 per una giacca pur senza la firma di alcuno stilista di chiara fama.
Che cosa dovrebbe definire più di ogni altra cosa, in ultima analisi, le vere caratteristiche di una maestà del regno animale? La forza e il coraggio, la resistenza e lo spirito d’abnegazione? La stazza, il prestigio, la ricchezza delle proprie vesti? (porta l’abbigliamento del lavoro che desideri fare, non quello che hai…)
O forse la dote ancor più determinante di qualsiasi altra, di poter sopravvivere indenni a diversi eventi catastrofici d’estinzione, come i grandi sconvolgimenti climatici vissuti dal nostro mondo al principio del Pleistocene, quando iniziò a protrarsi il più lungo e interminabile degli inverni, ed il ghiaccio ricoprì fino ai più remoti recessi delle terre emerse settentrionali. Perché è molto più facile ignorare gli ostacoli e le difficoltà costituite dai mutamenti del cielo e della terra, quando si è cresciuti nel punto focale del cambiamento stesso. Ornati da un fitto pelo che vale più di qualsiasi armatura e corna abili quanto basta, per proteggere se stessi e il regno. Così che proprio dalla specializzazione più estrema, possano nascere i più significativi princìpi di adattamento. Ed i nuovi prìncipi, che erediteranno gli spazi necessari a preservare la il nobile olezzo dei muggenti progenitori.