Nei miei sogni, la testa dei demoni è appesantita da una coppia di corna a forma di S, orientate casualmente verso l’arco sfavillante della volta celeste. Essi possiedono gli zoccoli al termine di tutti e quattro gli arti, che usano per bilanciarsi mentre compiono l’attività che maggiormente gli appartiene: mangiare, mangiare foglie a profusione con la loro bocca a punta e il ventre bulboso, in mezzo a spine lunghe quanto il crudo apice di uno stiletto sanguinario. Ed occhi enormi, neri e profondissimi come l’abisso dei dannati. Mentre camminano con andatura dinoccolata sulle zampe articolate all’inverso, caviglie lunghe almeno quanto i polpacci umani, il loro collo simile a quello di un cigno oscilla da una parte all’altra, come se andassero in cerca di qualcosa. Ed è allora che uno di essi (o “loro”) volta il proprio sguardo verso la mia forma d’intruso, almeno in apparenza continuando a masticare la foglia fibrosa. Mentre in quel momento, all’interno della mente, percepisco chiaramente le parole “Uh-mano, torna pure sulla Terra. Ma riporta indietro questa conoscenza: in futuro, non sarà per te possibile sederti, quando vorrai mangiare. Per sempre in equilibrio sulle gambe dei vi-venti, dovrai il diurno pasto consumare. In piedi, eternamente pronto per tornare al Lavoro!”
Bene, direi. Anzi anche meglio: perché quando osservo il lauto pasto delle antilopi gerenuk (o garanug che dir si voglia) capisco che l’evoluzione, o il maggiore dei demiurghi se vogliamo, certamente manteneva al centro dei pensieri un piano estremamente valido, nonché efficace. Sebbene possa facilmente dare l’impressione, al primo sguardo, che si tratti di un qualche irreale effetto cinematografico. Le antilopi d’altronde, per non parlare dell’intera famiglia dei bovidi, non presentano particolari predisposizioni all’andatura bipede, meno che mai in assenza del contributo diretto di un addestratore umano. Eppure simili creature, anche chiamate Litocranius walleri per volere del loro primo classificatore il naturalista e baronetto inglese Victor Brooke nel 1878, o ancora “gazzelle giraffa” in funzione di una mera somiglianza procedurale del proprio approccio al cibo, sembrano perfettamente a loro agio quando si alzano facendo quanto qui accennato, con il preciso ed evidente fine di raggiungere le tenere foglie al di fuori della portata di altre specie con cui condividono la nicchia ecologica d’appartenenza. Situata, nello specifico, presso l’intera Africa Orientale ma in modo particolare nel Corno, benché trattandosi di una specie piuttosto rara fin da quando se ne ha memoria, ulteriormente minacciata dalla progressiva riduzione degli habitat e la mancanza di legislazioni specifiche a impedirne la caccia, stia diventando in epoca recente una vista piuttosto infrequente. Tale da lasciare, al primo contatto, qualsiasi osservatore impreparato del tutto privo di parole, dato l’aspetto vagamente alieno di queste creature, in grado di rievocare soprattutto durante il pasto l’iconografia tipica degli alieni cosiddetti “grigi”, esperti rapitori mediante raggi traenti di mucche, persone scriteriate ed altri evidenti esempi della fauna terrestre, straordinariamente varia…
Come facilmente desumibile dal loro aspetto tanto distintivo, le antilopi gerenuk hanno sempre costituito un problema tassonomico dalla risoluzione alquanto complessa. A lungo tempo considerata una stretta parente della ditabag o Ammodorcas clarkei, data la somiglianza dei rispettivi lunghi colli, la nostra amica ne è stata in seguito dissociata a seguito di approfondite analisi genetiche effettuate nel 1999, che hanno riconfermato il sospetto secondo cui facesse parte di una sua tribù monofiletica (dotata di un singolo antenato) ovvero quella degli Antilopini. Ulteriori studi portati avanti presso l’Università di Cambridge hanno inoltre individuato discendenti confinanti nelle specie apparentemente molto diverse, nonché geograficamente distanti, della Saiga tartarica (antilope delle steppe) e l’Antilope cervicapra, anche detta cervo nero del subcontinente indiano.
In natura, l’animale talvolta scambiato superficialmente o a notevoli distanze per un piccolo di giraffa è abituato a vivere in piccoli branchi di fino a 10 esemplari, formati generalmente da femmine tutte imparentate coi loro piccoli, oppure gruppi di maschi giovani in cerca di compagne. Una volta che uno di loro avrà stabilito la propria posizione dominante, inizierà a marcare il territorio mediante l’impiego della secrezione delle ghiandole posizionate vicino agli occhi, iniziando a proteggerlo con enfasi supportata da potenti colpi vibrati grazie al suo notevole paio di corna, del tutto assenti invece negli esemplari di sesso femminile. Per quanto concerne l’accoppiamento, queste antilopi non hanno particolari stagioni ma piuttosto sorvegliano l’altro sesso in maniera pressoché costante, con i maschi sempre attenti ad ispezionare l’urina di potenziali compagne, fino all’inizio di un preciso rituale, fortemente insolito nel suo contesto d’appartenenza: una volta individuata la propria partner, infatti, il maschio la marcherà con le ghiandole sub-orbitali, mostrando il collo e le corna, e inizierà a seguirla dovunque usando gli zoccoli anteriori per colpirla ad intervalli regolari sulle cosce. Finché avendone rilevato lo stato di preparazione raggiunto, non inizierà la fase finale dell’accoppiamento.
Dopo un periodo di gestazione di circa 165 giorni, la madre partorirà un singolo cucciolo, molto precoce per natura, che inizierà fin da subito a seguirla ovunque. Dotato di forte propensione istintiva a nascondersi e restare immobile, quest’ultimo resterà dipendente da lei per lo svezzamento fino al primo anno di età se si tratta di una femmina, ed un anno e mezzo nel caso di un maschio. Per quanto concerne d’altra parte l’autodifesa degli adulti contro l’assalto dei predatori, che possono includere grandi felini, tra cui leoni e ghepardi, o canidi come la iena e il licaone, la gazzella dal lungo collo presenta una reazione istintiva piuttosto atipica, che consiste nel restare immobile finché gli è possibile, tentando di fare affidamento sulla propria colorazione mimetica al fine di passare inosservata. Per poi passare tentare di allontanarsi a una velocità comunque ridotta e generalmente inferiore al trotto. Un tipo di approccio che appartiene, nella maggior parte dei casi, ai bovidi degli ambienti boschivi piuttosto che quelli della savana, maggiormente propensi a lanciarsi al galoppo al primo avviso di un pericolo latente.
Aspetti senz’altro problematici nella conservazione della gerenuk sono la sua natura schiva e la livrea mimetica, che hanno collaborato negli anni a renderne difficile la conta mediante mezzi aerei o l’individuazione diretta a livello del suolo. Tanto che oggi l’ente internazionale dello IUCN riporta una quantità stimata di 95.000 individui, che era stata originariamente sottostimata ad appena 24.000. Ciò in quanto, per sua fortuna, l’antilope raggiunge la maturità sessuale dopo appena 24 mesi e tende a vivere in media fino alla cifra considerevole di 10-12 anni. La densità di questi animali risulta essere comunque in calo ed in funzione di ciò sono stati classificati con lo stato di “quasi a rischio” (NT – Near Threatened).
Che ne pensate, dunque, di farli conoscere attraverso lo strumento sempre flessibile di Internet, affinché tutti possano condividere, ed in qualche modo partecipare, al costante sforzo di consumare chilogrammi d’acacia, mentre ci si tiene attentamente in equilibrio sulle zampe posteriori? Benché in definitiva, sarebbe erroneo sentirsi dispiaciuti per chi fatica per consumare la propria nutritiva dose quotidiana di foglie. Piuttosto che tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, potranno soltanto aspettare di riuscire a farlo, per divina o infernale concessione, avendo lasciato sulla Terra la propria forma tangibile di appartenenza.