Ritrovato in un giardino il camaleonte perduto da oltre 100 anni in Madagascar

Quale gemma, era scomparsa, tra le pieghe delle odierne circostanze! Che lucore tenue si era affievolito, nella collezione mai del tutto raggiungibile delle creature inusitate… Poiché il gesto di distrarsi, non può che essere la mera conseguenza di un complesso centenario, come quello che avevamo visto compiersi senza più vedere, né poter toccare questa “piccola” creatura. Si fa per dire, visti i 264 cm di lunghezza che non sono pochi se si parla di un camaleonte, come l’essere trovato, a fronte di una lunga e complicata ricerca, dalla spedizione composta da Frank Glaw, capo del Dipartimento dei Vertebrati della Collezione di Stato Zoologica bavarese, un importante istituzione di ricerca gestita dallo stato tedesco. Dopo aver girato, nell’ordine, le foreste non protette di Antsanitia e Betsako, l’area selvaggia attorno al faro della riserva di Antrema e la vallata posta innanzi alla caverna d’arenaria di Mahajanga. Per venire quindi a patti con l’innata propensione delle cose a prendere una strada inaspettata, scorgendo finalmente l’obiettivo nel bel mezzo dell’insediamento omonimo, cittadina portuale di 149.000 abitanti nella parte nord-occidentale della grande isola del Madagascar. E… Chi l’avrebbe mai detto? Sulle piante ad alto fusto del cortile, notoriamente poco coltivato, dell’hotel di Madame Chabaud. Il cui personale è stato pronto, con cordialità evidente, ad illustrare come tali rettili fossero in effetti tutt’altro che rari negli immediati dintorni, aumentando di numero periodicamente durante l’intero periodo della stagione delle piogge (gennaio-marzo). Per una scoperta registrata dagli scienziati nel distante 2018 ma soltanto pochi giorni fa pubblicata, dopo un lungo periodo di analisi e controlli, sulle prestigiose pagine della rivista tedesca Salamandra. Dando spazio e nuova vita a una creatura, predatoria e interessante, che da tanto a lungo era scomparsa dalle cronache biologiche, dopo la sua prima classificazione ad opera del zoologo Oskar Boettger, che l’aveva dedicata al celebre collega Alfred Voeltzkow (1860-1947) verso la fine del XIX secolo. Diventando nel trascorrere del tempo una sorta di leggenda, tanto che il consenso cominciò a virare verso la teoria che fosse nient’altro che una sottospecie del camaleonte di Labord diffuso nella parte meridionale dell’isola, data l’evidente somiglianza morfologica sulla base dei dati a nostra disposizione. Mentre il Furcifer voeltzkowi, come dimostrato da Glaw, possiede una sua propria unicità genetica ma anche una storia di vita assai probabilmente simile alla specie cognata, che lo porta a fuoriuscire dal suo uovo con le prime piogge di novembre, per raggiungere la maturità sessuale a gennaio, quindi accoppiarsi una singola volta e poi deporre le sue uova a marzo, poco prima di morire. Basterà trasferire, dunque, un tale ciclo d’esistenza a una popolazione più ridotta e in grado di occupare zone generalmente remote nel periodo in cui le strade malgasce diventano impraticabili, per comprendere come, lungo l’estendersi di tanti anni, il camaleonte possa essere rimasto non visto dagli occhi umani. Con conseguente perdita di un significativo senso di meraviglia, dato l’aspetto notevole delle sue femmine particolarmente durante il breve periodo degli accoppiamenti, quando assumono una tonalità variopinta che include il blu, il viola, l’azzurro ed il nero, convergenti in una serie di macchie rosse sui fianchi con assicurato effetto scenografico nei confronti del potenziale partner d’occasione. La cui ricerca occupa, nei fatti, il periodo più lungo e complicato della sua vita…

Il camaleonte di Labord presenta numerosi punti contatto con lo smarrito F. voeltzkowi, incluso l’aspetto variopinto della femmina. I più attenti noteranno alcune significative differenze, benché l’identificazione al di là di ogni dubbio sia sempre possibile, mediante il tipo di approfondimento genetico implementato dalla squadra di Glaw.

Il maschio del camaleonte di Voeltzkow (e Labord) possiede, di contro, un aspetto relativamente sobrio con livrea uniforme di colore verde, oltre all’elemento ulteriore di un rostro osseo posto in corrispondenza del naso, comunque presente anche nelle femmine ma quasi invisibile nella maggior parte dei casi. Uno strumento quest’ultimo, un po’ meno pronunciato rispetto alla specie cognata, che l’animale utilizza assieme all’alta cresta per combattere con i suoi simili e la consorte in persona, il cui incontro sulle cime distanti degli alberi tende spesso a diventare una vera e propria battaglia prima che il destino possa compiersi secondo un preciso copione. Fino all’inseminazione delle cinque o sei uova in media contenute nell’apparato riproduttivo di lei, che potrà quindi assolvere al dovere biologico affidatogli dalla natura, verso una schiusa che potrebbe richiedere fino a 4 mesi d’auto-incubazione. Una tempistica entro la quale, generalmente, è già sopraggiunta la senescenza e dipartita di entrambi i genitori, portando l’intera procedura a ricordare quella praticata dalla maggior parte degli insetti univoltini, ovvero inclini a riprodursi per una singola volta entro l’intero periodo di un anno ed il compiersi della loro intera esistenza su questa terra. Benché sia ritenuto probabile, da Glaw e colleghi, che la durata della vita del voeltzkowi possa risultare inerentemente superiore a quella del labordi, dato il clima maggiormente clemente e l’abbondanza di cibo nella zona nord-occidentale del Madagascar. Altre differenze tra le due specie, nel frattempo, includono una dimensione leggermente inferiore della specie appena riscoperta e una collezione di colori ancor più accesa nelle femmine, particolarmente durante il periodo di gestazione delle uova. Con la probabile finalità di scoraggiare i potenziali spasimanti una volta che l’accoppiamento si è già verificato con qualcun altro, espediente particolarmente importante data la singola occasione concessa per convolare a nozze prima del concludersi di un’esistenza quasi freneticamente breve.
Per passare quindi ad un’analisi di tipo ecologico, questo particolare esponente del variopinto genere Furcifer non si discosta in modo significativo dai suoi cugini, presentando la stessa fusione delle dita delle zampe onde favorire l’arrampicamento dei rami, con lingua saettante in grado di ghermire insetti grazie alla saliva appiccicosa. Mentre gli occhi, grandi indipendentemente mobili, presentano la singola apertura di un minuscola pupilla centrale, eternamente attenta alla cattura di possibili prede. La lingua dei camaleonti malgasci, in modo particolare, riesce ad essere talvolta più lunga del corpo stesso dell’animale, raggiungendo una velocità di spostamento pari a 26 volte tale spazio nel giro di un singolo secondo. Per quanto concerne le capacità mimetiche, concesse dalle cellule speciali definite cromatofori, il camaleonte vi ricorre esclusivamente a scopo aposematico ed al fine di comunicare il proprio stato d’animo ai suoi simili. Contrariamente all’idea comune secondo cui possiederebbe innate capacità mimetiche, una dote che appartiene piuttosto ai cefalopodi degli ambienti marini. Benché sia necessario ammettere come in materia di nascondigli, il voeltzkowi scomparso da oltre un secolo non abbia molto da invidiare a nessuna delle creature che percorrono, nuotano o volano su questa Terra. Tanto ricca di meraviglie, quanti sono i pertugi in cui queste sembrano riuscire a scomparire, ogni qualvolta se ne presenti la sfuggente opportunità…

Alcuni camaleonti del genere Furcifer, come questo oustalieti, si dimostrano capaci di raggiungere dimensioni davvero ragguardevoli. Lo stesso gruppo include anche il camaleonte pantera (F. pardalis) particolarmente apprezzato nei terrari domestici, la cui durata di vita in tali ambienti controllati riesce ad estendersi fino a 2-3 anni.

La riscoperta del camaleonte s’inserisce dunque nel contesto del progetto a lungo termine della Global Wildlife Conservation, il fondo internazionale che ha fatto la propria missione, negli ultimi anni, dell’incentivare il ritrovamento di una serie di specie ritenute possibilmente estinte, sebbene nessuno sia effettivamente certo di una simile qualifica oltre ogni possibile ritorno. Grazie all’individuazione di 25 animali e piante considerati chiave in un tale sforzo, di cui sei sono già stati effettivamente riportati alla luce, incluso il sengi o toporagno somalo (Elephantulus revoili) l’ape gigante di Wallace (Megachile pluto) e la pianta carnivora dal fiore di velluto dell’indonesia (Nepenthes molli). Mentre altre, come il cavalluccio marino collo-di-toro (Hippocampus minotaur) continuano a rimanere offuscate.
Verso uno sforzo particolarmente utile, come descritto nello stesso studio di Glaw sul camaleonte, a comprendere e misurare il progressivo degrado del mondo verso l’incipiente e cosiddetto evento di macro-estinzione dell’Antropocene, ovvero il primo che verrà causato, con ogni probabilità, dalle macchinazioni imprudenti dell’uomo. Un risvolto che potrebbe costare, all’intera esistenza della vita su questo pianeta, una percentuale considerevole della sua preziosa biodiversità ereditaria. E non esiste davvero un modo, nella realtà dei fatti, in cui alcun camaleonte possa riuscire a nascondersi dal suo triste, irrimediabile destino!

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