L’astuto richiamo della rana con il muso di un formichiere

Succede ogni anno con l’arrivo della primavera, particolarmente nelle abitazioni rurali: un suono fastidioso che ricorre verso le ore diurne, prodotto dall’insetto che non ha paura di farsi trovare. Grillo, grillo, grillo (sono io) continua a reiterare, nell’egoistica speranza che qualcuna, di passaggio, resti catturata da quel suo richiamo. E non importa quanto, con enfasi e attenzione operativa, si tenti disperatamente di trovarlo per farlo tacere. Il cantore non potrà far altro che spostarsi, mettersi più in alto e dare fondo nuovamente al repertorio. Immaginate dunque di svegliarvi, per un caso del destino, presso un resort verso l’entroterra della catena montuosa indiana dei Ghati occidentali. Ove fin da tempo immemore, il richiamo per l’amore mattutino maggiormente conosciuto fu associato al semplice frinir del vento, o insetto invisibile delle boscose circostanze. Poiché questo sibilo strozzato, simile alla tromba di un giocattolo per cani, pareva provenire tanto spesso da radure ove non c’era nessun tipo di animale, nascondiglio o altra maniera per riuscire ad esibirsi rimanendo al tempo stesso lontano dagli sguardi dei predatori. Se non che costei, la rana Nasikabatrachus sahyadrensis, non ha bisogno di cespugli, tronchi o altre preminenze del paesaggio, poiché può creare il proprio spazio personale grazie ad un approccio che ricorda quello della talpa: semplicemente, scavando.
Strano ma vero? Sono certo che non avrete mai sentito parlare di una rana che emette il suo richiamo, rigorosamente durante la piovosa stagione dei monsoni, dalle ctonie tenebre della sua tana. Forse disinteressata alle limitazioni acustiche di tale scelta, oppur costretta, dalle circostanze, a rimanere sottoterra fino all’ultimo secondo. Con una lunghezza di 45-48 mm in un’area come quella delle cosiddette “Benevole Montagne” cionondimeno abitate da una grande quantità di mammiferi e rettili aggressivi o in qualche modo spaventosi, tra cui mustelidi, macachi, tigri e lucertole iguanidi, per non parlare delle popolazioni umane locali tradizionalmente abituate a mangiarla, questa creatura non può dunque far altro che anteporre la propria personale incolumità, facendo in tal modo seguito al comportamento adottato nel corso del resto dell’anno. Una vita trascorsa interamente nella sua buca segreta, facendo affidamento sulla sola lingua lunga e tubolare per catturare formiche o termiti di passaggio, una dopo l’altra, senza neanche muoversi sulle zampe lunghe o flessuose. Quanto detto, naturalmente, non può che dare a intendere una morfologia piuttosto distintiva, che oltre alla pelle spessa e violacea ricoperta di muco, da cui la rana prende il nome, vede la presenza di un naso estremamente caratteristico ed appuntito, spesso paragonato nella descrizione tassonomica a quello di un suino. Un approccio pur pseudo-scientifico, nelle descrizioni di quest’animale, che possiamo aspettarci di trovare soltanto a partire dal 2003, anno della sua recente classificazione o ancor più tardi per quanto riguarda la Nasikabatrachus bhupathi, specie cognata che vive dall’altra parte dei rilievi montuosi dei Ghati occidentali, regolando le sue tempistiche biologiche sui venti monsonici di Sudest. Entrambi esseri, del resto, la cui esistenza era già nota alle popolazioni native ed i cui girini erano stati già classificati e messi in relazione potenziale tra di loro, benché l’esemplare adulto fosse ancora nascosto agli occhi attenti dei ricercatori. Girini la cui storia inizia, d’altra parte, in maniera assai particolare…

Indifferente ai molti dubbi che può suscitare nell’osservatore, la N. bhupati prende il nome dal naturalista Subramanian Bhupathy, morto sul campo nel 2014 proprio a causa di una caduta durante la ricerca della fonte di quei richiami impossibili da identificare.

Affermare che la rana viola viva sempre e soltanto sottoterra, del resto, mancherebbe di attenzione specifica nei confronti del suo processo di accoppiamento. Dato come successivamente all’incontro portato a termine nella maniera più discreta possibile, sarà proprio l’esemplare femmina dalle dimensioni maggiori ad avviarsi verso il ruscello o fiume più vicino, talvolta con il maschio ancora attaccato sopra. Per deporre in un luogo percorso dalla corrente copiose quantità di uova, destinate a schiudersi dopo un periodo di circa 15-20 giorni. I girini risultanti quindi, di colore marrone scuro, potranno fare affidamento sull’insolita dotazione di una vera e propria ventosa ventrale, usata per aderire alle rocce al fine di salvarsi dal venire trascinati a valle. In questo approccio, assai probabilmente, è rintracciabile una soluzione evolutiva che gli permette di nutrirsi dei microrganismi contenuti nell’acqua, senza doversi spostare eccessivamente finendo così per attrarre l’attenzione dei predatori. Una volta raggiunta l’età adulta verso la fine dell’estate, quindi, la rana troverà un luogo entro cui nascondersi non più lontano di 5 metri dal ruscello, da cui emettere la primavera successiva il proprio richiamo udibile a distanza significativa: 24-27 note in rapida sequenza, come un codice perfezionato lungo il corso delle generazioni, con intervalli precisi e una frequenza massima di 1,8 kHz.
Dal punto di vista tassonomico, quindi, entrambe le specie della rana viola presentano un problema geofisico tutt’altro che trascurabile data la loro spiccata somiglianza ad anuri di provenienza africana piuttosto che ad altre specie indiane, lasciando intendere un’antichità risalente almeno all’epoca giurassica, quando secondo alcune teorie i due continenti risultavano ancora uniti nella grande massa terrestre nota con il nome di Gondwanaland. Il che farebbe di questa piccola creatura un vero e proprio fossile vivente, verso cui un processo di studio più approfondito potrebbe offrire nuove cognizioni di primaria importanza nell’evoluzione biologica di epoche così straordinariamente remote. Una capacità di attraversare immutata gli alterni periodi della storia umana, quest’ultima, che negli ultimi tempi potrebbe essersi trasformata in un punto debole, data la situazione rilevata dall’indice internazionale dello IUCN, i cui stringenti criteri hanno permesso d’inserire le due Nasikabatrachus nell’elenco delle specie a rischio, data la progressiva riduzione degli habitat proprio negli unici territori indiani in cui ne è stato possibile attestare l’esistenza. E benché, come avrete certamente capito giunti a questo punto, la rana viola non sia stata ancora sottoposta a studi particolarmente approfonditi, possiamo presumere che un qualche intervento di conservazione a questo punto sarebbe particolarmente indicato, pena la perdita di un prezioso patrimonio biologico, insostituibile a vantaggio dei posteri nel corso delle nebule epoche future.

Sorprendentemente agile dato il suo stile di vita sedentario, la rana viola sembrerebbe cionondimeno preferire la camminata al tipico balzo normalmente associato al suo ordine, forse per restare sempre pronta a scavare, qualora se ne presentasse la necessità.

Di mostriciattoli atipici e apparentemente disallineati agli schemi evolutivi predominanti, luoghi particolarmente biodiversi come i monti Ghati tendono sempre a possederne alcuni. Raramente, tuttavia, questi possono attraversare i secoli senza entrare a far parte a pieno titolo degli elenchi enciclopedici ed i sempre fondamentali libri per bambini. Una capacità di mantenersi occultata, quest’ultima, che possiamo certamente attribuire alla naturale prudenza e l’istinto sotterraneo di questa curiosa abitante del sottobosco; inteso, letteralmente, come area che si trova (scavando) al di sotto del bosco.
Finché qualcuno, di casualmente appartenente al clan scientifico della nostra Era, non è giunto con macchina fotografica e blocco per gli appunti di fronte al groviglio d’inusitate radici. Per scorgere finalmente, semi-nascosta col suo muso notoriamente triangolare, la strana realtà di un grillo del tutto privo di ali. Ma basso e largo, tarchiato, gonfio del quieto desiderio di guadagnarsi una piena vita di rana. Prima di aprire la bocca, emettendo il modulato inizio di un canto antico.

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