Tiepido lucore nel torrente, è il ritmico sussulto della ranocchietta

Quanto dello straordinario corso dell’evoluzione è l’indiretto risultato, più meno ineluttabile, del bisogno imprescindibile di far trovare a ciascun maschio, la compagna ideale! Poiché senza l’interscambio genetico, e la conseguente moltiplicazione di ogni essere, non può esserci la nascita di nuove generazioni, né il progressivo perfezionamento dei fenotipi che porta al perpetuarsi dell’intero sistema della natura. Così magnifici piumaggi, creste svettanti, zanne appuntite, corna dalle ottuplici diramazioni. Così canti conturbanti e trilli melodiosi, nonché all’interno di un diverso ambito, il rauco gracidìo della rana. Eppure esistono determinati ambienti topografici, nella foresta più profonda dove cascatelle o rapide producono un chiasso costante, dove un simile approccio auditivo non può più affermare di essere abbastanza. Soprattutto quando si sta prendendo in analisi un tipo di essere non più grande di due centimetri e mezzo, ovvero in grado di trovare posto in mezzo al palmo di una mano. Ovvero non più rumoroso, se vogliamo, di un giocattolo elettronico con le pile prossime all’esaurimento. Dal che deriva la necessità di fare uso di segnali multipli per dare luogo al produttivo incontro tra i sessi, compreso un certo distintivo, e indubbiamente memorabile comportamento da parte di lui. Stiamo perciò parlando, se non fosse ancora chiaro, del genere Micrixalus nella famiglia Micrixalidae, diffuso unicamente tra i boschi della regione dei Ghat Occidentali in India, e all’interno di pozze montane tra i circostanti massicci di Sahyadri. La cui inclinazione può essere riassunta nel nome comune, ampiamente utilizzato anche a livello internazionale, di “rana danzatrice”. Ma come riesce a ballare, esattamente, un anuro? Per prima cosa, egli si premura di trovare una roccia o altro tipo di palcoscenico stabile presso la riva del suo acquatico ambiente abitativo. Non sarebbe certo appropriato, a tal proposito, se l’esserino in corso d’esibizione finisse per capovolgersi assieme alla piattaforma della propria scenografica ninfea, finendo magari tra le fauci di un pesce carnivoro che passava da quelle parti. Quindi con totale ed assoluta nonchalance, solleva alternativamente le due zampe posteriori, le allunga indietro e ruota in modo paragonabile alla lancetta di un orologio. Mentre apre a ventaglio i grossi piedi palmati, mostrando lo spazio bianco tra le dita e ruotandolo ripetutamente in senso perpendicolare la suolo. Dando conseguentemente luogo, sul fondale che contribuisce normalmente al mimetismo, al palesarsi di una serie di lampeggiamenti, ancor più irresistibili dei forti bicipiti di un culturista tra gli attrezzi californiani di Muscle Beach, LA…

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La corsa della rana che scongela i suoi sospiri per innamorarsi tra laghi montani

Singolare il senso di disagio ed inquietudine latente che è possibile sperimentare camminando tra i bianchi recessi di particolari ambienti alpini, come il ghiacciaio perenne che sovrasta un placido lago alpino all’altezza di 3.000 metri sul massiccio di Beaufort, nella regione francese di Savoy. Come se ci si trovasse, per quegli attimi, soggetti all’attenzione di dozzine di esseri, recentemente risvegliati e pronti ad eseguire l’impresa per cui, in un certo senso, sono venuti al mondo. Già, perché sotto la luce intensa del sole mattutino, dietro una solida cortina di neve e ghiaccio, la sopita moltitudine si sta sgranchendo i polmoni (ed altri organi coerentemente situati) prima di balzare fuori l’immane impeto che è stato calibrato, attraverso i lunghi secoli e millenni dell’evoluzione, al fine di concedere al proprio codice genetico l’immenso ignoto delle generazioni a venire. Un’attività che qui tende a richiedere, ancor più che in altri e innumerevoli luoghi, agilità, sveltezza, fisico scattante ed attenzione, mentre ci si inoltra sobbalzando tra i recessi di un terreno che non offre alcun tipo di facilitazione. Ce lo fa notare questo breve spezzone della terza serie di documentari Planet Earth, con l’inconfondibile voce del naturalista Attenborough, dedicato ad una specifica popolazione del batrace scientificamente noto come Rana temporaria o “rana comune” della lunghezza tipica di 6-9 centimetri, diffusa nell’intera Europa fatta eccezione per la penisola Iberica e parti dell’Italia meridionale. Oltre ai Balcani, molte zone dell’Asia e persino il Giappone, dove è stata probabilmente introdotta dalla mano umana. Questo per la sua notevole capacità di adattamento attraverso lo sviluppo fluido in fase di ontogenesi, ovverosia durante lo sviluppo dell’embrione ed in presenza di fattori esterni, tra cui spicca in modo particolare il clima. Ecco perché la rana soprannominata anche verde o marrone a seconda delle sue esigenze di mimetismo, può comparire in una pluralità di ambienti ed altitudini dal livello del mare fino alla cima delle montagne, dove non compare neanche un filo d’erba sotto la spessa coltre nevosa invernale. Un ambiente presso cui il breve letargo che caratterizza questa specie, normalmente capace di estendersi tra ottobre e gennaio, tende a durare qualche mese in più fino al concretizzarsi di una luce sufficientemente intensa, assieme al calore che può conseguirne riscaldando le intirizzite membra e l’entusiasmo per l’odissea che dovrà condurre tali anuri a coronamento. Svariate dozzine di metri più in basso rispetto alle loro buche scavate spesso in corrispondenza di torrenti o pozze sotterranee, verso quella che alcuni commentatori meno eleganti del celebre naturalista britannico non esitano a definire un’orgia gracchiante, luogo di conflitti tra i maschi e l’implementazione dell’amplesso finale. Purché al momento di raggiungere il teatro dell’accoppiamento, tale approccio non avesse avuto luogo già da diversi mesi, permettendo ai partner di una coppia di raggiungere il sito già in posizione universalmente compromettente. In una posizione che potremmo definire oggetto di un lungo collaudo antecedente…

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Gamberi, venite! E che le pale della mia ruota siano più veloci di un alligatore della Louisiana

Tutt’uno con la natura, al principio dell’inverno la barca borbottante dell’allevatore scivola leggera nella risaia intenzionalmente allagata. Il suo bizzarro metodo di propulsione, scelto per maggiore convenienza in un contesto dove sono il fango e i fili d’erba attorcigliati a farla da padroni, non sembra inficiare in alcun modo l’efficienza dell’operazione, ma piuttosto agevolano il compimento del suo compito quotidiano. Una volta a destra, una a sinistra, l’uomo si sporge fuori dai bordi rialzati, afferrando con le proprie mani le pratiche maniglie di quelli che non possono in alcun modo essere dei semplici frutti della natura. Nonostante contengano una quantità di calorie, e sapore, persino superiori: poiché sono le nasse che lui stesso aveva posizionato, e ciò che si agita all’interno è un’effettiva pletora di gamberi di acqua dolce della Louisiana. Mentre altri rappresentanti della specie gli sciamano rapidi attorno, schivando il peso dello scafo che praticamente tocca sul fondale, o della ruota posta in fondo a un braccio che ricorda un ibrido tra un macchinario da miniera ed un iconico ferry boat del fiume Mississippi. Echi di piacevoli grigliate o bolliture di famiglia, di quartiere, degli amici della scuola o della festa dell’ufficio con l’artificiosa e ormai distante aria condizionata, svaniscono d’altronde nel momento in cui qualcosa di… Più grande viene soverchiato dal passaggio dell’intruso frutto della società industriale. Poiché come la savana ha il suo sovrano dalla lunga criniera, e così il signore ursino dei boschi dell’Oregon, anche gli acquitrini del profondo Sud possiedono il loro sovrano. Che con un sobbalzo preoccupante, emerge assieme ai longaroni della ruota in questione, essendo diventato almeno in apparenza una parte stravagante, o decorazione imprescindibile, della struttura stessa. Attaccato per i denti e a una pressione di 149,4 kg per centimetro quadrato, corrispondente all’energia del morso dell’alligatore. Molto meglio, ancorché più preoccupante, di un semplice cane che ricorre l’automobile di fronte al territorio domestico dei suoi padroni. E cosa fare, a questo punto, se non accelerare repentinamente, muoversi a zig-zag premendo con i piedi il singolare sterzo dell’imbarcazione! Nient’altro che un lunedì come qualsiasi altro, per un esperto allevatore di gamberi della Louisiana.
Questa è una di quelle scene, documentate per il pubblico di Internet nella forma non necessariamente esaustiva di una breve animazione senza contesto, che si offre di mostrarci la natura ed il funzionamento di un’industria a cui pensiamo fin troppo raramente. Alle sue tecnologie, ed i pericoli che implica la produzione di cotante delizie, che riempiono le nostre tavole nelle occasioni davvero speciali…

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Il giorno in cui guardammo la Thailandia dalla bocca di un rospo

Molti sono i sentimenti suscitati nel protrarsi di un reale viaggio avventuroso, la trasferta nei recessi di un paese e la cultura nazionale che deriva. O le sue versioni maggiormente specifiche, rispettivamente derivanti da rapporti irripetibili col mondo naturale, i suoi abitanti, le sue irripetibili circostanze. Nella provincia della Thailandia settentrionale di Yasothon, sulle sponde del placido fiume Thuan, una figura poderosa emerge ad invitare un prolungato sguardo, se non addirittura l’avvicinamento dei curiosi. In modo tale che l’attraente ingresso, situato tra le zampe posteriori della bestia, porti molti al singolare e memorabile attraversamento della soglia. Benvenuti, spero siate pronti a tutto. Siete stati appena divorati da un rospo. Cinque piani è la sua altezza indicativa, benché ce ne siano almeno un paio in meno all’interno, per un totale di 21 metri d’altezza e 19 di larghezza. Con una forma, colori e atteggiamento vagamente riconducibili al Duttaphrynus melanostictus o rospo comune asiatico, benché l’ascendenza mitologica della creatura abbia legami assai profondi con la religione ed il folklore di questo luogo. Proprio qui in mezzo alle genti un tempo della minoranza etnica degli Isan, prima che il grado d’integrazione raggiunto permettesse di annettere a pieno titolo questa provincia nel novero del reame. La versione moderna, caso vuole, di quella stessa realtà politica e d’aggregazione che fu dominata nella nebbia dei tempi da un re saggio, la cui unica sfortuna fu quella di mettere al mondo un erede talmente lontano dal concetto canonico di bellezza esteriore, basso e dalla pelle scura e ricoperta di bitorzoli, da portare la brava gente della sua epoca a chiamarlo il rospo. Il che l’avrebbe portato a rivolgersi in preghiera a Phraya Thaen, il dio della pioggia e della creazione, affinché alterasse il proprio aspetto fisico rendendolo un giovane attraente, oltre a concedergli un vasto palazzo ed una moglie dalla bellezza conturbante. Il che avrebbe portato una dura lezione in merito alle leggi dell’equilibrio cosmico dettate dal peso significativo del karma, quando le genti cominciarono a venerare il proprio sovrano terreno con il nome di Phraya Khan Khak, ovvero “il re rospo” recandogli costose e significative offerte. Mentre dimenticavano, con la classica deriva di simili racconti, l’importante abitudine di fare lo stesso a vantaggio del divino Phraya Thaen. Con la conseguenza che di lì a pochissimi giorni la pioggia avrebbe smesso di cadere sulla Terra, mentre tutto il raccolto deperiva e significativi incendi imperversavano da un lato all’altro del regno. Il che avrebbe costretto lo splendente governante responsabile di tutto questo d’indossare la sua armatura, ed alla testa di un singolare esercito prendere d’assalto le porte stesse del Paradiso…

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