Sono il portatore mistico del mio destino, sono un musicista, splendido e magnifico a vedersi. Ma soprattutto, il mio canto è irresistibile. Ed altrettanto riesce ad essere, il sublime suono che produco tramite l’impiego di un sistema che non passa dal mio becco ma per la precisa metodologia di un suonatore di violino. Colui che in pochi gesti può creare la sublime risonanza di una sinfonia che allude allo splendore delle circostanze transienti. “Osservate, rivali. E disperate. Cercami, degna consorte. Ti stavo aspettando.” Così salgo sopra un ramo di quell’albero isolato e reggendomi con gli artigli esperti, sposto il peso trascurabile in avanti. Abbasso la mia testa e sollevo, in modo ritmico, le ali. Ciascuna volta avendo cura d’intrecciare il paio di speciali piume remiganti, lasciando che si trovino a sfregare l’una contro l’altra. Ricercando un risultato che può essere soltanto descritto come “conturbante…?” O in modo maggiormente letterale, inconfondibile. Questa è la portata del mio genio. Soltanto così, Lei potrà trovarmi per passare al più prezioso tra i capitoli della nostra interconnessa esistenza futura.
Manichino o manachino sono termini che si assomigliano. Ma non risultano del tutto uguali; giacché una è l’ideale rappresentazione di un corpo da agghindare con vestiti in vendita all’interno di un negozio o luogo d’interscambio commerciale. Mentre l’altro è l’appartenente passeriforme a una particolare famiglia di volatili, che gli scienziati sono soliti chiamare pipridi, il cui ambiente di provenienza si trova centrato nelle foreste pluviali andine ed il resto degli ambienti tropicali sudamericani. Il cui esempio maggiormente celebre può essere individuato nel Machaeropterus deliciosus, la cui capacità di produrre un suono facilmente udibile a distanza trascende largamente i circa 10 cm di lunghezza. Questo grazie all’espediente evolutivo, comune in vari modi ai suoi più prossimi vicini nella classificazione tassonomica dei pennuti, che lo rende inaspettatamente simile a un insetto tipico delle nostre albe e tramonti estivi: la cicala. Ponendoci effettivamente innanzi al raro e interessante esempio di un vertebrato capace di produrre lo stridulamento. Quel suono frutto di una vibrazione, prodotto grazie a membra esterne di un corpo che si agita secondo metodi ben collaudati. Piuttosto che organi situati all’interno, condizionati da evidenti limiti in termini di sostenibilità uditiva…
richiami
Il prestigio imperituro che deriva dal possesso del fringuello più soave del Belgio
Il sovrapporsi dei cristalli lucidi sotto l’impulso fotonico dei raggi diurni; il congelamento dei tenui rivoli soltanto in parte paralleli, che diventano nel giro di minuti totalmente uniformi; la sottile scurezza rispetto al codice della conformità cromatica, presto curata dall’ossigeno che viene spostato grazie al vento. Si è soliti dire che “osservare la vernice mentre si asciuga” possa costituire un’attività indegna delle agili sinapsi di una mente adulta. Laddove, la realtà c’insegna, è possibile coltivare una passione per qualsiasi cosa. Previa ri-progettazione del sofisticato castello delle aspettative inerenti. E questo è vero per lo sguardo, quando nello spazio auditivo che compete all’incessante acquisizione della conoscenza. Una sublime verità da sempre posseduta, a loro modo, dagli appartenenti alla sublime stirpe dei volatili di questo mondo. E tutti coloro che li amano, non soltanto in modo implicito, bensì attraverso l’intelletto che ogni cosa tende a contestualizzare e se possibile, posizionare nel preciso ordine di una graduatoria complessa. Oh, mercanti delle Fiandre! Che agli albori dell’epoca moderna, tra il XVI e XVII secoli, tornavate presso questi lidi con al seguito preziose spezie, tesori e merci provenienti dal distante Oriente. Cosa mai avrebbe potuto soddisfare, a questo punto, le vostre menti alimentate dal più eclettico catalogo di ricordi ed esperienze? Se non l’elevazione di un qualcosa di mondano, ricorrente nella Vs. quotidianità territoriale, persino fastidioso in certe circostanze… Ad una Vera Arte, completa di sublimazione delle tecniche, con spostamento delle aspettative a nuovi gradi di eccellenza precedentemente inusitati. Nell’allevamento con fini canori del vink o fringuello comune (Fringilla coelebs) un uccello celebre per i propri richiami stagionali, per segnalare adeguatamente i confini del suo regno e richiamare l’attenzione della necessaria e beneamata compagna.
In linea di principio, s’intende. Giacché al giorno d’oggi, nell’intera zona dei Paesi Bassi, chi ode quel trillo inconfondibile che viene trascritto con il susseguirsi dei fonemi susk-e-wiet ha un buon 50% di averlo sperimentato nel contesto di una ricorrenza implementata e resa imprescindibile dall’uomo stesso. Ovvero l’ordinato susseguirsi d’individui chini in avanti, per lo più pensionati ma non solo, seduti su semplici sgabelli o sedie da regista poste in posizione equidistante sulle strade delle rispettive comunità di appartenenza. Dinnanzi a dei contenitori in legno con opache tapparelle apribili, soltanto nella parte frontale e/o sul retro. Da cui ricorre l’emergenza, cadenzata eppure non del tutto regolare, di una musica frutto del cuore, piccolo ma ricco di un profondo sentimento. E ad al concludersi di ciascuna singola strofa di un altoparlante, l’antistante personaggio appone un rigo sulla propria lunga asta lignea di riferimento. È la conta che conduce al ritmo del trionfo. Piuttosto che l’abisso della più totale o insuperabile indifferenza…
L’uccello calvo che si staglia sul fogliame delle isole Filippine
Dalle nostre parti uno storno è il generico percorritore delle vie volanti, dal piumaggio puntinato e il verso melodioso, capace di formare lo spettacolare “mormorio” o “mormorazione”, il gruppo di elementi colloidali che intrecciandosi nei cieli, disegnano fluide, fantasiose figure. Quel che non è necessariamente parte del senso comune, tuttavia, è il modo in cui spostandoci ad Oriente, questa notevole famiglia di animali si presenti caratterizzata da una biodiversità dei propri fenotipi paragonabile a qualsiasi altra, superiore di gran lunga alla maggioranza. Con livree di piume prevalentemente formate da uno o due colori, ma disposti in modo tale da formare immagini e figure chiaramente riconoscibili, guadagnandosi l’attenzione dei tassonomi naturalisti fin dagli albori delle classificazioni sistematiche vigenti. Personaggi come Mathurin Jacques Brisson, curatore di svariate collezioni museali nella Francia del XVII-XIX secolo, che pensò bene di coniare in modo autonomo dei fantasiosi appellativi in lingua latina per molteplici specie pennute, la maggior parte dei quali sarebbero poi stati sostituiti dalla Commissione Internazionale della Nomenclatura Zoologica in quanto non conformi ad alcuna logica continuativa evidente. Per creature come la Merula Calva Philippensis, che non rientra in senso stretto, come avrete certamente iniziato ad immaginare, nella categoria dei veri e propri merli. Pur essendo in senso lato un “merlo indiano” ovvero membro di quella categoria informale delle mynah o gracule, famose per la propria valida capacità di riprodurre in modo realistico la voce umana. Nonché gli elaborati bargigli che ricoprono le loro teste parzialmente glabre, con disegni che tendono generalmente al giallo dorato. Caso eccezionale tra entrambe le categorie citate risultano essere, d’altronde, entrambi i sessi quasi identici dello scuro coleto, ovvero quello che la scienza è giunto a definire Sarcops calvus, con ulteriore e quanto mai saliente riferimento all’assenza di piume sulla sommità del capo, caratterizzato da un appariscente color chiaro rosato suddiviso in due distinti emisferi, in contrapposizione ad una chiazza di piume bianche sulla sua nuca. Tanto da far sembrare la creatura delle dimensioni di un piccione uno stravagante individuo anziano e dotato di un copricapo di chewing-gum o alternativamente, in procinto di far prendere un po’ d’aria fresca al suo cervello. Benché le palesi evidenze, come è noto, possano trarre facilmente in inganno…
Così trilla il chiurlo dagli occhiali, minuto dinosauro della dannazione
Secondo una storia degli Aborigeni Australiani che può essere paragonata al mito cristiano di Adamo ed Eva, nell’antica epoca del sogno una sola donna cieca era nata dal fango primordiale del regno della Creazione. Il suo nome era Mudungkala ed ella ebbe un solo figlio, il cui nome era Purrukapali. Successivamente alla nascita spontanea degli altri esseri umani, costui scelse una moglie di nome Bima, ed i due ebbero a loro volta una creatura di nome Jinani. Ma nell’accampamento era presente un giovane senza moglie, Japara, che seducendo la consorte di Purrukapali era solito persuaderla ad appartarsi assieme a lui nella foresta. In un tragico giorno, mentre i due compivano l’ennesimo adulterio, il piccolo Jinani era stato abbandonato per alcune ore, e sotto i raggi crudeli del sole australe, morì. Non appena il padre Purrukapali lo venne a sapere, si adirò in modo terribile, e prendendo in braccio il bambino, giurò che si sarebbe tolto la vita gettandosi in mare, condannando al tempo stesso l’intera umanità. Così dove s’immerse per il suo viaggio di non ritorno, tre gorghi terribili presero forma a largo dell’odierna isola di Melville, tanto potenti da poter inghiottire l’intero continente. Ma Japara, nel tentativo di placare l’ira di Purrukapali, usò la sua magia per trasformarsi nella Luna, e dalla volta celeste intraprese una battaglia contro il suo rivale che continua tutt’ora. Per questo la Luna è ricoperta di cicatrici, ed ogni mese “muore” per tre giorni, causando il sempiterno fenomeno delle maree. Ma per la madre sconsolata Bima, sconvolta dal senso di colpa, rimaneva un unico destino: vagando senza posa nella notte, ella vide crescere sul proprio corpo un manto di piume. Ed il suo lamento diventò un suono ritmico e ripetitivo, che gli abitanti delle isole avrebbero associato in seguito al volatile dal nome onomatopeico di Weeloo, o Willaroo. Temendolo come la morte stessa perché invero, tale annuncio naturale altro non è che un messaggio dell’ora della fine, latore di condanna al pari del verso della civetta nei contesti boreali, collegato a storie folkloristiche di mille streghe o esseri mannari mangiatori di carne umana.
Molti anni dopo, quando gli Europei fondarono la propria colonia penale di Botany Bay, i numerosi naturalisti che avevano accompagnato le prime spedizioni nell’entroterra scelsero un’associazione decisamente meno preoccupante per gli esponenti locali di questa genìa volatile, parte della grande famiglia cosmopolita dei Burhinidae: ribattezzandolo così stone curlews o “chiurlo della pietra” benché fossero decisamente pochi i punti di contatto con l’uccello trampoliere degli scolopacidi, vista comune mentre pesca su talune spiagge del Vecchio Mondo. Laddove questi pennuti d’Australia, anche detti occhioni per la grandezza ed efficienza dei propri organi oculari, sono cacciatori per lo più notturni d’insetti e piccoli vertebrati come roditori, anfibi o rettili, benché non disdegnino l’occasionale cattura di un granchio ghermito sotto le acque limpide, che quindi procedono a sbattere ripetutamente sul suolo ghiaioso, nel tentativo di porre rapidamente fine alle sue sofferenze. Del tutto inconsapevoli del preistorico bagaglio che accompagna, come un terribile presentimento, l’occasionale suono ripetuto della loro “mistica” presenza…