L’oggetto più imponente mai fatto passare tra il Pireo e il Peloponneso

Un poco alla volta, procedendo a ritmo rallentato, il titano si convinse di poter riuscire a compiere la sua missione. Per il tramite di un singolo individuo, o cellula pensante del suo vasto corpo, con il compito di far passare, letteralmente, tale inusitata massa per la cruna invalicabile di un ago. Motori a ritmo rallentato, per ordine del capitano, fino alle propaggini del primo ingresso, o insenatura. Quinti totalmente spenti, mentre l’aiutante nella pilotina, imbarcazione piccola, ma… Erculea, riceve il capo estremo di un lungo cavo per il traino, ed inizia a incedere con passo (d’elica) del tutto privo d’esitazioni. Quasi come se una cosa simile, per tale controparte, fosse questione d’ogni giorno. La data è l’11 ottobre scorso, la nave in questione, il vascello da crociera MS Braemar, lungo 195 metri e largo 22,5. I testimoni almeno 1.300, quelli situati a bordo dei suoi molti ponti dall’arredo sobrio ed elegante. Mentre il valico, con la larghezza di 25 appena per gli interi 6,4 Km della sua estensione… Ah, il valico!
Costruire ponti, non muri, avrebbe potuto essere lo slogan di Periandro, tiranno di Corinto tra il 627 ed il 587 a.C, mentre la Grecia vedeva le sue principali città stato chiuse dentro fortificazioni progressivamente più imprendibili, contro la minaccia incipiente dei propri vicini ed il pericolo pendente delle mire espansionistiche persiane. Ponti d’acqua, niente meno, tra le due masse dello stesso fluido situate nelle intercapedini tra il continente ed una grande foglia topografica di gelso, allora nota come Πελοπόννησος – Il Peloponneso. Giusto “poco” prima che (nel Medioevo) i conquistatori provenienti dalla città di Venezia la ribattezzassero terra, per l’appunto, di Morea. Mentre il sogno di quel grande governante di un’epoca tanto remota, ancora una volta, dovette essere inserito tra le cose potenzialmente utili, ma semplicemente troppo costose, onerose o difficili da costruire. Sin da quando nel settimo secolo a.C, Periandro stesso ebbe a decidere come piuttosto che tagliare un profondo canyon tra le due masse di terra, ove far passare i principali scafi commerciali della Grecia, sarebbe stato assai più conveniente costruire il Δὶολκος, una rampa con strada sopraelevata, lungo cui gli equipaggi potessero sollevare i propri scafi e trasportarli, faticosamente, dal golfo di Corinto fino a quello Saronico, e viceversa. Una scelta comprensibile, quando l’alternativa risultava esser il completo periplo (circumnavigazione) della penisola del Peloponneso. Il che non fu, nei fatti, solamente una rinuncia, ma anche una precisa scelta strategica mirata a mantenere i porti della sua città nel massimo stato di rilevanza per l’intero mondo Greco.
Nel primo secolo a.C, quindi, il filosofo Apollonio di Tiana avrebbe profetizzato dalla sua città in Anatolia come chiunque avrebbe mai tentato, allora o in futuro, di mettere in atto il piano originario di Periandro, avrebbe inevitabilmente fallito, finendo per perire in maniera violenta. E per i secoli successivi, alquanto incredibilmente, tale sfrenata ipotesi venne più volte riconfermata dalla macabra realtà dei fatti…

Non c’è niente di meglio, per prendere le misure tra i confini della propria città itinerante e le ruvide pareti degli scogli, che immaginare la propria prossima partita a bocce o petanque. Attività considerate entrambe degne, tra le molte possibili, di coronare il transito tra l’onde di un Mediterraneo che non giudica gli umani.

Incredibile, invero, a vedersi: la cartina geografica pubblicata sul sito della compagnia di crociere Fred Olsen che gestisce questo mastodonte dal 2001, al termine della lunga sequela (ben otto) di aziende che ne hanno cambiato la bandiera, a partire da quando nel 1993 era stata costruita originariamente per l’americana Crown Cruise Line. Immagine all’interno della quale, il circuito dell’itinerario vede tale vascello farsi strada da Southampton, Inghilterra, fino alle coste spagnole di Lisbona, quindi Malaga, punto d’ingresso del Meditarraneo e poi da lì fino all’isola di Malta. Per procedere, a quel punto, verso le acque tiepide del Mar Egeo, con fermate presso l’antica Creta, Rodi ed Ermopoli sull’isola di Siro. Ma è durante il viaggio di ritorno, che le cose iniziano a prefigurarsi come totalmente surreali: perché è ormai da tempo, in effetti, che il canale di Corinto non ha più alcuna importanza logistica, costituendo per lo più un’attrazione turistica adibita al transito di PICCOLE imbarcazioni da diporto. Abbastanza piccole, nei fatti, da poter entrare tutte intere in una singola piscina riscaldata della MS Braemar.
Un limite situazionale, questo, che difficilmente sarebbe potuto venire in mente a Giulio Cesare in persona, quando nel periodo immediatamente anteriore alle prototipiche Idi di Marzo (giornata internazionale della dimissione politica mediante colpi di coltello) ebbe modo di considerare nuovamente il progetto al fine di collegare l’Urbe con alcune delle sue più remote colonie, ma per cause diciamo “di forza maggiore” non vide mai l’occasione di costruirlo. Così la profezia di Apollonio ebbe a realizzarsi per la prima volta e poi di nuovo, quando Caligola, terzo imperatore, fece venire dall’Egitto alcuni esperti costruttori, al fine di ricevere da loro un piano di fattibilità della complessa impresa. Soltanto per sentirsi dire (erroneamente) che scavare un simile passaggio tra i due golfi avrebbe inevitabilmente causato l’allagamento di molte isole nel mar della Grecia, causa il dislivello tra le rispettive estremità. Il progetto venne dunque, ancora una volta, abbandonato, almeno finché il suo insigne successore Nerone, tra i molti sogni perseguìti durante il suo breve ma intenso regno, scelse di recarsi personalmente a picconare in modo simbolico la prima roccia, nel 67 d.C, mentre fin qui venivano trasportati ben 6.000 prigionieri della prima guerra giudaica (66-70) trasformati in schiavi pronti all’uso e molto presumibilmente, del tutto impossibilitati a rifiutarsi. Ma noi tutti ben sappiamo quale sarebbe stato il fato di quell’uomo e del suo lascito, destinato ad essere immediatamente cancellato dalle pagine considerate “virtuose” della storia. Per oltre 1.000 anni, quindi, l’antico sogno sarebbe stato abbandonato. Almeno finché nel 1830, una Grecia infine assoggettata al mondo arabo, avrebbe riguadagnato la sua indipendenza dall’Impero Ottomano, ritrovandosi nella posizione ideale per dare ancora lustro al proprio nome un tempo rinomato.

Il canale di Corinto è oggi attraversato da una linea ferroviaria e due ponti stradali all’altezza di 45 metri. Alle due estremità invece, sono posti dei passaggi veicolari sommergibili, capaci di sparire sotto le acque della baia ogni qualvolta se ne presenti la necessità.

La situazione economica era tuttavia (già allora) piuttosto difficile, tanto che il Parlamento della nuova monarchia costituzionale non poté fare altro che rimandare l’idea di costruire il valico a data da destinarsi. Ma quando nel 1869, anche Suez ebbe il proprio valico tra il Mar Rosso ed il Mediterraneo, l’interesse politico e l’intento nazionale a poter dire di aver fatto lo stesso diventarono semplicemente troppo forti, per essere di nuovo accantonati. Vennero quindi coinvolte società francesi per fornire i fondi necessari, quelle stesse società, per l’appunto, destinate a fallire nel giro di pochi anni per l’impresa sempre più complessa del passaggio inter-oceanico di Panama all’altro lato del globo. Più volte arrestato e fatto ripartire, messo sotto sequestro e quindi nuovamente in funzione, mediante copiose iniezioni di fondi pubblici, il cantiere di Corinto giunse quindi al suo coronamento ultimo, la tanto a lungo paventata costruzione del Canale.
E fu fin da principio, un… Tiepido successo. Causa le frequenti chiusure dovute a frane della friabile arenaria locale, per non parlare della diffidenza dei capitani di mare, tanto poco inclini a far passare i propri battelli all’interno di un pertugio che era largo esattamente un decimo dei 205 metri offerti a Suez.
Tuttavia, il Canale di Corinto a quel punto Era, ed avrebbe continuato ad Essere, nonostante tutto. Inclusi i tentativi di cancellarlo dalle mappe da parte dei tedeschi all’apice della seconda guerra mondiale, durante la loro strategia di far terra bruciata prima di ritirarsi, quando nel 1944 furono tagliati i ponti, gettate macerie dentro l’acqua ed ostruito fino all’ultimo pertugio disponibile nello stretto passaggio navale. Un’opera nei confronti della quale il Corpo Ingegneri degli Stati Uniti avrebbe potuto porre rimedio nel giro di appena un anno e mezzo, a partire dal novembre del 1947, senza eccessive tribolazioni o altri ostacoli inaspettati.
Perché ciò che aveva richiesto oltre 1.000 anni per essere completato, l’uomo non avrebbe mai potuto distruggere tanto facilmente. Certo: nessuno di noi controlla, o può realmente dire di possedere, la furia inarrestabilmente entropica della Natura.

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