Il relitto abbandonato che troneggia sul canale ai confini del mondo

Alberi, erba ed altre piante coprono il metallo rugginoso, inclinato in senso obliquo innanzi ad un paesaggio privo di ulteriori orpelli artificiali. Nessun passo più risuona sopra al ponte, esposto al sole e agli elementi da un periodo di quasi un quarto di secolo, anticipando un’improbabile visione della storia successiva ad ogni manifestazione di civiltà. Eppur la nave recante il nome MS World Discoverer sulla fiancata, con il suo comparto di sovrastrutture e antenne totalmente integre che gettano le ombre sulla costa ancora oggi, in qualche modo sopravvive…
È scoraggiante la facilità con cui un singolo errore può portare le grandi opere umane all’autodistruzione, non importa quanto “sicura” potesse risultare in linea di principio la loro integrità strutturale. Una questione doppiamente problematica, quando tali oggetti si presentano dotati della predisposizione al movimento. Persino tra le più imponenti regioni del mondo nautico, tuttavia, esistono gradi diversi di vulnerabilità, che tratteggiano diversi tipi di condanna nel dipanarsi d’impatti inavveduti con avversi agenti. Iceberg, senz’altro, ma anche scogli o preminenze, come quelli di un luogo celebrato non a caso come “Lo stretto dal fondale di Ferro” tra le isole di Nggela Sule e Mbokonimbeti, che oggi vede tale metaforico materiale riflettersi, in maniera fin troppo tangibile, sulle onde lievi dell’andirivieni delle sue maree. In quello che potremmo definire come il solo grattacielo orizzontale dell’arcipelago delle Solomon, se non fosse il corpo esanime di ciò che un tempo era magnifico, essendo stato concepito al termine degli anni ’70 in Germania, con il fato di riuscire a circumnavigare il globo. Così da ricevere nel 1987, dai suoi nuovi proprietari danesi, la modifica significativa di uno scafo rinforzato di classe Ice, soltanto due anni dopo essere diventata la prima nave da crociera a superare il Passaggio a Nord-Ovest con un carico di passeggeri a bordo. Tanto che nessuno avrebbe mai pensato che questa pioniera delle cosiddette crociere di esplorazione, per turisti avventurosi e interessati a luoghi maggiormente remoti, potesse trovarsi ad incontrare la sua fine, dopo oltre una decade di onorato servizio per la compagnia Discoverer, che l’aveva battezzata dandogli per l’appunto il suo stesso nome. Quando il 30 aprile del 2000, mentre attraversava il sopra accennato passaggio di Sandfly alle quattro di pomeriggio, si ritrovò ad impattare contro una roccia sommersa assente dalle mappe, venendo compromessa da uno squarcio che pur non condannandola immediatamente all’affondamento, poneva il comandante innanzi ad un difficile dilemma. Come assicurare la sopravvivenza delle oltre 150 persone a bordo, mentre attendeva i soccorsi provenienti dal più vicino centro urbano, la capitale delle Solomon, Honiara?

Leggi tutto

L’oggetto più imponente mai fatto passare tra il Pireo e il Peloponneso

Un poco alla volta, procedendo a ritmo rallentato, il titano si convinse di poter riuscire a compiere la sua missione. Per il tramite di un singolo individuo, o cellula pensante del suo vasto corpo, con il compito di far passare, letteralmente, tale inusitata massa per la cruna invalicabile di un ago. Motori a ritmo rallentato, per ordine del capitano, fino alle propaggini del primo ingresso, o insenatura. Quinti totalmente spenti, mentre l’aiutante nella pilotina, imbarcazione piccola, ma… Erculea, riceve il capo estremo di un lungo cavo per il traino, ed inizia a incedere con passo (d’elica) del tutto privo d’esitazioni. Quasi come se una cosa simile, per tale controparte, fosse questione d’ogni giorno. La data è l’11 ottobre scorso, la nave in questione, il vascello da crociera MS Braemar, lungo 195 metri e largo 22,5. I testimoni almeno 1.300, quelli situati a bordo dei suoi molti ponti dall’arredo sobrio ed elegante. Mentre il valico, con la larghezza di 25 appena per gli interi 6,4 Km della sua estensione… Ah, il valico!
Costruire ponti, non muri, avrebbe potuto essere lo slogan di Periandro, tiranno di Corinto tra il 627 ed il 587 a.C, mentre la Grecia vedeva le sue principali città stato chiuse dentro fortificazioni progressivamente più imprendibili, contro la minaccia incipiente dei propri vicini ed il pericolo pendente delle mire espansionistiche persiane. Ponti d’acqua, niente meno, tra le due masse dello stesso fluido situate nelle intercapedini tra il continente ed una grande foglia topografica di gelso, allora nota come Πελοπόννησος – Il Peloponneso. Giusto “poco” prima che (nel Medioevo) i conquistatori provenienti dalla città di Venezia la ribattezzassero terra, per l’appunto, di Morea. Mentre il sogno di quel grande governante di un’epoca tanto remota, ancora una volta, dovette essere inserito tra le cose potenzialmente utili, ma semplicemente troppo costose, onerose o difficili da costruire. Sin da quando nel settimo secolo a.C, Periandro stesso ebbe a decidere come piuttosto che tagliare un profondo canyon tra le due masse di terra, ove far passare i principali scafi commerciali della Grecia, sarebbe stato assai più conveniente costruire il Δὶολκος, una rampa con strada sopraelevata, lungo cui gli equipaggi potessero sollevare i propri scafi e trasportarli, faticosamente, dal golfo di Corinto fino a quello Saronico, e viceversa. Una scelta comprensibile, quando l’alternativa risultava esser il completo periplo (circumnavigazione) della penisola del Peloponneso. Il che non fu, nei fatti, solamente una rinuncia, ma anche una precisa scelta strategica mirata a mantenere i porti della sua città nel massimo stato di rilevanza per l’intero mondo Greco.
Nel primo secolo a.C, quindi, il filosofo Apollonio di Tiana avrebbe profetizzato dalla sua città in Anatolia come chiunque avrebbe mai tentato, allora o in futuro, di mettere in atto il piano originario di Periandro, avrebbe inevitabilmente fallito, finendo per perire in maniera violenta. E per i secoli successivi, alquanto incredibilmente, tale sfrenata ipotesi venne più volte riconfermata dalla macabra realtà dei fatti…

Leggi tutto

Una visita virtuale della superportaerei USS Nimitz

USS-Nimitz

Che uso strano e interessante, per quel tipico strumento della conoscenza internettiana: la telecamerina GoPro! Impiegata, in questo caso, senza casco, ma nel corso di una passeggiata dentro a un luogo che tutti conoscono, eppure relativamente pochi, soprattutto fuori dagli Stati Uniti, possono davvero dire di aver mai visitato. Ne esistono esattamente 10 che costituiscono, in effetti, circa un terzo dei battelli esistenti da cui possano decollare ed atterrare degli aerei militari, per lo meno a livello di squadroni e con prestazioni tali da poter compiere missioni complesse. Dei restanti due terzi del totale, uno è occupato dalle unità di assalto anfibio polivalenti della classe Wasp, anch’esse americane. Ma persino la loro massa unitaria di 40.500 tonnellate imperiali non è quasi nulla, al confronto delle oltre 100.000 cadauna di queste vere e proprie città sul mare, che tra le loro caratteristiche più degne di nota, trovano quella dei due reattori nucleari Westinghouse A4W. Un metodo di propulsione che gli permette, senza fatica, di spostarsi per i mari a una velocità operativa di 30 nodi (56 Km/h) con tutto il loro carico di fino a 5.000 persone, 85-90 velivoli tra ala fissa ed elicotteri di vario tipo. Uno di questi giganti, senz’altro tra le imbarcazioni più possenti mai varate (superate in stazza unicamente da certe titaniche superpetroliere) è in grado di operare senza rifornimenti di carburante per un periodo oltre i 20 anni, superati i quali, generalmente, viene effettuata l’operazione definita Refueling and Complex Overhaul, che abbina le opere di manutenzione essenziale all’aggiornamento dei sistemi di bordo, successivamente alla messa a secco del vascello in un apposito bacino di carenaggio. E di acqua, ne è passata sotto i ponti, da quando la protagonista del presente video ha superato un tale fondamentale capitolo della sua vita operativa, conclusosi nell’ormai distante 2001, dopo circa tre anni di un’alacre lavorìo. È stanca ormai, e per certi versi superata. Già nei cantieri della Newport News Shipbuilding, in Virginia, la Huntington Ingalls Industries sta applicando le ultime rifiniture alla prima portaerei esponente della classe Gerald R. Ford, che la sostituirà attorno al 2025, in una data ancora da determinarsi in funzione del budget di marina. È stato stimato che lo smantellamento del vecchio mostro dei mari, infatti, richiederà tra i 750 e i 900 milioni di dollari, principalmente in funzione dei suoi impianti nucleari. Per qualche anno ancora, dunque, sarà ancora possibile percorrere quegli stretti corridoi, fare la conoscenza di una vera piccola città semovente che, per importanza strategica, diplomatica e simbolica, sarà destinata a lasciare un’impronta indelebile nella storia geopolitica internazionale.
Già, perché è qui che siamo. Si tratta di una circostanza alquanto inusuale: ci hanno da lungo tempo abituati, soprattutto per quanto concerne quello che viene dato da osservare come civili ben distanti e soltanto parzialmente informati, a conoscere soltanto il meglio, il non-plus-ultra di ogni cosa. Il ponte scintillante, sotto il sole dei tropici, su cui getta l’ombra la maestosa torre della plancia di comando. Gli aerei disposti in ordine, negli hangar grandi come cattedrali, ciascuno pronto a decollare sull’improvviso presentarsi di una circostanza emergente. La stanza sulla cima di quel mondo a parte, da dove il capitano, con i suoi ufficiali e tecnici di bordo, dirige le operazioni e definisce le arcane geometrie della navigazione. Giammai, nei video propagandistici di vecchio stampo, ci sarebbe stata offerta l’opportunità di visitare il sotto, il dietro, l’organismo funzionale che concede alla creatura di metallo l’esistenza operativa, unicamente per il frutto e l’opera di tanti giovani, o non più tanto giovani, umani globuli e consumatori. Di ossigeno (ce n’era in abbondanza) e cibo (l’hanno caricato prima di partire) e perché no: l’occasionale tempo libero, da trascorrere seduti in certe anguste sale, che non sapendone il contesto, l’uomo della strada avrebbe tranquillamente potuto scambiare per i moduli di una base spaziale. Fino a un tale punto, siamo qui distanti da una vita che si possa realmente definire, convenzionale.
La vita per mare, del resto, è sempre stata così…. Ma dopo le prime scene, appare chiaro. Qui c’è un’atmosfera rilassata, un diffuso vociare, che forse in nessun’altra epoca sarebbe stati considerati possibili, e una grande quantità di civili, privi di uniformi o di evidente disciplina. Tra gli altri passanti, di tanto in tanto, è persino possibile scorgere l’occasionale anziano e/o bambino, generalmente intenti a guardarsi intorno, rispettivamente spaesati o entusiastici per tutto ciò che passa innanzi ai loro occhi. L’occasione, in effetti, è di quelle che non si ripetono poi tanto spesso: si tratta di una Tiger Cruise, la Crociera della Tigre. Un’occasione a cui molti, ritengo, avrebbero piacere di partecipare…

Leggi tutto

La questione dell’allungamento delle navi da crociera

Braemar jumboing

Può sembrare incredibile ma è in realtà una chiara legge di natura: così come le cose grandi tendono a rimpicciolirsi, per effetto dell’erosione, del consumo, dell’invecchiamento e l’entropia, tutto quello che è piccolo, da un giorno all’altro, può all’improvviso crescere in maniera impressionante. Specie se stiamo parlando di una risorsa utile, in qualche maniera, al suo creatore uomo. Col cappello. Con la giacca. Con la pipa: un vero lupo di mare. E tali canidi riconoscono l’utilità dei vasti spazi, finché mantengono il contatto con terre selvagge ed incontaminate, lande vaste di pianure o valli trasparenti, soggette a mutamenti fluidi e al moto ciclico delle maree. Così può capitare, ed è successo più spesso di quanto potreste forse tendere a pensare, che una nave non sia più considerata economicamente produttiva. Ma i suoi proprietari, partendo da un’attenta analisi dei presupposti, decidano contestualmente d’esclamare: “Può ancora esserci utile, perché gettarla via?” Prima ipotesi. Oppure addirittura, che un armatore coscienzioso, riconoscendo i limiti dei suoi mezzi finanziari, sotto-dimensioni volutamente il suo primo valido vascello, limitando la spesa per lanciare la sua compagnia. Già tenendo a mente, in un momento successivo, di acquisire i mezzi per “concluderne” la costruzione. Dopo averla già impiegata, quella troppo-corta nave, per anni, ed anni e mesi e settimane. Perché è di questo, fondamentalmente, che stiamo parlando: prendere uno scafo già fatto e finito, separarlo in due distinte parti, poi allontanarle grazie ad appositi meccanismi su ruote in un bacino di carenaggio, l’una dall’altra, creando un grande vuoto. Nel quale verrà subito inserito, con macchinari appositi, una vera e propria fetta trasversale della stessa cosa. Che sarebbe a dire, una sezione del corpo della nave. Quindi, compiuto l’epico passo, si concluderà il puzzle riallacciando la cavetteria ed i tubi, per procedere immediatamente con i saldatori a rendere di nuovo unito, ciò che un lo era da princìpio. Con una singola, importante differenza: da quel fatidico giorno, il vascello potrà portare molti passeggeri in più. Oppure merci, oppure chi lo sa…
Sembrerebbe un’improbabile invenzione di un autore di romanzi, questa ipotesi difficilmente immaginabile dalla comodità di casa propria, se non ci fosse a disposizione su Internet la vasta serie di video di riferimento relativi, tra cui questo recentemente pubblicato dalla MKtimelapse con immagini acquisite nel 2008. Nel quale ci viene mostrato, attraverso la tecnica della ripresa accelerata, un simile processo presso i cantieri di Amburgo della Blohm+Voss, finalizzato ad estendere di 30 metri la Ms Braemar, nave di proprietà della compagnia battente bandiera norvegese Fred. Olsen. Una missione apparentemente impossibile, che richiese invece soltanto due mesi di lavoro, ovvero molto meno del tempo necessario a costruire un vascello totalmente nuovo. Andando, soprattutto, incontro a costi notevolmente inferiori. La pratica, in realtà, pur restando relativamente inusuale, è tutt’altro che avveniristica. Questo metodo per l’allungamento, che in gergo anglofono viene definito talvolta jumboising, risale al 1865, l’anno del varo della SS Agamemnon, la prima nave inglese dotata di motore a vapore ad espansione multipla, in cui l’energia termica, fatta passare attraverso successive camere di combustione, veniva potenziata più volte per ottenere una spinta molto più efficace. Il mercantile, che avrebbe collegato le isole della Gran Bretagna con le distanti terre della Cina, fece un’enorme impressione nel suo settore, al punto che i principali armatori coévi decisero che avrebbero dotato le loro navi già esistenti di un sistema simile di propulsione. Se non che, c’era un problema: questa tipologia di meccanismo si presentava, per sua stessa implicita natura, come considerevolmente più ingombrante delle alternative precedenti. Ponendo gli speranzosi committenti innanzi ad un dilemma: conveniva ridurre i tempi delle traversate, al costo della riduzione della capacità di carico di ciascun singolo vascello potenziato? Si pensò molto a lungo alle possibili soluzioni. Finché a qualcuno, non venne l’idea. Che fu messa in atto su larga scala, per la prima volta, dalla Allan Line, una grande compagnia trasportatrice di posta, merci e persone con la sua sede principale a Glasgow, in Scozia. La quale nel giro di tre anni, a partire dal 1871, fece allungare ben sei delle sue navi più importanti, vedendo un considerevole aumento dei profitti. A quel punto, la via per il futuro apparve estremamente chiara…

Leggi tutto