Cosa è sacro, cosa è profano? Nel più visitato lago artificiale dell’intera isola di Taiwan, nonché uno dei pochi, visto come la parte abitata di una tale terra emersa superi di poco le dimensioni del Lazio e della Toscana, tutto è ogni cosa, proprio come ci si aspetterebbe in merito alla situazione culturale e religiosa di un popolo che crede nell’integrazione delle discipline filosofiche all’interno di una scintillante gestalt, non così dissimile da talune regioni stellate del cielo notturno. In una galassia tiepida e bagnata, costituita dalle acque di un solenne recipiente, che prende o da’ il suo nome al popoloso centro urbano di Kaohsiung (蓮池潭 – Lago delle Ninfee) situato nell’estrema parte meridionale di quella che gli esploratori portoghesi avevano chiamato Formosa. Un sito celebre per il suo mercato e la vita notturna, perciò tutt’altro che tranquillo in ogni genere di circostanza, sebbene assai lontano dalla grande densità del centro urbano di Taipei, particolarmente quando ci si sposta verso il luoghi periferici. Di quello che potremmo definire, sotto i più importanti aspetti, come il cuore spirituale di un’intera, piccola nazione. Con più di 20 templi nello spazio di appena 500 metri quadri situati tutto attorno alle sue rive, ed in diversi casi significativi anche in bilico sopra le acque stesse di una simile risorsa paesaggistica ed operativa. Come altrettanti mistici pianeti, ciascuno significativamente caratterizzato dallo stile architettonico e visuale frutto di un particolare rapporto con gli Dei, la bellezza e il modo di riuscire a interpretare la natura. E non solo: come descrivere, altrimenti, le due svettanti pagode gemelle del Drago e della Tigre (龍虎塔 – Lónghǔ Tǎ) alte ben sette piani e risalenti al 1976, collegate alla sponda lacustre mediante l’impiego di una surreale passerella zigzagante che conduce fino alle due bocche spalancate delle eponime creature, costruite con sinuoso (in un caso) e quadrupede (nell’altro) fisico in solida fibra di vetro, straordinariamente variopinta alla riconoscibile maniera di un appariscente ornamento da luna park… Poiché non c’è modo migliore in tutto l’Estremo Oriente, di commemorare e rendere omaggio alle creature mitologiche che renderle tangibili ed interagire con la loro transitoria personificazione, come avviene anche durante il capodanno grazie alle tradizionali danze del cane leonino. Che di norma appare sempre con il suo collega identico per fare la guardia ai templi (石獅 – shíshī) in modo assai diverso da una coppia di tanto selvaggi e diversificati esseri, significativamente più imponenti dei quanto sarebbe lecito aspettarsi per questa tipologia di statue nella maggior parte dei contesti formali. Il cui ruolo è riassumibile piuttosto in quello di fagocitare, in modo particolarmente semplice, la forma personale dei singoli visitatori umani, grazie all’atipica commistione architettonica di fauci e porte, benché sia consigliabile procedere sempre in un’ordine ben preciso. Questo perché il drago, in base all’ideale taoista, rappresenta il principio positivo e luminoso dello Yang, mentre la tigre è oscura e allineata con lo Yin. Ragion per cui sarebbe assurdo non “entrare” cominciando dal primo e “uscire” dalla seconda, superando in questo modo il rischio di vanificare i presupposti apotropaici di un simile gesto, mentre si transita tra raffigurazioni tridimensionali degli inferni e paradisi d’Oriente. Piccoli accorgimenti operativi, capaci di fare la differenza tra una semplice visita turistica, ed un vero e proprio pellegrinaggio spirituale non pianificato, la via d’accesso ad un livello superiore di serenità fino alla transizione inevitabile dell’umana Esistenza…
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L’edificio costruito per riuscire a contenere sei miliardi di scarafaggi
Sulla città meridionale di Xichang, prefettura autonoma cinese di Liangshan Yi, incombe la possibile realizzazione di una catastrofe del tutto priva di precedenti. E con questo non intendo l’aleatoria profezia, o il vago timore per il mutamento climatico ed altre amenità altrettanto trascurabili, bensì la consapevolezza ormai diffusa tra la gente che in un giorno particolarmente sfortunato, l’improvviso verificarsi di un terremoto, il sabotaggio intenzionale o un madornale errore commesso dal personale di contenimento, potrà idealmente scatenare su di loro una quantità di creature paragonabile all’intera popolazione umana esistente, per la realizzazione tangibile di una vera e propria piaga biblica sulla Terra. Costruita, tuttavia, non sulle creature migratorie che da tempo immemore costituiscono il terrore dell’agricoltura, bensì un parente ben più subdolo e potenzialmente ancor più inaspettato e proprio in funzione di ciò, mostruoso: perché mai e poi mai, la natura avrebbe mai potuto permettere l’aggregazione di una simile quantità di scarafaggi. Ciò detto è formalmente chiaro come un’infestazione delle creature in questione, appartenenti color marrone scuro alla specie Periplaneta americana, rappresenterebbe un problema assolutamente trascurabile per la continuativa sopravvivenza della città; simili blatte, per quanto ci è dato sapere, non trasmettono malattie, non possiedono veleno e non hanno mai mostrato un’indole aggressiva… Fino ad ora?
Per comprendere in che maniera si è giunti alla costituzione di una simile spada di Damocle pendente, occorrerà quindi risalire all’inizio degli anni 2000, quando la progressivamente pervasiva diffusione di una cultura ecologica internazionale e norme legali contro l’esportazione delle specie a rischio ebbe il modo d’introdurre, nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) alcuni significativi cambiamenti. Fino al punto che oggi, rispetto a una paio di decadi a questa parte, risulta comparativamente molto più difficile trovare quantità copiose di bile d’orso, corna di cervo ed ossa di tigre (davvero, in che MONDO viviamo?) costringendo i numerosi estimatori di questa antichissima disciplina a scavare ancor più a fondo nel canone lasciato dall’Imperatore Giallo degli Han (Huangdi Neijing) databile attorno all’inizio del secondo secolo dopo Cristo; libro in cui veniva citato, tra gli altri, l’effetto benefico garantito dalla consumazione di “creature complete in ogni loro parte” e per questo infuse della magica scintilla di tutti e cinque gli elementi dell’Universo. Da lì a riuscire a ricondurre un simile concetto, al più facilmente allevabile e riproducibile tra tutti gli insetti da allevamento, il passo a quanto pare si sarebbe dimostrato breve, dando inizio alla fioritura di svariate centinaia di “fabbriche” costruite secondo speciali e particolarmente originali canoni di architettura. Perché chi mai aveva pensato, prima di quest’epoca incerta, di mettersi ad allevare gli scarafaggi?
Un esempio decisamente interessante può essere individuato, a tal proposito, nello stabilimento di Li Yanrong presso il distretto di Zhangqiu in Jinan, costruito mediante l’impiego di un valido espediente operativo: come un castello medievale, il palazzo mostrato nel breve reportage di ABC News Australia si mostra infatti circondato da un fossato profondo alcuni metri, riempito di mostri terribili da cui è impossibile trovare scampo. Ovvero CARPE di un acceso color rosso fuoco, perfettamente in grado di mostrare la più veloce via per l’aldilà a vantaggio di ogni speranzoso detenuto a sei zampe, le cui abilità nel volo risultano essere, notoriamente, tutt’altro che eccellenti. Come arriverebbe tragicamente a scoprire, qualora dovesse mai tentare, per una dannata ispirazione del momento, a rintracciare la tortuosa strada per la libertà…
Banzai! Dopo il rito del Ringraziamento, Naruhito è finalmente Imperatore
Quando lo scorso maggio abbiamo avuto modo di vedere in Tv, per la prima volta dal 1990, la più famosa delle tre cerimonie previste per la posa in essere di un nuovo Imperatore del Giappone, resa ancor più significativa dalla rara abdicazione del suo insigne predecessore, alcuni di noi non hanno potuto fare a meno di tradire un certo senso di sorpresa: dov’era il preciso ritualismo, dove l’arte e tutto il pathos del momento, di una civiltà famosa per il senso delle proprie tradizioni e l’attenzione verso la gestualità degli antenati, notoriamente incline a conservare i più antichi gesti e tutto il loro importantissimo significato? Naruhito semplicemente, in abito del tutto occidentale, riceveva in tale circostanza la spada tagliatrice d’erba ed i gioielli, rigorosamente custoditi all’interno di confezioni tali da renderli invisibili a noi “comuni mortali” (la terza insegna del suo potere, lo specchio divino di Amaterasu, eternamente custodita presso il Santuario di Ise e per questo irraggiungibile persino, per lui). É stato soltanto con il sopraggiungere dello scorso 22 ottobre quindi che le cose hanno iniziato a farsi decisamente più interessanti, con l’opportunità di vedere il nuovo sovrano e sua moglie Masako impegnati nella Sokuirei-Seiden-no-gi (salita al trono) dopo una lenta processione con i rispettivi kimono specifici per una tale circostanza, poco prima che lui iniziasse a declamare il solenne giuramento che compete al suo ruolo. Ma è senz’altro stato nella notte successiva allo scorso giovedì 14 novembre, che il processo di trasformazione di un uomo in effettivo tramite verso il più importante kami (divinità) del paese ha raggiunto quello che potremmo definire, senza ombra di dubbio, il suo momento maggiormente solenne e di gran lunga più sacro.
Sto parlando per l’appunto dell’importantissimo Daijō-sai (大嘗祭) o Grande Festa del Ringraziamento, un episodio rituale che molte testate giornalistiche si sono limitate a definire “segreto” con un possibile senso di sollievo al non dover approfondire una questione tanto delicata, fatta eccezione per le comprensibili proteste da parte dei fautori della divisione tra stato e chiesa, dato il costo stimato superiore ai 22 milioni di dollari. E questo, nonostante il basso numero di documentazioni videografiche effettive concesse sull’argomento. La realtà di una simile scelta di termini tuttavia, nel caso in questione, è che in effetti non c’è proprio nulla in un questo evento, per come si svolge al giorno d’oggi, che sia stato custodito al di fuori dell’opinione pubblica. Essendo esso costituito da una serie di passaggi ben precisi che più che altro, non vengono generalmente discussi in modo approfondito fuori dalle cerchie del palazzo e al tempo stesso, dominato da un momento di raccoglimento interiore che sarebbe stato semplicemente assurdo, in questo o qualsiasi altro paese, scegliere di mostrare per il pubblico ludibrio, dinanzi a telecamere senza un’anima o ritegno. Il rito del Daijō-sai consiste infatti, oltre a una ragione reiterata di proteste di natura finanziaria, il preciso e forse unico momento in cui l’Imperatore si trova al cospetto della sua divina Antenata la Dea stessa, e condividendo con essa un pasto, riceverà da lei le conoscenze necessarie ad assolvere al ruolo che compete alla sua dinastia priva d’interruzioni. Con alcuni rari punti di contatto nei confronti della Comunione cristiana, ma anche l’annuale rito del Niinamesai (新嘗祭) o Ringraziamento per il Raccolto, benché la quantità di passaggi estremamente simbolici ed il ruolo dell’uomo solo al comando lo rendano, in ultima analisi, straordinariamente distintivo. Ridurre tuttavia questo passaggio fondamentale al semplice momento del suo espletamento potrebbe essere una tentazione tale da indurci in errore, dato il suo estendersi, attraverso alcuni fondamentali passaggi, attraverso il passaggio di un intero anno…
La gazza di Formosa, uccello azzurro che ammazza il drago
Vi siete mai davvero interrogati su quale possa essere l’effettivo numero (non biblico) della Bestia? Creatura sanguinaria sputafuoco, il cui aspetto rettiliano relativamente dato per scontato tanto spesso non coincide col suo principale tratto distintivo: la quantità di zampe a disposizione. Quattro più le ali (nel qual caso siamo innanzi al “drago” dei bestiari medievali) piuttosto che due, nella versione più naturalistica e razionale, creata su interpretazione analoga a quella di uno pterodattilo della preistoria. Ma esiste pure il caso di un’asiatica versione, spesso molto saggia e non del tutto priva di benevolenza, la cui propensione ad abitare solamente in cielo porta ad essere del tutto priva di appendici deambulatorie, fatta l’eccezione per due grandi artigli. Il drago cinese o giapponese (stesso carattere 龍, due pronunce: Lóng, Ryu) cui massima espressione del mondo umano, tanto spesso, appaiono essere creature oblunghe che si aggirano nei boschi: scagliosi, linguacciuti e veleniferi serpenti. Oppure perché no, la lor versione artropode del centopiedi vietnamita (Scolopendra subspinipes) non più corto e assai diffuso nell’intero Estremo Oriente. Dopo tutto, nessuna zampa è come averne 666, nevvero?
Bestie che, a differenza dei lor simili sopra le nubi, ben conoscono il segreto della sopravvivenza: nascondersi e tentare di passare inosservate; sotto i rami, sotto siepi e all’ombra delle rocce millenarie. Dallo sguardo di coloro che, sopra ogni altro, riescono a costituire i loro massimi nemici. Becco al posto della spada ed ali aperte come scudi, zampe acuminate rosse come il sangue che non temono di far sgorgare: uccelli d’argento vestuti, Eroi del popolo e della superstizione. Non c’è davvero alcunché di strano, dunque, se ogni popolo sia pronto a riconoscere l’aspetto di un guerriero. Vestendosi e imitando i suoi colori, specie se riconoscibili, sopra ogni altro, per la vivida presenza nello spettro del possibile apparente. Come il corvo tutto nero all’Inghilterra puritana, o il fagiano variopinto al condottiero dell’Italia rinascimentale, così è la gazza, per chi abita sull’isola che aveva un tempo il nome di Formosa ed oggi tutti chiamano, per ricerca di un’analogia fonetica, la nazione indipendente di Taiwan. E sia chiaro che non sto chiamando alla memoria, con quest’ultima particolare affermazione, l’etnia cinese giunta fino a queste coste al termine dell’ultima guerra civile, seguendo il gotha del partito in armi qui esiliato esattamente 70 anni fa. Bensì del popolo aborigeno, il cui nome è Tsou, i cui membri s’insediarono assai prima: tra il XV ed il XVI secolo in prossimità del lago isolano di Riye. I cui costumi tradizionali, tanto stranamente simili a quelli degli “indiani” d’America, erano soliti includere copricapi con le piume prelevate, per l’appunto, dalla lunga coda del loro salvatore divino: la “signora della montagna” (臺灣藍鵲) anche nota come Urocissa caerulea, simile nell’aspetto all’uccello usato nell’opera di Rossini, più o meno quanto può esserlo un supereroe, alla sobria e ragionevole uniforme della polizia contemporanea. Il cui disegno bianco e nero sotto le ali, assieme alle zampe rosse vermiglie che si diceva fossero la conseguenza del fuoco rubato dai cieli, per salvare gli umani da un grande diluvio, crea un contrasto con le piume di un azzurro sfumato che risulta in grado di sfidare l’immaginazione…