Perché la Florida non è un paese per vecchie iguane

L’essere umano fu, per l’ennesima volta, il catalizzatore. Tutto ebbe inizio attorno agli anni ’50 e ’60, con le prime importazioni su larga scala di frutta tropicale entro il territorio degli Stati Uniti. Letterali derrate variopinte, accompagnate molte volte da un pesante accumulo di terra, sterpaglia e rami. Ritaglio del distante sottobosco all’interno del quale, spesse volte, potevano nascondersi grosse creature color verde. Oppure, certe volte, soltanto le loro uova. Il trapianto avvenne quindi a partire dalle zone portuali dell’isola-città di Key West, non troppo distanti dalla casa del grande scrittore Hernest Hemingway. Che di certo avrebbe manifestato un certo grado d’ironia, scorgendo per la prima volta una lucertola dall’aspetto preistorico all’interno del suo verdeggiante giardino, non troppo diverse dal primo animale domestico a cui pensavano gli amanti dei rettili e ogni cosa che li circonda. Ma le iguane, sempre adattabili, straordinariamente piene di risorse, non ci misero eccessivamente a lungo a risalire in qualche modo la strada statale A1A, più comunemente chiamata Overseas Highway. Per poggiare le loro zampe dalle lunghe dita sulle coste ombrose del più calmo ed accogliente di tutti gli Stati Uniti. Un paradiso per creature come queste, abituate a doversi guardare dai continui assalti degli implacabili rapaci, coccodrilli e i grossi ratti della giungla tropicale. Al punto da riuscire a prosperare, raggiungendo vette precedentemente ritenute irraggiungibili. Finché ogni essere vivente degno di essere contato tra Miami e Orlando, fatta eccezione per la “piccola” quantità di umani, potesse risultare caratterizzato da una cresta spinosa, cascante pappagorgia e quella lunga coda da dinosauro con la forma minacciosa di una frusta sempre pronta a colpire.
Si trattava di un’invasione a tutti gli effetti, chiaramente, ma osservando la sua evoluzione storica è piuttosto chiaro come avvenne a un ritmo semplicemente troppo lento e graduale, perché ad alcuno venisse in mente di suggerire un qualsivoglia mezzo di prevenzione. Al punto che si hanno notizie, almeno fino all’inizio degli anni ’90, di una diffusa inclinazione alla benevolenza nei confronti dei grossi ed attraenti rettili, che dopotutto non causavano eccessivi problemi: contrariamente agli altri rettili introdotti accidentalmente come il pitone di Burma o la lucertola Tegu, l’Iguana iguana o ig. verde costituisce l’esempio di una creatura quasi perfettamente vegetariana, che è solita nutrirsi soltanto occasionalmente delle uova di qualche uccello e l’occasionale cavalletta ingurgitata quasi per caso assieme alle foglie o erba dei suoi pasti quotidiani. Pacifica e naturalmente poco aggressiva, è inoltre solita immobilizzarsi quando si sente minacciata, rendendo ancor più facile girargli attorno e lasciarla ai margini della coscienza, nella propria sostanziale indifferenza ai bisogni e le continue peregrinazioni umane. Se non che ogni cosa può aumentare fino ai limiti accettabili e l’iguana verde, sotto questo punto di vista, risulta essere straordinariamente prolifica con le circa 50-70 uova deposte a partire dal terzo anno d’età, e per tutto il resto degli 8-10 vissuti agevolmente da queste creature provenienti dal profondo meridione americano. Capsule biologiche deposte molto spesso, per inciso, all’interno di gallerie alla profondità di fino a 2,5 metri sotto il livello del terreno, abbastanza profonde da arrecare danni alle tubature della tipica villetta a schiera americana. Per non parlare dell’abitudine, non meno problematica, di consumare con assoluta priorità le piante ornamentali ed i fiori più rari e preziosi della maggior parte dei giardini che ricevono la grazia della loro placida presenza rettiliana. E il piccolo “dettaglio” in realtà piuttosto terrificante, del batterio della salmonella che frequentemente si accompagna a simili animali, moltiplicandosi in maniera florida all’interno delle loro deiezioni. Problemi niente affatto trascurabili, in uno stato che ha acquisito negli anni lo stereotipo tutt’altro che immotivato di perfetto luogo di pensionamento di una buona metà degli Stati Uniti, proprio in forza di quello stesso clima e splendida natura che l’ha finito per renderlo ideale anche all’ennesimo abitante alieno di tali e tanti tiepide distese erbose. Per cui qualcosa occorreva pur tentare e l’unica strada possibile, dopo numerosi tentativi, fu l’istituzione delle correnti e spesso impietose pattuglie anti-iguana…

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Attenzione attraversamento cervi (in mezzo agli alberi sul grande ponte americano)

Era stato fatto notare a sua maestà il signore del branco, che ogni qualvolta occorreva girare attorno a una recinzione, generalmente le cose non andavano a finire bene per i membri del popolo cornuto della foresta. Così egli frenò le sue zampe, puntò in alto il muso e sostò per qualche attimo allo scopo di… Ponderare la situazione. Ma trovare alternative non era di sicuro il suo forte, né quello di alcuno dei suoi consiglieri, le sue mogli, la prole ansiosa di compiere il proprio destino all’ombra di un vespro carico d’incertezze per l’indomani. D’altra parte il Grande Viaggio Verso Meridione era ormai iniziato, e tornare indietro? Non era neppure immaginabile, per il costo che avrebbe avuto ai danni della sua piccola comunità itinerante. Allora il re calcolò l’altezza della rete, guardò la terra strana e piatta che si trovava all’altro lato di quest’ennesima barriera. Quindi, ricominciò a camminare ben sapendo che prima o poi, avrebbero trovato un’apertura. Succedeva sempre così. Osservò le strane luci che correvano a due a due, verso una destinazione non meno importante della sua. Creature irragionevoli, questo lo sapeva fin troppo bene! Ricordava il modo in cui il suo insigne predecessore, durante un attraversamento simile aveva finito per essere colpito dal grande bisonte di metallo, morendo pietosamente sul colpo mentre i suoi amici e familiari, terrorizzati, si bagnavano del sangue proveniente dal suo corpo proiettato a molti metri di distanza. Il vespro era vicino, ormai. Ecco giungere, dunque, quello che agognava tanto enfaticamente: un’apertura percorribile, ove andare incontro a conseguenze che era già state scritte nelle alte camere del ragno tessitore. Ma qualcosa, ebbe modo di capirlo quasi subito, non sembrava fare parte di una somma già nota. Perché l’erba continuava a estendersi oltre i limiti della barriera in filo reticolato? Cos’erano le alte siepi di cemento, ancor più invalicabili delle altre, costituite perpendicolarmente al punto di passaggio dell’asfalto portatore di condanna? Una sorpresa, di sicuro. Eppure non del tutto sgradita. Sua maestà il signore del branco fece un passo titubante, poi un secondo e infine prese nuovamente a muoversi con ritmo sostenuto. I suoi sudditi lo stavano seguendo. Sotto svariati metri di terra, i bisonti di metallo continuavano ad emettere il proprio infernale di minaccia verso prede irraggiungibili e remote.
Di sicuro avrete già sentito parlare di soluzioni simili, su scala decisamente più ridotta: canali di scolo allargati, per permettere il transito agevole di trote, o tartarughe. Punti appositamente lasciati liberi, nel guard-rail tra i boschi ombreggiati, affinché grossi animali possano passare oltre, in presenza di precise segnaletiche ed inviti a rallentare con gli autoveicoli di turno. Ma il problema di cervi, coyote ed orsi è che i loro cervelli non riescono a capire, i loro occhi non riescono a distinguere, i colori ed il funzionamento di un semaforo del tipo costruito dalla genìa degli umani. Alla stessa maniera in cui è per loro totalmente impossibile fare a meno di una certa liberta dei movimenti, al fine di spostarsi da un recesso a quello successivo delle terre funzionali alla propria sussistenza. Al punto da porre le basi di una sconvolgente stima pari a circa 2,1 milioni d’incidenti ai danni di animali sulle strade statunitensi nel corso del solo anno 2020, per non parlare degli oltre 20.000 feriti e ben 185 decessi umani. Questo non soltanto per il naturale tentativo di evitare l’impatto da parte di molti, con conseguenze spesso difficili da prevedere, ma anche l’effetto dell’investimento di un automobile che si sta muovendo a ritmo sostenuto di una creatura che può talvolta arrivare al peso di svariati quintali, che può altrettanto facilmente essere proiettata sopra il cofano e attraverso i vetri del parabrezza. Cifre niente affatto difficili da confermare, soprattutto nel corso degli ultimi anni, anche prendendo a campione la sola strada intestatale della I-90, importante arteria di collegamento tra le due coste degli Stati Uniti, capace di collegare i distanti centri abitati di Seattle (Washington) e Weston (Massachusetts) all’altro lato di un intero continente. Tragitto che attraversa molti “punti caldi” della vita selvatica e le sue importanti peregrinazioni, ma forse nessuno più strategico del passo di Snoqualmie, uno dei soli tre punti entro molte migliaia di chilometri capaci di costituire un collegamento tra le valli a settentrione e meridione del Cascade Range, non troppo lontano dall’omonima e caratteristica cittadina, dove vennero girate molte delle scene della serie Twin Peaks. Abbastanza cruciale, per automobilisti ed ungulati, da giustificare l’implementazione di una serie d’infrastrutture che potremmo definire a dire il vero alquanto risolutive…

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Il guardiano che spara verso le anatre per salvarle da un caustico destino

Colpi tutt’altro che regolari risuonano nel silenzio, mentre il grido registrato di falchi elettrici accompagna quello dell’esacottero radiocomandato ed agghindato con piume di rapaci, intento a mescolarsi con lo stormo d’anatre indifferenti. Ogni dieci minuti, un cannone ad aria lascia riecheggiare il tonfo sordo prodotto dalla sua deflagrazione. Uomini in tenuta catarifrangente di sicurezza faticosamente spostano e posizionano un letterale pezzo d’artiglieria costituito da una serie di tubi paralleli. Il loro attento comandante, sollevando momentaneamente lo sguardo dal mirino di precisione, punta per l’ultima volta verso l’obiettivo ed esegue un cenno d’approvazione. È il segnale. La lenta discesa di qualche decina di uccelli, da spaventare uno ad uno, si è ormai trasformata in una massa informe che si riversa nelle acque proibite… Ancora per poco. L’uomo impugna una ricetrasmittente: “Esimi colleghi, compagni minatori, al mio segnale… Scatenate l’inferno!”
Non è sempre possibile scegliere le proprie battaglie e questo nessuno sembra saperlo meglio di Mark Mariano, lo “specialista della conservazione naturale” ultimo depositario di una lunga linea di protettori, della vita che transita dalle parti della brulla cittadina lungo l’Interstatale, nella cosiddetta Terra delle Montagne Splendenti. Un soprannome come un altro per lo stato americano del Montana, finalizzato ad alludere al ricco sottosuolo che, attraverso le ultime 10 generazioni, tanta ricchezza e tanti problemi ha saputo portare nello stesso tempo agli abitanti speranzosi di comunità del tutto simili a questa. E di cui Butte, capitale della contea di Silver, avrebbe potuto rappresentare invero la quintessenza, dal momento stesso in cui alla fine del XIX secolo, grazie alla massa di granito inclusivo risalente al Cretaceo situata subito sotto le sue fondamenta coadiuvata dalle moderne tecnologie di prospezione, seppe diventare un fiorente punto di ritrovo per chiunque fosse interessato ad indossare un elmetto di sicurezza e manovrare macchinari pesanti, piuttosto che far vibrare l’appuntita testa del piccone d’ordinanza. “Capitale mondiale del rame” la chiamavano, assieme alle altre company towns (città aziendali) sancite originariamente dal potente conglomerato della Anaconda Mining Company, principale responsabile di aver plasmato una parte significativa del “moderno” West. Inclusa la residenza dello stesso Mariano e tutti gli altri operatori passati successivamente alle dipendenze della Atlantic Richfield Company, comunemente nota come ARCO, che trasformò la cava in una profonda pozza a cielo aperto: meno pericolosa, più redditizia e semplice da gestire. Almeno finché a partire da 1982, per rispondere a un’esigenza tutt’altro che soggettiva o immaginaria, alcuni di loro si ritrovarono ad impugnare la torcia metaforica ed il letterale fucile da caccia, necessari a invertire una macabra quanto inaccettabile sequenza di cause ed effetti.
Tutto ebbe inizio in effetti quell’anno in cui, come inevitabile conseguenza dell’esaurirsi progressivo dei giacimenti, venne infine dato l’ordine di chiudere i battenti di questo importante sito minerario. In un clima di festa e rinnovamento, e non a caso nella giornata della Terra, quando ancora si credeva che ciò potesse costituire un punto di svolta e riscoperta turistica per l’intera comunità locale. Ma l’inevitabile quanto prevedibile spopolamento, in effetti, non fu che l’inizio del problema; poiché non appena vennero spente le pompe della miniera, ormai trasformata in un profondo lago endoreico ricolmo d’acqua piovana soprannominato il Berkeley Pit, i veleni contenuti al di sotto di questo iniziarono a filtrare attraverso la terra permeabile. Reagendo con la pirite contenuta nelle rocce del fondale, fino a creare un tipo di reazione particolarmente sconveniente: quella capace di diminuirne il pH fino alla cifra di 2.5, grosso modo corrispondente a quello della Coca-Cola, del succo di limone o degli acidi gastrici contenuti all’interno dello stomaco umano. Per non parlare dei veleni pesanti e dalle conseguenze meno immediate, tra cui arsenico, cadmio, zinco, piombo. Ma nessuno inviò alcun segnale di questo ai principali utilizzatori di tale specchio d’acqua, gli uccelli migratori di passaggio verso le terre del distante Nord canadese…

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Cane che non mangia cane ma piuttosto, centinaia di migliaia di termiti al giorno

Non è sempre facile verso le ore del tramonto, sulla distanza, giungere a comprendere le vere proporzioni delle cose. O degli animali. Così scrutando l’orizzonte col binocolo, verso gli erbosi recessi di Zambia, Angola e Mozambico, può succedere di scorgere quello che sembra a tutti gli effetti una iena gradevolmente striata che si nutre dei rimasugli di una indefinibile carcassa animale. Chinando la sua testa con le grandi orecchie da pipistrello, una, due volte, il muso colorato di rosso per il sangue. Ma soltanto chi dovesse intrattenersi sufficientemente a lungo in tale osservazione, finirebbe per notare qualcosa di etologicamente inaspettato: che neppure in un singolo caso, lo spazzino carnivoro apre completamente la sua bocca, che non mastica, non strappa e non fagocita pezzi di carne. Preferendo, piuttosto, tirare fuori a un ritmo sostenuto la sua lunga e articolata lingua rosa eccezionalmente ruvida e corazzata, ancora e ancora. Siamo forse dinnanzi ad un fenomeno di vampirismo? Forse il mostro sta bevendo il sangue ancora tiepido della gazzella? Non proprio, o per lo meno, non solo. Poiché il pasto principale, in questo o un’altra grande quantità di casi, risulta essere piuttosto qualche cosa di assolutamente VIVENTE. Le larve di mosca, le uova, i vermi contenuti in quelle membra prossime alla putrescenza. E di sicuro, se questa fosse veramente una “semplice” iena, diversi altri aspetti finirebbero per suscitare un senso generale di straniamento. Trascorso un tempo sufficientemente lungo, un ratto delle canne dal peso approssimativo di 3 Kg entra casualmente nel raggio visivo dello spettatore. Completamente ignorato da quel potenziale predatore, gli gira attorno. Le sue vere proporzioni, a un tratto, appaiono evidenti: esso può raggiungerne in altezza una metà abbondante delle affusolate zampe. Questo perché l’insettivoro quadrupede misura, in effetti, non più di 50 cm al garrese. Più o meno come un cane di taglia medio-piccola che abita comunemente all’interno delle nostre case.
Eppure il nome comune che ad esso si riferisce, preso in prestito dalla lingua locale afrikaans, allude principalmente a due concetti: aardwolf (letteralmente: “lupo di terra”) finendo per assomigliare linguisticamente a un altro formidabile divoratore d’insetti, l’aardvark (“maiale di terra”) con cui condivide la massima parte della sua dieta. Costituita, nel presente caso del Proteles cristata, in larga parte di esponenti della famiglia Hodotermitidae prelevate direttamente dalla loro città di fango, consumate in quantità semplicemente spropositate. La mitologia vichinga parlava a tal proposito del grande lupo Fenrir, che secondo una profezia avrebbe ricevuto il compito di divorare il Sole negli ultimi giorni degli Dei e degli uomini. Una creatura che avrebbe potuto molto facilmente divorare interi eserciti nello spazio tra il tramonto e l’alba, il che potrebbe facilmente rientrare nella descrizione di una così piccola ed, almeno apparentemente, inoffensiva creatura. Secondo stime informate, largamente approfondite negli ambienti di studio, un singolo protele arriverebbe a trangugiare fino a un quarto di milione d’esapodi eusociali nel corso di una singola notte. Qualcosa di apocalittico e glorioso al tempo stesso, soprattutto per gli agricoltori che devono fare i conti quotidianamente coi problemi logistici presentati dall’improvviso palesarsi di un termitaio. Sebbene voglia il caso, ed è una triste contingenza, che la pessima reputazione posseduta dai suoi cugini “maggiori” porti a una crudele intolleranza anche nei confronti di questo atipico esponente dell’ordine dei carnivori, complice anche la poca conoscenza per la rarità in determinati territori. Tanto spesso cacciato o ucciso sul terreno delle fattorie, per la presunta quanto erronea idea che possa occasionalmente nutrirsi degli animali domestici contenuti all’interno di esse. Un errore niente meno che madornale: perché mai la suddetta creatura dovrebbe fare una scelta simile, quando un qualcosa di molto più dolce e nutritivo può costituire un pasto equilibrato, nutriente e soprattutto carico d’apocalittica soddisfazione… Secondo i ben precisi gusti alimentari della sua specie.

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