Il guardiano che spara verso le anatre per salvarle da un caustico destino

Colpi tutt’altro che regolari risuonano nel silenzio, mentre il grido registrato di falchi elettrici accompagna quello dell’esacottero radiocomandato ed agghindato con piume di rapaci, intento a mescolarsi con lo stormo d’anatre indifferenti. Ogni dieci minuti, un cannone ad aria lascia riecheggiare il tonfo sordo prodotto dalla sua deflagrazione. Uomini in tenuta catarifrangente di sicurezza faticosamente spostano e posizionano un letterale pezzo d’artiglieria costituito da una serie di tubi paralleli. Il loro attento comandante, sollevando momentaneamente lo sguardo dal mirino di precisione, punta per l’ultima volta verso l’obiettivo ed esegue un cenno d’approvazione. È il segnale. La lenta discesa di qualche decina di uccelli, da spaventare uno ad uno, si è ormai trasformata in una massa informe che si riversa nelle acque proibite… Ancora per poco. L’uomo impugna una ricetrasmittente: “Esimi colleghi, compagni minatori, al mio segnale… Scatenate l’inferno!”
Non è sempre possibile scegliere le proprie battaglie e questo nessuno sembra saperlo meglio di Mark Mariano, lo “specialista della conservazione naturale” ultimo depositario di una lunga linea di protettori, della vita che transita dalle parti della brulla cittadina lungo l’Interstatale, nella cosiddetta Terra delle Montagne Splendenti. Un soprannome come un altro per lo stato americano del Montana, finalizzato ad alludere al ricco sottosuolo che, attraverso le ultime 10 generazioni, tanta ricchezza e tanti problemi ha saputo portare nello stesso tempo agli abitanti speranzosi di comunità del tutto simili a questa. E di cui Butte, capitale della contea di Silver, avrebbe potuto rappresentare invero la quintessenza, dal momento stesso in cui alla fine del XIX secolo, grazie alla massa di granito inclusivo risalente al Cretaceo situata subito sotto le sue fondamenta coadiuvata dalle moderne tecnologie di prospezione, seppe diventare un fiorente punto di ritrovo per chiunque fosse interessato ad indossare un elmetto di sicurezza e manovrare macchinari pesanti, piuttosto che far vibrare l’appuntita testa del piccone d’ordinanza. “Capitale mondiale del rame” la chiamavano, assieme alle altre company towns (città aziendali) sancite originariamente dal potente conglomerato della Anaconda Mining Company, principale responsabile di aver plasmato una parte significativa del “moderno” West. Inclusa la residenza dello stesso Mariano e tutti gli altri operatori passati successivamente alle dipendenze della Atlantic Richfield Company, comunemente nota come ARCO, che trasformò la cava in una profonda pozza a cielo aperto: meno pericolosa, più redditizia e semplice da gestire. Almeno finché a partire da 1982, per rispondere a un’esigenza tutt’altro che soggettiva o immaginaria, alcuni di loro si ritrovarono ad impugnare la torcia metaforica ed il letterale fucile da caccia, necessari a invertire una macabra quanto inaccettabile sequenza di cause ed effetti.
Tutto ebbe inizio in effetti quell’anno in cui, come inevitabile conseguenza dell’esaurirsi progressivo dei giacimenti, venne infine dato l’ordine di chiudere i battenti di questo importante sito minerario. In un clima di festa e rinnovamento, e non a caso nella giornata della Terra, quando ancora si credeva che ciò potesse costituire un punto di svolta e riscoperta turistica per l’intera comunità locale. Ma l’inevitabile quanto prevedibile spopolamento, in effetti, non fu che l’inizio del problema; poiché non appena vennero spente le pompe della miniera, ormai trasformata in un profondo lago endoreico ricolmo d’acqua piovana soprannominato il Berkeley Pit, i veleni contenuti al di sotto di questo iniziarono a filtrare attraverso la terra permeabile. Reagendo con la pirite contenuta nelle rocce del fondale, fino a creare un tipo di reazione particolarmente sconveniente: quella capace di diminuirne il pH fino alla cifra di 2.5, grosso modo corrispondente a quello della Coca-Cola, del succo di limone o degli acidi gastrici contenuti all’interno dello stomaco umano. Per non parlare dei veleni pesanti e dalle conseguenze meno immediate, tra cui arsenico, cadmio, zinco, piombo. Ma nessuno inviò alcun segnale di questo ai principali utilizzatori di tale specchio d’acqua, gli uccelli migratori di passaggio verso le terre del distante Nord canadese…

Visitata nel 2019 dal viaggiatore internazionale Tom Scott, la pozza di Berkeley è stata mostrata dal suo lato più curioso ed imprevisto: quella di letterale roadside attraction, un luogo dove pagare qualche dollaro per accedere a una piattaforma d’osservazione, per meditare sulle acque tossiche dell’imprudenza dei nostri predecessori.

Non soltanto anatre dunque, ma oche di molte varietà distinte, svassi, folaghe, avosette… Ogni tipo di volatile insomma che fosse non soltanto abituato a spostarsi per molte migliaia di chilometri al concludersi della propria stagione riproduttiva, ma la cui indole naturalmente acquatica fosse solita portare a fermarsi presso acque almeno apparentemente accoglienti, per riposare le stanche membra ed i muscoli delle proprie ali. Se non che lo stomaco di simili creature, come c’insegna la scienza e la pura e semplice arte dell’osservazione, non fu mai fatto per ingurgitare sostanze simili a quelle del lago artificiale di Berkeley, con tragiche conseguenze fin troppo facili da immaginare; così non ci volle molto, perché all’accumularsi dei cadaveri pennuti sulle rive rocciose, l’ancora responsabile ARCO istituisse la nuova figura professionale dell’incaricato di mantenere i volatili lontani dal loro destino, occupandosi di spaventarli e farli fuggire via più veloci del vento stesso. Una mansione che non poteva certamente essere svolta in altro modo, trovandoci dopo tutto negli Stati Uniti, che attraverso l’impiego di quel tipo di sacri strumenti che prendono il nome di armi di fuoco. Fucili, soprattutto, con mirini di precisione finalizzati ad un’eclettico scopo alternativo: mancare di poco il bersaglio o gruppetto di bersagli di turno, affinché soltanto il suono dell’impatto del proiettile sull’acqua, piuttosto che una letale stretta di mano da parte di quest’ultimo, potesse occuparsi d’interrompere il treno inconsapevolmente autodistruttivo dei loro starnazzanti pensieri. Una metodologia non totalmente risolutiva ma che sembrò dimostrarsi brutalmente efficace, almeno fino al verificarsi di una terribile, quanto irrimediabile tragedia: era il 1992 quando un enorme stormo di oche artiche (Anser caerulescens) incontrò una tempesta di passaggio per Butte, trovandosi costretto ad atterrare collettivamente nel lago tossico e corrosivo. Nel giro di qualche ora, gli esemplari cominciarono a morire: letterali migliaia di uccelli, accatastati l’uno sull’altro, colorarono di bianco le tragiche rive. Mentre uomini “duri & puri”, minatori di lunga esperienza ed abituati ai più difficili risvolti della vita, riuscivano soltanto faticosamente a ricacciare le lacrime sui propri volti induriti dall’esperienza. Fu aperta un’investigazione federale, mentre la compagnia tentava di dimostrare che la morte collettiva era stata causata da un parassita del grano precedentemente ingurgitato dallo stormo. Se non che le palesi ustioni, presenti all’interno dell’intero sistema digerente delle oche, rese insostenibile una tale idea, costringendo i responsabili a istituire nuove metodologie di prevenzione. Con l’arrivo sulla scena della nuova compagnia creata per gestire le operazioni minerarie locali all’inizio degli anni 2000, la Montana Resources LLP, questa guerra contro le terribili conseguenze dell’industria iniziò quindi ad assumere metodologie maggiormente risolutive e dal più elevato grado di efficienza, tra cui l’impiego dei temibili wailers, altoparlanti cronometrati capaci d’emettere ogni sorta di suono inquietante, assieme agli altri marchingegni citati in apertura. Ma nulla avrebbe mai effettivamente superato, come raccontato nel video di apertura realizzato dal portale Business Insider, la versatilità del semplice fucile, usato in questo caso per proteggere, piuttosto che porre fine alla vita degli animali.
Che poi l’entusiasta ed orgoglioso Mark Mariano, bravissimo nel suo lavoro, sia anche un cacciatore provetto, capace di mostrare alle telecamere le piume dell’ultimo tacchino catturato, non dovrebbe sorprendere pressoché nessuno. Quale più accanito protettore della natura in effetti esiste, di colui che necessita la continuità dei processi necessari ad essa, per poter dare seguito all’attività che maggiormente arricchisce le proprie ore lontano da una scrivania? Persino quella decisamente atipica, contenuta all’interno dell’ormai leggendario “capanno delle anatre”, un tempo punto di vantaggio impiegato dal supervisore dei camion intenti a risalire dall’interno del grande pozzo minerario.

Umide, tiepide, accoglienti, acque tinte di un inquietante color verde oliva. Chiaramente, per chi fa della mollica di pane il proprio tesoro maggiormente desiderabile, non tutto appare nella sua più chiara essenza. Le anatre non possiedono, del resto, il senso tragico della Storia.

La più immediata domanda che potrebbe sorgere spontanea, a questo punto, è perché non il lago artificiale non venga semplicemente svuotato, inducendo gli uccelli a sostare semplicemente altrove. Il che risulta senz’altro più difficile di quanto si possa credere, quando si considerano le sue dimensioni di 1.600×800 metri ed i 227 milioni di litri d’acqua contenuti all’interno, ormai seriamente contaminati e per questo tutt’altro che facili da smaltire. Il che non ha del resto impedito, a partire dall’ottobre del 2019, di inaugurare nelle vicinanze l’impianto di pompaggio e depurazione finanziato con le risorse dell’iniziativa nazionale Superfund, dedicata al recupero delle aree più inquinate e degradate di tutti gli Stati Uniti. Un’istituzione certamente risolutiva in questo caso e che ha raggiunto negli ultimi tempi un volume d’acqua processato, ed instradato verso il vicino torrente di Silver Bow, di circa 22.000 litri processati al minuto nelle ore di attività, comunque ancora ben lontani dal poter completare l’ardua mansione in tempi abbastanza brevi da poter mandare a casa i cecchini.
Così il dramma, contenuto per quanto possibile dall’ingegno dell’uomo, continua imperterrito a dipanarsi, autunno dopo la primavera, e l’autunno successivo. Mentre diventa difficile ignorare quanto sarebbe stato possibile fare in origine, per prevenire l’insorgere stesso di una così problematica necessità. Ma nessuno può scegliere le proprie battaglie, meno che mai coloro che vivono presso un lago tossico destinato a diventare un’attrazione turistica col trascorrere delle generazioni. Così come il famoso cane randagio locale dal lungo pelo disordinato, Auditor (Supervisore) che per lunghi anni perlustrò le coste tossiche del lago di Berkeley, bevendone tranquillamente l’acqua avvelenata. E che nel 2003, infine, sarebbe passato a miglior vita all’età notevole di 17 anni, senza mai riportare altri problemi di salute che l’artrite tipica della vecchiaia canina. La cui statua in bronzo, oggi, sorveglia le operazioni di allontanamento delle anatre e gli altri malcapitati volatili che transitano da queste parti. Offrendo il proprio incoraggiamento silente alle nuove generazioni di artiglieri.

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