Luci ed ombre della torre a forma di pennello in Corea

Sai cos’è bello? Quando una gigantesca compagnia, fondata su una pletora d’interessi appartenenti ai più diversi settori del commercio e della finanza investe il suo denaro, per una volta, nell’interesse del bene collettivo, al fine di costruire qualcosa che resterà in eterno all’interno del patrimonio di popolo e una città. Un qualcosa che occasionalmente avviene, attraverso il sistema occidentale, con la finalità di trovarsi dinnanzi ad un fisco più benevolo e comprensivo, soprattutto negli Stati Uniti, dove il sistema delle donazioni costituisce un caposaldo della buona amministrazione per qualsiasi multinazionale e relativo manager che si rispetti. Non che scenari simili siano del tutto inauditi anche in Europa, Russia o le altre propaggini più prossime della grande Asia. Ma se si osserva il modulo comportamentale in merito alla questione del mondo degli affari dell’Estremo Oriente, e il tipo di effetti che esso tende ad avere sul paesaggio urbano, appare occasionalmente palese come lì possa sussistere un meccanismo dei presupposti in qualche maniera diverso: le Petronas e la Bank of China Tower, il Jin Mao Building, la Kingkey Tower di Shenzen, il Tobu Skytree di Tokyo… Tutti grattacieli che rappresentano i loro ingombranti proprietari arrivando a portarne direttamente il nome. E rappresentandone direttamente la visione, qualche volta futuribile, altre perfettamente integrata con l’attuale sistema costituito del mercato globale. In questo, la nuovissima Lotte World di Seoul non fa certo eccezione: nata su una riva del fiume Han dopo oltre dieci anni di tentativi nell’acquisire i permessi ed il via libera necessari, ed ultimata dopo altri sei di lavoro febbrile e qualche volta, persino incauto, questa svettante aggiunta ad uno skyline per il resto non particolarmente elevato (sia chiaro: relativamente parlando) costituisce molto evidentemente il fiore all’occhiello dei committenti che devono aver approvato il progetto, non senza qualche inevitabile esitazione, la fantastica visione dell’architetto di New York Kohn Pedersen Fox (Studio KPF) che nei suoi sogni aveva pensato a questo titano di 555 metri che omaggiasse la cultura coreana, con un doppio richiamo alle antiche ceramiche della penisola e l’arte sempre attuale della calligrafia. Le prime in funzione della sua copertura in acciaio bianco laccato, con aggiunte di filigrana dorata e un “beccuccio” superiore dalla forma a lanterna, dove in realtà si trova uno dei ponti d’osservazione più impressionanti del continente. E la seconda per la forma generale dell’edificio, rastremato ed un po’ curvilineo, simile alle setole del tipico pennello appuntito impiegato anche in Cina e Giappone, al fine di praticare un’arte che pare andare di pari passo con il concetto grafico degli ideogrammi di stampo continentale; benché a dire il vero, in epoca più recente, i coreani l’abbiano applicata anche al loro caratteristico alfabeto, lo hangŭl.
La Lotte World Tower esiste, dunque, in maniera preponderante, e a partire dalla recente notte del 3 aprile ha anche aperto al pubblico, a séguito di uno spettacolo di fuochi d’artificio che non avrebbe in alcun modo fatto invidia al celebre show di capodanno di Manhattan, nel cuore della tentacolare New York. Una visione che allude alla nuova e sempre più potente Corea del Sud, che nonostante la crisi politica e le minacce del suo vicino sembra profondamente intenzionata a cavalcare l’onda del suo boom finanziario verso il futuro, costruendo una quantità spropositata di nuove strutture, meraviglie ed interi quartieri circostanti la capitale da oltre 10 milioni di abitanti. Come i sobborghi di Ilsan, Uiyeongbu-si, Anyang-si o Songdo IBD, edificato nei dintorni dell’aeroporto internazionale. Con una proliferazione di spazi abitativi e dedicati agli uffici che pare trascendere le effettive esigenze di un popolo che, come tutti gli altri appartenenti all’OECD dei paesi più sviluppati al mondo, non sta esattamente attraversando una crescita demografica priva di precedenti. C’era davvero bisogno, dunque, di questa ennesima meraviglia dell’architettura, dell’ingegneria e della tecnica? La vera risposta a questa domanda, inevitabilmente, diventa: dipende dai punti di vista. Il grattacielo a forma di pennello evidenzia certamente la fortuna del conglomerato Lotte, una delle principali chaebol che influenzano il fato del paese (grossomodo equivalenti alle zaibatsu giapponesi) ed è un piacere per gli occhi degli abitanti locali, o almeno così si dice, per il “contrasto artificiale che crea stagliandosi contro i picchi del Bukhansan e le altre montagne create dalla natura.” Può dirsi orgoglioso, inoltre, di aver già attirato un particolare tipo d’indesiderabile turismo internazionale…

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Le verità di Ordos, città fantasma sul confine della Cina

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L’energia economica del mondo scorre e si propaga, attraverso linee di confluenza che convergono verso i punti d’interesse dei poteri sovrani: zone d’importanza strategica, culturale, turistica, giacimenti di risorse naturali. Così quando camminando ti ritrovi al cospetto di una simile energia, è difficile che non lo noti. Nella parte settentrionale del grande paese degli Han, c’è la striscia di territorio che viene comunemente definita la Mongolia interna. Ed è qui, in prossimità del Fiume Giallo, che si estende una delle piazze più grandi del mondo, dopo Times Square e Tiananmen. Al suo centro, due stalloni rampanti si scontrano in un eterno duello, mentre altre statue dei guerrieri di Genghis Khan, riunite in un maestoso assembramento, sembrano lanciate in una folle cavalcata verso un invisibile nemico. E proprio di fronte all’atterrito sguardo, colossali ed insoliti monumenti: il Museo di Ordos, costruito nella foggia di un enorme roccia sfaccettata, o in altri termini origami dei titani. La biblioteca cittadina, la cui struttura è simile a quella di tre libri in fila su una mensola a gradoni. Strade larghe quaranta metri, nel frattempo, si irradiano a raggiera da un simile punto centrale. Ciascuna di esse potrebbe bastare ad ospitare una Parata Nazionale. Tutto è fuori scala, spropositato, nel distretto nuovo di Kangbashi, progetto finanziato a partire dal 2003 grazie alle ingenti finanze estratte da quello che viene tutt’ora definito “il Texas della Cina” per la sua ricchezza di carbone, petrolio e terre rare. Quando ci si rese conto che Ordos, città-prefettura fondata ai margini dell’omonimo deserto e ormai popolata da oltre 2 milioni di persone, non disponeva delle infrastrutture, degli spazi e soprattutto dell’acqua necessaria a sostenerle in un modo che potesse realmente definirsi, ideale. Almeno finché un tale nucleo di energia potenziale non fosse illuminato dalla luce degli appalti, e i lupi della speculazione edilizia lasciati a scatenarsi sul corpo di una simile…Opportunità.
Spostiamoci in avanti di 5 anni: i media internazionali, nella persona di una nota corrispondente locale del canale Al Jazeera, capitano “per caso” da queste parti, osservando con stupore l’esistenza di quella che sembra essere, a tutti gli effetti, una città pressoché vuota. Vasta quanto l’area di Pechino e costellata di grattacieli, con spazi adatti ad ospitare 5, 10, 20 volte l’effettiva popolazione di qualche migliaio appena, che sfreccia ai margini del campo visivo, percorrendo strade semi-vuote in lampo d’automobili brillanti sotto il sole. I marciapiedi, nel frattempo, sono totalmente vuoti. Le finestre nella notte, restano del tutto buie. L’interpretazione data dal pubblico di tali scene è tanto immediata, quanto pregna di significato: “La possente Cina, la facoltosa Cina, che negli ultimi anni ha modificato a sua immagine il meccanismo dell’economia globale, è ormai prossima allo scoppio della BOLLA. Per questo, costruisce cattedrali nel deserto.” È una narrativa così straordinariamente funzionale all’interpretazione tipica dei nostri tempi: tutto è motivato dal denaro, condizionato dall’assenza di esso, e/o nutrito fino all’estrema crescita bruciandone spropositate quantità. Questa infiorescenza fungo-edilizia tanto palesemente immotivata eppure fortemente voluta dal governo, non può avere naturalmente altra ragione d’esistenza, che la necessità di aumentare artificialmente il prodotto interno lordo, generando l’illusione di uno Yuan forte laddove la valuta in questione, molto presto, è destinata a sprofondare nell’inferno dell’iper-svalutazione. “Portandoci TUTTI…” Continuano i moderni giardinieri dell’apocalisse: “…Ad una fine inevitabile e ingloriosa!”
Eppure, eppure. Chi volesse approfondire maggiormente la questione, scoprirà qualcosa di apparentemente illogico: di ciascun appartamento su cui viene apposta la dicitura “in vendita” nel leggendario distretto periferico di Ordos, pressoché nessuno resta privo di un proprietario. La gente che vive nella città vecchia, in effetti, generalmente piuttosto facoltosa in forza del boom economico degli ultimi anni, non ha saputo trovare altro metodo d’investimento che acquistare proprietà nella presunta Metropoli Fantasma. Che dunque, quanto a lungo rimarrà tale? Forse la risposta non è poi così difficile da rintracciare. Almeno in linea di principio, l’avete udita in un celebre detto delle nostre parti: Roma non fu costruita in un giorno. Ma se lo fosse stata, ce ne sarebbero voluti comunque parecchi, a popolarla…

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Lavavetri volante: l’unico mestiere che ricerca la precarietà

Burj Window Cleaner

È un video di quelli che ti lasciano senza parole per l’incredibile portata di quanto è portato a svolgersi nella cornice dello schermo: con l’attore e conduttore inglese Dallas Campbell che a novembre del 2012, per girare una puntata della serie di documentari della BBC Supersized Earth (la Terra sovradimensionata) si univa ad una squadra veramente fuori dal comune di operai. Siamo, come avrete facilmente modo di notare, verso la metà di un palazzo che potremmo definire “abbastanza alto”. Ovvero il Burj Khalifa di Dubai, 829 metri ed un record assoluto, quello di struttura più alta mai edificata dall’uomo. La più perfetta ed innegabile dimostrazione della feconda prosperità di un luogo e la sua casta, puntata come un dito titanico e trionfale all’indirizzo del distante cielo stellato. E voi direte, chi sono costoro, che stanno per calarsi giù sfruttando solo lo strumento di una fune…
La metafora della torre d’avorio è stata più volte utilizzata, in prosa ed in poesia, per riferirsi al concetto di un luogo immaginifico, che si erge al di sopra del caotico contesto umano. Seggio di un’elite culturale straordinariamente sopraffina, che dall’alto scruta l’orizzonte e medita, sollevando questioni filosofiche profonde. Ma la realtà è che un grattacielo è fatto principalmente di ferro, cemento (gli elefanti ringraziano) e poi quell’altro materiale trasparente, il solito, liscio e luminoso vetro. Il quale, benché collocato a molti metri dal livello della strada, gradualmente non può fare a meno di acquisire l’indesiderata opacità, trovandosi a chiamare con clamore l’unica parola: MA-NU-TEN-ZIO-NE. Perché l’uomo, che discende totalmente dalle scimmie, nonostante le astrazioni che derivano dal desiderio, è fondamentalmente una creatura sporca, che trascina dietro a se ogni sorta d’indesiderabile antiestetica nequizia. Così le più splendide ed irraggiungibili finestre, un tempo lucide come l’argento, si ritrovano costantemente sotto assedio dalle due fondamentali direzioni di un palazzo: sotto e sopra. Dalla prima per l’effetto dello smog, che essendo più leggero del vento sale, solamente per formare uno strato solido e nerastro ricoprendo quello che ci è caro. E dalla seconda direzione in quanto, nonostante i più miti consigli, molto spesso una finestra si può aprire. E quando ciò succede al 15°, 20° piano, qualsiasi oggetto gli inquilini si trovassero a lanciare tra cicche, cicchetti, gomme o caramelle, è garantito che si trovi ad impattare contro un qualche punto dei piani inferiori. E non importa quanto si è abili col proverbiale squeegee (il tipico tergicristalli a mano) c’è un limite al risultato ottenibile da una persona come noialtri, che sporgendosi soltanto in parte si premura di raggiungere i recessi del pannello oltre cui regna il vuoto. Così per fare un’ottimo lavoro, agli abitanti o utenti di quei luoghi rimaneva unicamente la risorsa di un mestiere come quello praticato dal coraggioso Dallas Campbell, che salendo all’improvviso dalle stesse fondamenta cittadine tentava il gesto di emergere, fluttuando sopra il mondo e fino in cielo. Con un secchio al sèguito ed un cuore in ghiaccio impenetrabile, tale da fare invidia alle regine trasformiste dell’inverno disneyano in CG.
Ed è straordinariamente interessante, ed al tempo stesso molto sorprendente, questo fatto che le strutture più iper-tecnologiche del mondo non possano essere rese automatiche in questa mansione imprescindibile, che dovrà essere portata a termine ripetutamente per l’intera durata della loro vita di utilizzo. L’industria del lavaggio dei vetri dei grattacieli nasce verso la fine del XIX secolo, nel primo ed allora unico luogo che ne avesse la necessità: l’isola di Manhattan, New York. Fu all’inizio un mestiere per pochi coraggiosi, principalmente figli di immigrati polacchi, italiani, irlandesi ed ucraini. Eppure si trattava, a quanto narra un famoso articolo del New Yorker, di una mansione particolarmente ambìta, perché piuttosto ben pagata, e soprattutto dotata di un orario che definire flessibile sarebbe stato riduttivo. La vecchia convenzione in materia, infatti, prevedeva che chiunque fosse tanto coraggioso da sfidare le vette urbane con eccezionale sprezzo del pericolo, attaccasse la propria giornata lavorativa all’alba, onde ridurre il disturbo agli occupanti degli uffici all’altro lato dei cristalli. E che verso il primo pomeriggio, completata la missione della sufficienza, potesse timbrare il cartellino e andarsene tranquillo e quieto per la propria strada. E ciò, nonostante gli avessero pagato l’intera giornata. Tanto, avrebbe continuato la mattina dopo. E lo sporco, ad ogni modo, non finiva mai…

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Nuovi modi per scendere dai grattacieli di Dubai

Dubai Dream Jump

Senti il vento che ti soffia nei capelli, mentre lo sguardo vaga rapido sul panorama. Non sei mai stato tanto attento in vita tua. Sopra la Princess Tower, sopra la tower, mamma mia. E quell’arbusto geometrico che si protende verso il mare! Vederlo con i propri occhi, da un’altezza di circa 400 metri, fa una certa impressione. Perché non c’è proprio nulla di naturalistico, nell’arcipelago ingegnerizzato di Palm Jumeirah, il primo e più piccolo dei tre progetti di recupero dal mare che dal 2001 hanno iniziato ad ergersi orizzontalmente (in fondo, sono alberi) all’interno del Golfo Persico, stagliandosi con il loro color sabbia sullo sfondo dell’Oceano Indiano. Un’ipotesi di crescita ed investimento così profondamente…Caratteristica della città di Dubai…Dove tutto sembra qualche volta possibile, persino l’irragionevole. E salire sulla cima di un palazzo, qualche volta, non comporta il riutilizzo successivo degli stessi metodi col fine di tornare giù. Bensì un approccio radicalmente differente, che presuppone una mancanza di vertigini e l’appartenenza a una specifica cultura, quella, naturalmente giovane, dell’arte verticale del BASE Jumping. O almeno, questo è il messaggio che ti sembra di aver metabolizzato, al termine del corso accelerato, condotto con gli istruttori della Skydive Dubai, una delle poche scuole al mondo che si specializzano nel divulgare questa strana disciplina. Un rombo distante, alzi gli occhi per notare il transito di un piccolo jet, l’aereo, assai probabilmente, di qualche magnate del petrolio in viaggio verso le città di Doha o di Muscat. Chi ricorda, giunti tanto in alto, i quattro punti cardinali? E perpendicolarmente sotto quella macchia di colore nell’azzurro cielo, in posizione protetta dalle onde per l’effetto della “chioma” della palma, campeggiano due cose totalmente differenti: 1 – La marina, un porticciolo, ad uso rigorosamente d’intrattenimento (ma ciò non vale in questi luoghi, forse, per ogni singola cosa?) In cui yacht e motoscafi attendono pazientemente che ritorni il loro proprietario, per l’attimo esaltante, di nuovo ripetuto, di provare l’entusiasmo mediano di un balzo in mezzo ai flutti scintillanti. (Oh, quanto vorresti, in un certo senso, essere laggiù…) 2 – Un piccolo aeroporto, con accanto il capannone che conosci fin troppo bene: qualche aula, una potente capsula del vento o due, dove fluttuare virtualmente come se la gravità ti avesse in pugno per qualche estatico minuto. Nient’altro che la sede, in effetti, del tuo istituto di educazione post-laurea delle ultime settimane, dove hai appreso tutto quello che serviva per trovarti qui, adesso, e partecipare all’esperienza irripetibile del cosiddetto Dream Jump.
“È molto semplice, studente. Ci serve sangue fresco.” Pare ancora di sentire la sua voce: “Lo vedi quello? Si, il palazzo alto con la cupola sulla sua cima. In questo momento ti trovi all’ombra del secondo edificio più alto degli Emirati Arabi, misurante la metà esatta della torre Burj Khalifa. Ecco, non farti strane idee. Quella lì, purtroppo, è off-limits. Ma in prossimità della cima della sua sorella minore, che è pur sempre l’edificio residenziale più alto al mondo, di qui a qualche mese sarà collocata una passerella. E dalla passerella correrà un filo. Sarà teso come una corda di violino ed ancorato…” A quel punto, l’istruttore si alzò con un fluido movimento, spostandosi fino alla finestra più vicina. Quindi puntò il dito verso un punto, apparentemente arbitrario, del verde praticello antistante: “…Proprio lì. Allora, che te ne pare?” E se mai c’è stata un’occasione irripetibile di questa vita, allora eccola qui. Perché se è vero che gli sport estremi, a Dubai, sono di casa, in una sorta di ricerca delle relazioni pubbliche che ha scelto di fondarsi sul compiere dei gesti veri, correre pericoli, ma in modo affascinante…Non sono in certo in molti, i newcomers che ricevono l’invito a un’esperienza come questa, destinata a stabilire un certo numero di nuovi record del mondo. Così, mentre tu portavi a termine la serie di lanci prevista dal tuo corso, pagato rigorosamente in anticipo e per una somma, tutto sommato, non maggiore di quella di un paio di track days presso l’autodromo di Vallelunga, dalla cima di questa location prestigiosa era iniziata una vera e propria pioggia d’uomini, per nient’altro che le molte prove di un lancio collettivo che doveva esserci, ci sarebbe stato. Ed in effetti si è verificato, ormai da qualche tempo (era lo scorso aprile del 2015). Ma ecco che il tempo si esaurisce….Basta divagazioni. Ritorniamo a TE, saltatore dell’ultimo giorno, l’invitato speciale ucronico dell’intero show!

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