Lavavetri volante: l’unico mestiere che ricerca la precarietà

Burj Window Cleaner

È un video di quelli che ti lasciano senza parole per l’incredibile portata di quanto è portato a svolgersi nella cornice dello schermo: con l’attore e conduttore inglese Dallas Campbell che a novembre del 2012, per girare una puntata della serie di documentari della BBC Supersized Earth (la Terra sovradimensionata) si univa ad una squadra veramente fuori dal comune di operai. Siamo, come avrete facilmente modo di notare, verso la metà di un palazzo che potremmo definire “abbastanza alto”. Ovvero il Burj Khalifa di Dubai, 829 metri ed un record assoluto, quello di struttura più alta mai edificata dall’uomo. La più perfetta ed innegabile dimostrazione della feconda prosperità di un luogo e la sua casta, puntata come un dito titanico e trionfale all’indirizzo del distante cielo stellato. E voi direte, chi sono costoro, che stanno per calarsi giù sfruttando solo lo strumento di una fune…
La metafora della torre d’avorio è stata più volte utilizzata, in prosa ed in poesia, per riferirsi al concetto di un luogo immaginifico, che si erge al di sopra del caotico contesto umano. Seggio di un’elite culturale straordinariamente sopraffina, che dall’alto scruta l’orizzonte e medita, sollevando questioni filosofiche profonde. Ma la realtà è che un grattacielo è fatto principalmente di ferro, cemento (gli elefanti ringraziano) e poi quell’altro materiale trasparente, il solito, liscio e luminoso vetro. Il quale, benché collocato a molti metri dal livello della strada, gradualmente non può fare a meno di acquisire l’indesiderata opacità, trovandosi a chiamare con clamore l’unica parola: MA-NU-TEN-ZIO-NE. Perché l’uomo, che discende totalmente dalle scimmie, nonostante le astrazioni che derivano dal desiderio, è fondamentalmente una creatura sporca, che trascina dietro a se ogni sorta d’indesiderabile antiestetica nequizia. Così le più splendide ed irraggiungibili finestre, un tempo lucide come l’argento, si ritrovano costantemente sotto assedio dalle due fondamentali direzioni di un palazzo: sotto e sopra. Dalla prima per l’effetto dello smog, che essendo più leggero del vento sale, solamente per formare uno strato solido e nerastro ricoprendo quello che ci è caro. E dalla seconda direzione in quanto, nonostante i più miti consigli, molto spesso una finestra si può aprire. E quando ciò succede al 15°, 20° piano, qualsiasi oggetto gli inquilini si trovassero a lanciare tra cicche, cicchetti, gomme o caramelle, è garantito che si trovi ad impattare contro un qualche punto dei piani inferiori. E non importa quanto si è abili col proverbiale squeegee (il tipico tergicristalli a mano) c’è un limite al risultato ottenibile da una persona come noialtri, che sporgendosi soltanto in parte si premura di raggiungere i recessi del pannello oltre cui regna il vuoto. Così per fare un’ottimo lavoro, agli abitanti o utenti di quei luoghi rimaneva unicamente la risorsa di un mestiere come quello praticato dal coraggioso Dallas Campbell, che salendo all’improvviso dalle stesse fondamenta cittadine tentava il gesto di emergere, fluttuando sopra il mondo e fino in cielo. Con un secchio al sèguito ed un cuore in ghiaccio impenetrabile, tale da fare invidia alle regine trasformiste dell’inverno disneyano in CG.
Ed è straordinariamente interessante, ed al tempo stesso molto sorprendente, questo fatto che le strutture più iper-tecnologiche del mondo non possano essere rese automatiche in questa mansione imprescindibile, che dovrà essere portata a termine ripetutamente per l’intera durata della loro vita di utilizzo. L’industria del lavaggio dei vetri dei grattacieli nasce verso la fine del XIX secolo, nel primo ed allora unico luogo che ne avesse la necessità: l’isola di Manhattan, New York. Fu all’inizio un mestiere per pochi coraggiosi, principalmente figli di immigrati polacchi, italiani, irlandesi ed ucraini. Eppure si trattava, a quanto narra un famoso articolo del New Yorker, di una mansione particolarmente ambìta, perché piuttosto ben pagata, e soprattutto dotata di un orario che definire flessibile sarebbe stato riduttivo. La vecchia convenzione in materia, infatti, prevedeva che chiunque fosse tanto coraggioso da sfidare le vette urbane con eccezionale sprezzo del pericolo, attaccasse la propria giornata lavorativa all’alba, onde ridurre il disturbo agli occupanti degli uffici all’altro lato dei cristalli. E che verso il primo pomeriggio, completata la missione della sufficienza, potesse timbrare il cartellino e andarsene tranquillo e quieto per la propria strada. E ciò, nonostante gli avessero pagato l’intera giornata. Tanto, avrebbe continuato la mattina dopo. E lo sporco, ad ogni modo, non finiva mai…

Empire Windows Cleaner
Un vecchio video proveniente dal monumentale archivio della British Paté mostra le operazioni di pulizia dell’Empire State Building nella maniera in cui si svolgevano a metà degli anni ’30. La metodologia appare straordinariamente simile a quella ancora in uso presso il Burj di Dubai.

Ciò detto, la loro vita non era certamente tutta e rosa e fiori. Mentre l’immagine, resa popolare in tutto il mondo dai film di Hollywood, dell’iconica piattaforma motorizzata, fatta calare con carrucola all’altezza delle zone presso cui operare con il proprio fido squeegee, non faceva ancora parte di questo mondo, è la convenzione voleva che i lavavetri scavalcassero il davanzale in prossimità di ogni apertura che necessitasse del loro intervento. Soltanto per appendersi, quindi, tramite l’impiego di una doppia fascia, a degli appositi bulloni che venivano disposti ai lati di ogni finestra. Si riteneva, infatti, che il metodo fosse relativamente sicuro, in quanto al cedimento di uno dei due cordoni ombelicali necessari alla sopravvivenza, permaneva quanto meno l’altro, che avrebbe permesso al lavorante di riguadagnarsi faticosamente l’interno dell’edificio e i propri propositi di sopravvivenza. Ma naturalmente gli incidenti fatali capitavano: si stima che per ciascuno degli anni immediatamente successivi al 1932, nella sola città di New York perisse in media un lavavetri ogni 200 ed in un’intervista fatta da Popular Mechanics nel 1934 a Richart Hart, esperto praticante del mestiere, questi paragonava la pericolosità della sua attuale mansione a quella che aveva svolto in precedenza, di scavare carbone nelle miniere della Pennsylvania, con piena coscienza del continuo rischio di un crollo fatale. A tal punto era estremo un simile mestiere, come del resto risulta essere tutt’ora, nonostante i numerosi passi che sono stati compiuti per accrescerne la sicurezza funzionale.

Charlie Window Cleaner
Charlie, il cordiale lavavetri del Chanin Building, è “L’ultimo utilizzatore del vecchio sistema con la doppia cinghia newyorkese.” In questo video realizzato da Giselle Benatar, inquilina del palazzo, questo individuo coraggioso mostra alcuni piccoli segreti del suo complesso mestiere.

Naturalmente, all’epoca le cose venivano fatte in un modo che potremmo definire tranquillo ed informale. Negli Stati Uniti, terra delle Libere Opportunità, lo stato non si sarebbe mai sognato di istituire un sistema di regolamenti valido per tutti gli addetti alla pulitura dei palazzi più famosi della nazione, né tanto meno di assumerli e metterli nel proprio libro paga. Così essenzialmente, vigeva la regola del “chiunque avesse il coraggio di farlo”. I primi tentativi di istituire una regolamentazione furono principalmente autogestiti e portati avanti nell’immediato dopoguerra con l’istituzione di un’associazione specifica all’interno del vasto SEIU 32BJ (Service Employees International Union) sindacato con base a New York ma operativo in otto stati federali. Oggi, stando alle voci reperibili online, sembra che il mestiere di lavavetri sia visto come un campo primariamente ereditario, dove difficilmente si può far carriera senza le giuste connessioni familiari. Mentre il primo corso di addestramento per la costituzione di un nucleo del personale che potesse dirsi realmente esperto e preparato risale soltanto al 1993, come risposta a una serie di incidenti fatali, talvolta plurimi, che purtroppo non è mai cessata davvero del tutto. Un operaio altamente qualificato, ad ogni modo, può aspirare a uno stipendio non del tutto trascurabile: fino a 35, persino 40 dollari l’ora.
Così nel corso degli anni, parallelamente, si è tentato a più riprese di eliminare la necessità di correre un simile pericolo e spesa, automatizzando o semplificando per quanto possibile l’opera di pulizia. Storico fu il tentativo del 1973, previsto dai piani originali del primo World Trade Center, per l’inclusione di un vero e proprio robot semovente su binari, capace di pulire oltre 1.000 finestre con appena quattro litri d’acqua. Il meccanismo, tuttavia, era propenso ad interruzioni frequenti del servizio dovute a guasti di vario tipo, mentre purtroppo non riusciva a pulire sufficientemente bene negli angoli. Inoltre, problema non da poco, era davvero efficace soltanto con una facciata dalla forma perfettamente squadrata come erano le Torri Gemelle, sostanzialmente dei grandi parallelepipedi, diventando inutile nel caso delle moderne creazioni architettoniche, generalmente ornate da un tripudio di sfaccettature e forme. Precedentemente ritenute irrealizzabili, fino all’introduzione dei più resistenti, nonché leggeri, materiali dell’epoca contemporanea. E tutt’ora in grado di gettare nello sconforto più di un lavavetri inesperto.

Hearst Tower Rescue
Una grande realtà del mondo è che gli imprevisti sono parte del tessuto stesso delle nostre giornate. Ma è quando ci si trova a 46 piani dal suolo, che tendono ad assumere una portata maggiormente significativa…

Vedi ad esempio il caso della Hearst Tower, il palazzo di uffici sulla 57° strada progettato dalla Foster and Partners, la cui forma è il susseguirsi di una serie di prismi trasparenti concavi e convessi, definiti in gergo architettonico “bocche di uccello”, la cui complicata metodologia di pulitura veniva descritta in apertura nel già citato articolo del New Yorker, grazie all’assistenza quasi virgiliana dell’operatore Bob Menzer, che accompagnò il giornalista Adam Higginbotham in un’esperienza simile a quella fatta dal conduttore inglese nel nostro video di apertura. Portata tuttavia a termine grazie all’impiego di uno strumento straordinariamente tecnologico, la speciale piattaforma realizzata nel 2002 per permettere la pulizia di questo palazzo ad opera dell’azienda canadese Tractel-Swingstage, montata su di un braccio articolato telescopico e in grado di ruotare formando una L, per meglio raggiungere ogni recesso delle insolite finestre. Un sistema così straordinariamente avanzato, che a giugno dello stesso anno in cui fu pubblicato l’articolo (risalente al febbraio 2013) finì orribilmente per subire un guasto al motore, intrappolando per circa 90 minuti i due lavavetri che lo stavano utilizzando in quel particolare momento ad un’altezza dal suolo di 152 metri. Fortuna volle, in quel caso, che l’esperto personale di soccorso newyorkese riuscì a praticare dei fori nelle finestre del 44° piano, usandoli quindi per raggiungere i malcapitati e trarli prontamente in salvo. Grazie all’impiego esclusivo delle solite, vecchie, noiose (ed affidabili) corde.
Non c’è forse una lezione di qualche tipo, in tutto ciò? Relativa al fatto che le cose semplici, talvolta, permettano di giungere a una migliore risoluzione del problema. Anche quando la questione in se, da qualsiasi aspetto venga analizzata, resta una delle più complesse della nostra imprescindibile necessità di pulizia. Perché più i palazzi salgono, tanto maggiormente qualcuno dovrà o poi discenderli col secchio d’acqua alla cintura. Ed in mano, agile e preciso come una katana, lo stesso nobile squeegee che fu del proprio padre, e di suo padre, prima d’allora.

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