Alle percussioni Mr. Knocky, robottino giapponese

Mr Knocky

Profonda saggezza e un immateriale grammo di follia. Quando il mondo era ancora giovane, secondo credenze assai diffuse, gli uomini vivevano più a lungo. Finché a un certo punto, stanchi della società civile, sceglievano l’esilio di un rifugio montano, un tempio oppure una caverna. Proprio per questo, studiando approfonditamente i rotoli dipinti dagli esteti delle antiche dinastie, filosofi e sapienti, si nota la preponderanza di tali e tanti eremi remoti, così come nella letteratura storiografica, o negli scritti dei poeti, si colgono, tutt’ora, i frutti culturali di quell’epoca perduta. Ma non c’è un alito di vento. Mancano la musica ed il suono. Perché vivere da soli, meditando, porta gradualmente a un disallineamento, la liberazione dal concetto di normalità. E gli immortali del Taoismo, così come alcuni santi bodhisattva dello Zen, partecipavano di una bizzarra sinfonia. Priva di senso, alle orecchie di noi altri.
Oggi li chiameremmo, senza un attimo di esitazione, musicisti sregolati. Figure in grado di portare innanzi lo spirito sublime dell’umanità, ma che piuttosto scelgono, dall’alto della loro scienza, di trasmutare la materia. Perfettamente coordinati, a loro modo, con l’armonia dell’universo. Inconcepibile! Così era il flauto di Han Xiang Zi, l’Uomo Felice nato all’epoca dei Tang, che grazie alle sue note richiamava gli animali e accelerava la crescita dei fiori. Finché non scese il buio del progresso, persino di lui, leggenda dei suoi tempi. Dove sono gli spettri del mondo? Dov’è finita la stregoneria? Compaiono soltanto, soprattutto per chi ha voglia di cercarli, nel mondo spiritoso e del divertimento. La musica continua senza pause o cambiamenti. Siamo noi soltanto, rovinati dal bisogno di un immagine più netta, che adesso la vediamo come un’evasione dalle cose utili o degne di un significato.
Si, altrettanto strani, benché meno magici, sono i giocattoli sonori del creativo giapponese Novmichi Tosa, fondatore, assieme al fratello Masamichi, del collettivo artistico Maywa Denki. Una venture non priva di chiare connotazioni commerciali. Perché questo rientra, ormai da tempo, nei crismi insormontabili di chi vuole portare a compimento qualche cosa. Al posto di tanuki e volpi mutaforma, oggi abbiamo la tecnologia. Che per dare luogo all’armonia delle origini, non può limitarsi a ricevere istruzioni. Altrimenti, inevitabilmente, diventerà un computer, semplice strumento cogitativo, grigio e povero di implicazioni animalesche. Antropomorfismo: nell’arcipelago più vasto dell’Estremo Oriente, qualunque cosa deve prendere una forma accattivante. Ci sono mascotte per le diverse prefetture (regioni del paese), per le emergenze civili (incendi, terremoti…) Per le aziende, i canali televisivi, le software house. E perfino i sintetizzatori, talvolta, si trasformano in simpatiche mascotte!

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Gli stregoni del projection mapping giapponese

PICS Onna Nobunaga

Nel 58° anno di regno dell’Imperatore Suinin, tradizionalmente corrispondente al 29 d.C, un cane sbranò uno dei tassi della specie detta muinin, presso il villaggio di Kuwada, nell’ancestrale Tamba. Siamo, qualora dovesse interessarvi, pressapoco nell’odierna prefettura di Hyōgo, presso la sezione sud-occidentale del Kansai. Tale bestia selvatica, ovviamente, era una creatura magica in grado di mutare forma a piacimento – non che questo artificio sia servito a qualche cosa, in un tale caso dell’improvvido destino. Né ci è nota, del resto, la razza del carnefice canino: sarà stato forse un kaitoraken, cacciatore indipendente dalle strisce simili a una tigre. O magari il fido akita, difensore antico delle case contadine. Piuttosto che il minuto ma agguerrito shiba, dal rossiccio ghigno, carico di sottintesi… Poco importa. Trascorso un pomeriggio di angoscioso senso del rimpianto, il proprietario dell’animale, un tale di nome Mikaso, si decise infine a macellare la pelosa vittima delle pesanti circostanze. Ritrovando, con sua estrema sorpresa, un corposo calcolo di giada nello stomaco della creatura. Tale oggetto era grande all’incirca, per usare un anacronistico termine di paragone (benché assai diffuso, vista l’estrema adeguatezza) quanto… Una palla da baseball. E aveva la forma esatta di una virgola, con un foro nella parte larga del suo ghirigoro. Tale miracolo della natura, parimenti a un frutto generato dalla sommità di un albero divino, venne presto dato in dono al saggio governante Suinin, discendente della relativa Dea. Che portatolo su un monte, vi eresse attorno un santuario, il tempio shinto di Isonokami. Dove si dice che sia ancora custodita tale sacro tesoro, il venerando magatama.
Tra i tre emblemi della nazione giapponese, che includono la spada biforcuta della forza e lo specchio bronzeo della saggezza, nessuno è misterioso quanto quello strano manufatto, continuamente riprodotto, in mille forme e dimensioni, nei tumuli preistorici Kofun. Tombe di nobili, guerrieri e generali, la cui storia è andata persa tra le sabbie di un’arena troppo antica, priva di testimonianze scritte o durature. A parte le leggende come questa… Ma presente, in recondita potenza, tra le regioni occulte dell’immaginifica realtà. Ricostruite, ai nostri giorni, grazie all’uso del moderno proiettore?  Basti soppesare questo fatto: nella gemma c’era un buco. Dietro ad essa, fin dalle origini del mondo, la figura della suprema signora del Sole, Amaterasu, fonte di ogni lucido barlume di sapienza. A metterci davanti un libro, lei sarebbe presto diventata una candela, utile ad espandere la mente anche di notte. Ma collegaci un computer, per vedere cose che…
P.I.C.S.Co è l’azienda mediatica di Tokyo, qui egregiamente rappresentata dal creativo e direttore tecnico Nobumichi Asai, che si specializza in una recente e straordinaria forma d’arte, molto usata in campo pubblicitario: il projection mapping, che consiste nella mappatura di una superficie tridimensionale, sia questa un palcoscenico, un palazzo, un antico monumento (persino il volto umano) e proiettarvi sopra delle immagini create grazie agli strumenti digitali. Qualcuno ricorderà l’impiego che ne aveva fatto l’onnipresente multinazionale Sony in quel di Roma, appena l’anno scorso, per lanciare la PS4 usando le utilissime mura di Castel Sant’Angelo. Le alternative sono innumerevoli: persino un paravento, così facendo, può trasformarsi anch’esso in un castello. Un kimono nella veste fiammeggiante di un signore degli Inferi, finalmente rivelati al mondo della superficie. O persino di una signora, perché no, avvolta da un turbine di petali e di sangue rosa-fuchsia. Vedi la risoluta protagonista di questo memorabile segmento, realizzato per la promozione del recente serial televisivo Onna Nobunaga, in cui il massimo conquistatore giapponese, che aveva nome Oda e visse nel XVI secolo, veniva trasformato nella sua ipotetica sorella, qui l’unica figlia dell’anziano patriarca Nobuhide. Un interessante gioco sulle implicazioni della storia pre-moderna, questo, che trovava modo di concretizzarsi nell’onnipresente “regola 63” del web: “Per ogni personaggio di sesso maschile, qualcuno avrà probabilmente ipotizzato una versione al femminile.” A meno che costei non fosse, in realtà, solamente un tasso mutaforma della specie muinin. Chi lo sa.

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L’esploratore degli iperspazi cittadini

Rob Whitworth

Avete mai sperimentato l’emozione trascinante del flow-motion? Case, palazzi, monumenti e chiese. Li vedrete che scorrono nel vento, persi tra i colori di un vertiginoso vortice visuale. Sarete il vento, oppure il falco. Che con l’occhio attento scorgerà i pur minimi dettagli, senza avere mai bisogno di fermarsi. Ma piuttosto che ghermire piccoli mammiferi, i vostri artigli capteranno le meraviglie di una splendida città: Barcellona, capoluogo della Catalogna, gemma della Spagna e dell’Europa. Il video, intitolato “Barcelona GO!” è stato realizzato su commissione dell’ente del turismo catalano, assieme ad altri quattro di diversi artisti internazionali. Sono tutti disponibili a questo indirizzo. È una sequenza, questa, che si realizza nel miracolo della tecnologia. Una miriade di approcci differenti, nonché apparecchiature, unite assieme come fossero i soldati di un’armata scesa in campo. Per combattere la rigida struttura dei momenti. Si comincia e si prosegue con Gaudì, ovviamente. I due edifici variopinti sull’ingresso del Parco Güell, l’incredibile città-giardino creata sul modello inglese, presso una collina a nord della città, che si spalancano, grazie all’effetto della prospettiva, verso i palazzi e le strade dell’agglomerato urbano. Qui, seguendo una ragazza che cammina a ritmo accelerato, giungiamo presse le imponenti porte della Sagrada Família, la celebre cattedrale in cui s’incontrano il neo-gotico ed il modernismo dell’architetto di Tarragona. Scende, dunque, la notte. La città cambia colore, in un dedalo di suoni e il vocìo soffuso della gente, che improvvisamente si trasforma in roboanti note: perché siamo giunti, senza soluzione di continuità, dentro al Gran Teater del Liceu, qui rappresentato tramite un generoso apporto di computer graphic. Quasi come se quel regno della messinscena, la finzione nobile della cultura, dovesse presagire all’utilizzo della virtualizzazione tridimensionale.
Il termine in lingua inglese d’apertura, l’unione del concetto di “flusso” all’ormai noto “movimento dell’inquadratura” normalmente rallentato (slow-motion) è in effetti un neologismo. L’ha inventato Rob Whitworth, l’inglese autore della memorabile sequenza, per descriverne il particolare meccanismo di funzionamento. Non è questa l’attività passiva del fotografo paesaggista, posizionato in cima ad un palazzo, che dal suo trespolo cattura le passioni della gente. Né, semplicemente, il gesto dell’esploratore avventuroso, che vaga per le strade, telecamera alla mano. Questi due principi, lui li include entrambi, mescolandoli alla perfezione e con un forte apporto d’originalità. L’hanno infatti descritto, presso la stazione radio americana National Public Radio, tramite questa affascinante dicitura: “Ciò che Cézanne fece per le mele, Whitworth lo fa con il traffico urbano.” (cit. Robert Krulwich) E c’è in effetti un che di pittorico, nella sua opera, benché l’intento del paragone fosse, assai probabilmente, evidenziare la scelta del soggetto: un àmbito importante, eppure spesso trascurato. Come il frutto di Isaac Newton. Per una questione di accessibilità stavolta, piuttosto che d’intenzione, visto quanto sia complesso riassumere un vasto centro abitato in due minuti o poco più. Forse, nessuno c’era mai riuscito prima. Che ne dite, del suo tentativo? Ai posteri l’ardua sequenza. (Noi, intanto, guardiamoci anche gli altri video).

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Un origami dalla proboscide lunga 3 metri

White elephant

Tra le iniziative più interessanti finanziate mediante un portale di raccolta fondi online, oltre alle diavolerie tecnologiche, ai film indipendenti e ai videogiochi, spiccherà sempre questo candido pachiderma. Immobile, da qui all’eternità. Nasce in una grande sala del Centro di cultura e congressi di Lucerna (KKL) in Svizzera, dalle precise piegature di un unico foglio di carta, con 15 metri di lato. Era un semplice quadrato privo di spessore, prima di incontrare Sipho Mabona, professionista degli origami. Colui che l’ha così ricreato. Alto e splendido, stolido attrattore di sguardi: una vera opera d’arte. Niente di simile c’era mai stato, a questo mondo. E forse mai più ci sarà. Se non per il tramite della metafora pregna ed equivalente: l’elefante bianco, per l’appunto. Non una specie a parte, bensì lo stesso animale, albino e vivente. Antonomasia per eccellenza di un dono scomodo, quanto inutile, oppure di un arduo progetto. Si narra di come il re del Siam, l’antica Thailandia, usasse inviare una di queste creature ai suoi cortigiani meno graditi, causando enormi problemi. Un animale simile mangia, costa ed occupa spazio. Per non parlare di… A meno che sia di carta (e anche in quel caso!) Eppure, come rifiutarsi? In tutto il mondo, ed ancor più nei paesi di religione induista, il grande quadrupede orecchiuto rappresenta la saggezza e la potenza, qualità primarie di un governante. Indra, dio del tuono e della guerra, ne cavalcava uno in battaglia, bianco come l’osso, con quattro zanne e sette proboscidi. Evviva la ridondanza! Tale bestia poteva volare. Non c’è da sorprendersi, dunque, che la sua migliore approssimazione su questa Terra venisse considerata sacra. Guai a chi, trovandone uno, non l’avesse presentato, con tutti gli onori del caso, al suo caro monarca. Per poi riceverlo indietro, magari, come regalo. Al primo elefante, venivi considerato un magnate. Al secondo, un munifico paragone. Al terzo, un eroe del regno. Purché le finanze ti venissero dietro, come nel caso del re, ovviamente. L’attuale monarca di Thailandia, Bhumibol Adulyadej, di questi animali ne possiede dieci. Per fortuna, i tempi moderni gli permettono di tenerli tutti per se, usando contro gli indesiderati strumenti meno insidiosi di allontanamento.
L’espressione metaforica del white elephant, tanto cara ai paesi anglosassoni, ben si ritrova in molte delle moderne campagne di Kickstarter e Indiegogo. Promesse di prodotti futuribili, soluzioni a problemi che non sapevamo di avere. Non sempre realizzabili, né realizzate. Cose utilissime, oppure, come nel presente caso, semplicemente diverse. Fuori dal comune. Questa, indubbiamente, è la ragione migliore per finanziare degli esimi sconosciuti sul web: credere, piuttosto che in loro, nelle universali ragioni del bello. Sapendo che la promessa di un creativo, come questo maestro della piegatura della carta, non è fatta da lui, verso di noi. Ma riflessiva e rivolta a se stesso: “Si, posso farlo e lo farò.” Sorga dal suolo, quindi, l’ennesima meraviglia…

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