Molto delicatamente, il suono dello shamisen riecheggia negli oscuri abissi artificiali dell’acquario di Sapporo. Mentre una forma candida sembra osservare il ritmo della danza dell’epoca dei samurai. Grande, piccolo, forte, debole. Fanno differenza soltanto all’interno di una mente impreparata. Perché in verità, per dominare qualcosa occorre DIVENTARE qualcosa, riuscendo a mantenere il proprio senso dell’orientamento e l’intenzione originaria. Ma questo non significa che un tonno in scatola sia in senso lato, il padrone della scatola. Così come un bruco che si mimetizza sulla foglia, non può dirsi parte inscindibile dell’albero. Eppure proprio lui, con le sue mandibole specializzate, in qualche modo riesce a migliorare la sua condizione. Egli diventa strisciando, acqua-fuoco-vento ma non terra, poiché da quest’ultima, tende ad elevarsi. Sapete cosa invece parte nella forma di una larva zooplanctonica fluttuante, quindi vede crescere ben otto zampe per mettersi a camminare, più una coppia di possenti chelipedi per far del mondo il suo snack? Proprio lui, Calappa il granchio a scatola oppur granchio-dalla-faccia-timida, poiché sembra quasi nasconderla con la principale coppia d’arti, piatta e larga, che termina con quella doppia forbice dalla potenza significativa. Poiché questo intero genus, nato con lo scopo di nutrirsi di molluschi ed altri esseri dal guscio resistente, ha imparato attraverso i lunghi secoli a diventare come loro, ovvero ragionevolmente impenetrabile, coperto da uno spesso strato protettivo. Armatura delle epoche, corazza delle ostili circostanze: l’animale che possiede non soltanto la capacità di negare gli assalti, ma persino deviarli a lato, minimizzando il contraccolpo. Poiché se lo guardi, nell’accezione di una delle 43 specie riconosciute diffuse attraverso i mari tropicali del mondo, egli si presenta come un tutt’uno straordinariamente compatto, dalla forma trapezoidale con gli occhi sulla cima, e le zampette deambulatorie che fuoriescono a scompaiono a seconda del bisogno. Tali predatori e potenziali vittime dell’altrui fame (benché molti pochi pesci si cimentino nell’arduo tentativo di riuscire a masticarli) possiedono una dimensione che va dai 40 mm ai 120-130 del C. japonica, il gigante dalle macchie utili a mimetizzarsi sul fondale. Questo perché, nelle ore dall’alba al tramonto, egli è solito seppellirsi nella sabbia del fondale, ritornando a cacciare solamente col favore delle tenebre, benché un’espressione più specifica possa risultare, nei fatti, “distruggere cose”. Se ci fosse qualcuno pronto ad ascoltare, infatti, questa creaturina piena d’operosa voracità produrrebbe per le sue orecchie un ritmo sincopato simile a quello di un cantiere, mentre con la tecnica ben collaudata, s’industria nel crepare e fare a pezzi gusci di lumaca in rapida sequenza, prima di succhiare la gustosa carne contenuta all’interno. Poiché notoriamente l’asimmetria paga, per chi si sposta lateralmente attraverso le distese sabbiose del vasto mare…
I granchi del genere Calappa come molti loro distanti parenti e in un certo senso ancor più di questi, possiedono infatti la furbizia evolutiva di due chele altrettanto specializzate nel compiere i due passi successivi del gesto che più di ogni altro li definisce: aprire, scardinare, fagocitare. Così la destra, più grande, ha la forma di una tenaglia con un dente specializzato nella posizione di un pollice, che agisce come la parte inferiore di un apriscatole in metallo. Mentre la sinistra, lunga e affusolata, riesce a penetrare nella crepa non appena l’opera e conclusa, tirando fuori con notevole sveltezza il pasto potenziale contenuto all’interno, per passarlo direttamente ai massillipedi facciali, per ulteriore manipolazione e sezionamento prima dell’inserimento attraverso la bocca dell’animale. Di granchi per lo più carnivori, dunque, si tratta. Il che rientra nello stereotipo secondo cui la propensione distruttiva al combattimento sia solita rendere ogni creatura maggiormente affascinante, poiché la forma che conduce alla funzione risulta essere, inerentemente, più bella.
Molte sono, in effetti, le forme ed i colori possibili di questo genere, dal candore maculato della specie giapponese al marrone lucido del Calappa Calappa, varietà diffusa in Australia, passando per il rosso intenso dai bitorzoli gialli del C. hepatica, attestato dall’Oceano Indiano fino alle acque ben protette del Mar Rosso, il giallo pallido del cosiddetto poki poki hawaiano (C. gallus) o ancora, il bianco a strisce arancioni del C. africana, presso le coste orientali di quel vasto continente. Molti colori benché il tratto fondamentale, della capacità di coprire l’addome vulnerabile interamente con gli scudi integrati nei chelipedi, formando l’ideale scatola, resti una costante, così come la forma operativa delle otto zampe deambulatorie, utili per spostarsi nuotando all’occorrenza o agire come vanghe, al fine di nascondersi sotto la sabbia successivamente al sorgere del sole. Un’altra caratteristica comune all’intero genus, non meno importante, risulta essere la capacità di produrre un suono caratteristico sfregando tra loro le chele, in un gesto da cui deriva il nome scientifico, probabilmente a partire dalla parola in lingua norrena klappa che significa letteralmente “battere le bani”. La cui funzione d’altra parte resta sconosciuta, così come nessuna delle specie citate o altre simili sia mai stata sottoposta a studi approfonditi sui propri processi riproduttivi, anche a causa della difficoltà di osservare queste creature schive all’interno dell’ambiente naturale di appartenenza. Mentre un aspetto pienamente noto al mondo accademico è il complesso sistema respiratorio di queste creature, che probabilmente a causa della forma particolare vede l’acqua ossigenata transitare all’interno di speciali dotti lacrimali oltre una serie di ciglia specializzate, prima di essere espulsa dalle cavità auricolari transitando attraverso il cosiddetto canale exostegale. La stessa classificazione di queste creature resta ad ogni modo incerta, con la visione più moderna tesa a suddividere la categoria superiore della famiglia Calappidae in tre generi distinti, Calappa, Matuta e Orithya, diversi per abitudini, morfologia e discendenza. E ciò benché la storia pregressa del loro percorso evolutivo risulti essere piuttosto chiara, data la conoscenza di quasi 20 specie fossili attestate tra i continenti asiatico, europeo ed americano.
Che la natura possa produrre cose magnifiche è da lungo tempo risaputo. Eppure siamo pronti tanto spesso a trascurare i suoi prodotti maggiormente strani, affascinanti, incomprensibili o provenienti da quel regno distante che gli anglofoni sono soliti definire left-field.
Un territorio parallelo in cui riuscire nell’impresa conta più che apparire, senza nessun tipo di ausilio tecnologico frutto dell’imprescindibile sapienza. Ecco, dunque, la beltà: di una creatura che non ha coscienza della sua presenza, ma soltanto mastica, distrugge e quando le ragioni lo consentono, si trasforma in una scatola in attesa. Dal contenuto quasi troppo bello per non essere un regalo. Riservato a chi ha la voglia, e il desiderio, di comprendere le doti straordinarie dell’evoluzione. Aggiungendo il suono di una musica distante, al soave movimento di una danza che attraversa la generazioni.