Il vantaggio pratico del bruco con la testa di due misure più grande

Non dovremmo mai dirci predisposti a sottovalutare le doti che derivano dal possesso di un grande cervello. In un’ideale rassegna delle possibili specie aliene che hanno visitato la Terra, è frequente l’attribuzione di particolari poteri psichici o prerogative sovrannaturali ai cosiddetti grigi, umanoidi esili, dai bulbosi occhi d’insetto e un cranio a dir poco enorme. Quali eccezionali pensieri, quante ardite metafore o concetti trasversali, potranno dunque aver fatto la propria comparsa, inseguendosi tra le sinapsi ultramondane di simili filosofi della Galassia ulteriore? Ancorché d’altronde, risulti essere tutt’altro che scontata l’effettiva corrispondenza tra il contenitore e ciò che occupa il suo spazio interno, come largamente noto agli estimatori di frutta tropicale, alle prese con l’occasionale drupa dall’aspetto lucido e splendente, nel cui interno si nasconde una polpa non così attraente o dalla consistenza inappropriata al delicato palato umano. Quando al suo interno non figura addirittura, placido e satollo, la strisciante forma di una larva che conosce chiaramente il proprio posto riservato nell’Universo. Come un elfo sulla mensola, come il Jolly fuori dalla scatola, un serpente ipnotizzato nella cesta, l’incomparabile silhouette del piccolo animale non più lungo di un paio di centimetri potrà quindi comparire in controluce. Dando l’immediata e non del tutto apprezzabile impressione che sul proprio corpo flessibile gravi il carico di uno sproporzionato parassita dalla forma globulare. Qualcosa che s’insinui nello spazio largamente cavo di quella parte di esoscheletro situata in corrispondenza del cranio. Per pensare validi e sofisticati anatemi, al posto di colui che non possiede nella sua panoplia genetica una tale predisposizione operativa… Ma facente in realtà parte del segmento dell’addome dell’artropode immaturo. E le apparenze spesso inganno e di certo questo è un bene. Soprattutto per il qui presente bruco della famiglia di falene Nolidi, originaria dell’India e della parte meridionale del resto dell’Asia, che su tale predisposizione al fraintendimento si è dimostrato capace di orchestrare la sua intera carriera. Di creatura che non possedendo nessun tipo di difese operative (peli urticanti, sapore sgradevole…) si è del resto fatta scudo di un’alternativo metodo d’autoconservazione: quello che permette, o per lo meno dovrebbe favorire, l’impresa di passare ragionevolmente inosservati. Chi l’avrebbe mai detto?
Perché di certo una creatura come questa non vuole in alcun modo assomigliare ad altri esseri del regno animale. Bensì qualcosa di ragionevolmente comune all’interno delle foreste da cui provengono, come un esemplare ancora lungi dall’essere maturo di prugna, jujube o mela di Ambri. Ovvero un cibo per gli uccelli che risulta facile da procacciarsi e al tempo stesso, inferiore a quello procurabile a partire da una pletora di circostanze topograficamente vicine. E chi vorrebbe accontentarsi, dunque, di una scelta di siffatta provenienza e/o natura…

Le falene della sotto-famiglia Chloephorinae si presentano come spesso ragionevolmente irsute e non molto distintive nell’aspetto. Benché l’ampia varietà di schemi mimetici possiedano, inerentemente, un certo fascino distintivo.

Il termine tecnico per riferirsi al tipo di mimetismo impiegato da questi bruchi nella forma dell’addome, dalla precisa attribuzione tassonomica sorprendentemente incerta, è quello di “criptico” perché non utile ad assomigliare ad alcuno dei suoi simili appartenenti allo stesso ramo dell’albero della vita. Benché possieda anche una piccola componente affine alla tecnica cosiddetta batesiana, finalizzata a suscitare l’impressione di essere meno commestibili o comunque apprezzabili di altre specie viventi. Una categoria in cui potremmo anche scegliere di far rientrare, sensu latu, le immature drupe menzionante nel paragrafo precedente. Non che lo strisciante essere famelico, comprovato scheletrizzatore di una pletora di piante che di certo non avevano commesso nessun crimine a suo carico, conosce solo l’esistenza di chi aspetta l’ora della metamorfosi portandosi dietro il peso di un cocomero al posto del melone. Il che pare d’altra parte, in forza dell’evidenza, avergli attribuito un pratico vantaggio nel succedersi delle generazioni evolutive pregresse. Volendo a questo punto approcciarsi alla questione niente affatto trascurabile dell’attribuzione ad una o più specie di falena adulta di questo particolare bruco, sarà necessario rinnovare l’incertezza precedentemente menzionata, tale da posizionarlo in linea di massima nella sotto-famiglia delle Chloephorinae, lepidotteri con le antenne non-clavate (essendo ciò una specifica prerogativa delle farfalle) ma non per questo necessariamente notturne, benché ne abbiano frequentemente tutto l’aspetto vista la colorazione spenta delle loro quattro ali. E qualche volta inclini al mimetismo almeno quanto lo erano in forma di larva, dato il possesso di una colorazione verde e venature simili a una foglia come tema principale della propria livrea. Il che ci lascia immaginare l’effettivo aspetto sin qui menzionato come proprio di multiple varietà d’insetto, tra cui almeno una identificata nella falena Carea Varipes, volatrice osservata nella regione indiana di Mandai, presso la Riserva Naturale del Bacino Centrale. Il cui stile di vita, conforme a quello di molte altre Nolidi, prevede la proliferazione sulle foglie della pesca di Giava (Syzygium cumini) che consuma con veemenza grazie all’uso delle sue forti mandibole. Tanto efficienti da permettergli, occasionalmente, anche la perforazione delle coriacee galle prodotte da varie tipologie di afidi o moscerini, di cui non sembrano disdegnare la proteica consumazione. Tutto serve, d’altra parte, per l’accumulo d’energie necessarie alla costruzione di un bozzolo dopo il trascorrere di un periodo sufficientemente lungo, da cui emergere per la trionfale cavalcata fino all’imprescindibile episodio riproduttivo. Affinché il ciclo di deposizione delle uova, e conseguente nascita di cingolati con la testa a forma di palloncino possa perpetrarsi per il comprovato beneficio delle prossime generazioni terrestri.

La colorazione di taluni bruchi nolidi ricorda anch’essa quella di una foglia, facendoli per questo modo assomigliare a piccoli involtini di foglie di cavolo, con succulenta carne all’interno. Il che non è poi così lontano, a ben pensarci, dalla realtà.

E chi può dire, in ultima e importante analisi, quale possa essere il reale beneficio per noi tutti che deriva dall’esistenza ininterrotta di un bruco come questo? Che ha perfezionato la sua immagine sferoidale, attraverso un numero d’incalcolabili metamorfosi prima della data corrente, fino ad ottenere la mimesi di un qualcosa che fuoriesce dallo schema normalmente incorporato nell’evidenza. Bruco, testa e bacca che insistentemente striscia. Ma non sembra, quanto meno, ABBASTANZA buona da discendere per prenderla nel becco che consente l’efficace nutrizione nel ripetersi dei giorni.

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