Cartoline geotermali dalla valle del muschio bernoccoluto

Effettivamente inserita da una pluralità di studi scientifici come regione dal più alto numero di paesaggi lunari, marziani o affini a vari altri corpi celesti del Sistema Solare, la regione al confine del subcontinente nota come Ladakh (dal tibetano La dwags – “Terra dei Passi Montani”) può presentare determinati scorci che, nelle appropriate circostanze, lasciano pensare ai luoghi tipici della fantascienza speculativa. Quanto dovrebbe essere lontano un mondo, d’altra parte, affinché la propria superficie possa presentarsi prevalentemente ricoperta di un terreno verdeggiante ricorsivo, con una pletora d’ondulazioni dal diametro medio di 30-40 cm inframezzate dall’occasionale formazione dendritica sputacchiante acqua a una temperatura prossima alla vaporizzazione? Il tutto sullo sfondo di quelle che sembrano brulle colline del colore della cioccolata (pur costituendo gli imponenti massicci del tetto del mondo) contrastanti come la scenografia di un dramma teatrale. Caratteristiche del paesaggio capaci di racchiudere, per l’appunto, la vastità disabitata dell’altopiano di Puga (dal tibetano Pug-ga – “Fine delle Montagne”) comunemente definito come una valle nonostante l’altitudine di 4.300 metri e la totale assenza di un significativo corso fluviale. E strade a parte una soltanto, finalizzata a collegare i distanti e poco popolosi insediamenti di Thukje e Sumdo. Volendo giudicare un tale ambiente sulla base della sua distanza da qualsiasi agglomerato densamente abitato, si potrebbe dunque giungere alla conclusione di essere dinnanzi ad uno degli ultimi luoghi effettivamente disabitati del pianeta Terra. Il che costituisce certamente un bene, vista l’occasionale presenza nonostante ciò di entusiastici produttori del tipico materiale odierno internettiano, inclusivo dell’obbligatorio “video con donna che cammina di spalle”, ulteriormente connotata in questo caso dalla complicata deambulazione, incespicando lievemente, tra le preminenti formazioni di un così singolare paesaggio. In un ragionevole disinteresse nel mantenimento della copertura immacolata di quel muschio, ma tant’è. D’altronde qui sembrano farlo tutti quanti, almeno a giudicare dalla quantità di video reperibili online, diversamente da quanto avviene ad esempio per le simili collinette thufur di taluni recessi d’Islanda. Terra agli antipodi, senz’altro, eppure caratterizzata in molti luoghi dallo stesso fondamentale tratto geologico di riconoscimento: un’attività vulcanica nascosta e sotterranea, ma potenzialmente utile allo sfruttamento energetico da parte dell’uomo, più volte valutato dall’amministrazione territoriale del Ladakh e fino ad oggi fortunatamente (?) in attesa delle giuste condizioni economiche e situazionali al fine di essere implementato presso questi impareggiabili lidi…

Un luogo da sogno anche per la sua relativa tranquillità e mancanza di abitanti permanenti. Fatta eccezione, come si evince dal presente video, per l’occasionale e problematico branco di cani ferali poco abituati all’uomo, proprio per questo inclini a proteggere il territorio.

Prima d’inoltrarci quindi nella complicata serie di vicende vissute in questi ultimi anni di un luogo oggetto di considerevoli contenziosi territoriali come il confinante Ladakh, sarà dunque opportuno procedere alla disanima della questione d’apertura, ovvero il singolare succedersi di preminenze muschiose inseribili nella categoria geologica degli hillock, un termine anglofono riferito al verificarsi di particolari contingenze paesaggistiche e meteorologiche, con attestazioni variabilmente imponenti in base alla regione presa in analisi di volta in volta. Essendo in parole povere, la diretta risultanza di una frana o valanga da luoghi sopraelevati dalla natura vulcanica, di sedimenti successivamente intrappolati in uno strato di permafrost o ghiaccio stagionale, capace di trasudare il giusto contenuto d’umidità. Con conseguente migrazione dei clasti verso la superficie, generalmente proni a riemergere con uno schema ordinato che diventa più piccolo verso la parte frontale dell’originale spostamento roccioso. Una situazione, quest’ultima, meno evidente nella valle di Puga, possibilmente per la compatta regolarità dei materiali originariamente coinvolti nella formazione dei suoi scorci paesaggistici più affascinanti, tra cui nutriti depositi di zolfo e borace. Ulteriormente abbelliti dalla presenza non infrequente di pozze d’acqua fangosa totalmente privi d’interconnessione idrografica reciproca, essendo ciascuno la diretta risultanza di un diverso geyser solitario dall’ebulliente sottosuolo della regione. Bacini tradizionalmente collegati a leggendarie qualità taumaturgiche, come spesso capita per simili recessi umidi di terre oggetto del pellegrinaggio per coloro che ripongono la propria fede nella medicina naturale. Accompagnata in ciascun caso, perché no, dall’opportunità di vedere o conoscere qualcosa d’inusitato, come la straordinaria varietà degli uccelli migratori che fanno tappa sull’altopiano, proprio per questo considerato un letterale santuario dagli appassionati di tale particolare ambito d’osservazione. Uno degli appigli di salvezza, caso vuole, per la resistenza nei confronti della direttiva che vorrebbe veder costruita in questo luogo una delle maggiori centrali elettriche geotermiche del paese. Un sito che potrebbe dimostrarsi capace di generare, in base a saggi effettuati nell’anno 2017 dal Dipartimento dell’Ingegneria Civile del Rajasthan, fino a 5.000 MWh d’energia, pari al 40% del fabbisogno dell’intera zona Jammu e del Kashmir!

Non capita frequentemente di poter osservare delle vere e proprie stalagmiti totalmente esposte alla luce perpendicolare dell’astro diurno, come a trovarsi nella versione a cielo aperto di una colossale caverna solare. Offrendo l’ulteriore, irrinunciabile occasione per procedere alla creazione dei selfie di rito.

Presentando effettivamente un dilemma di natura etica non troppo facile da superare, quando si considera il possibile risparmio derivante da una simile installazione pari a 2 milioni di euro l’anno, corrispondenti a tre milioni di litri di carburante diesel, normalmente consumato al fine di riscaldare le abitazioni nel clima rigido circostante il sito del principale altopiano del Ladakh. Un territorio in effetti unico nel panorama geologico mondiale, proprio per la sua capacità di confinare con linee di faglia, capaci di concentrare i fluidi sotterranei e spingerli fino ad una distanza di appena 65 metri dalla superficie litificata. Tanto che un primo tentativo di procedere alla trivellazione sperimentale, effettuato nel 2020 dalla compagnia di stato “Oil and Natural Gas Corporation” (ONGC) ha dovuto essere abbandonato a causa dell’eccessiva pressione e temperatura del getto d’acqua risultante, trovandosi a necessitare l’utilizzo di strumentazione maggiormente ingombrante. Dispositivi il cui trasporto, fino ad un luogo tanto remoto e sopraelevato, si è dimostrato sufficientemente complesso da giustificare una messa in pausa del progetto finale.
Benché si tratti di una contingenza chiaramente temporanea, così come l’attuale relativa rarità del turismo tra le alte colline della valle di Puga, a causa dell’aumento di abitabilità locale destinato a verificarsi nei prossimi anni. Che possiamo soltanto sperare venga accompagnato, nel caso del distintivo muschio tanto amato da Instagram, da un’appropriata quantità di cartelli di divieto. Non sempre la natura può riuscire a ricostruire, ciò che le scarpe umane calpestano con eccesivo trasporto…

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