Il giorno in cui guardammo la Thailandia dalla bocca di un rospo

Molti sono i sentimenti suscitati nel protrarsi di un reale viaggio avventuroso, la trasferta nei recessi di un paese e la cultura nazionale che deriva. O le sue versioni maggiormente specifiche, rispettivamente derivanti da rapporti irripetibili col mondo naturale, i suoi abitanti, le sue irripetibili circostanze. Nella provincia della Thailandia settentrionale di Yasothon, sulle sponde del placido fiume Thuan, una figura poderosa emerge ad invitare un prolungato sguardo, se non addirittura l’avvicinamento dei curiosi. In modo tale che l’attraente ingresso, situato tra le zampe posteriori della bestia, porti molti al singolare e memorabile attraversamento della soglia. Benvenuti, spero siate pronti a tutto. Siete stati appena divorati da un rospo. Cinque piani è la sua altezza indicativa, benché ce ne siano almeno un paio in meno all’interno, per un totale di 21 metri d’altezza e 19 di larghezza. Con una forma, colori e atteggiamento vagamente riconducibili al Duttaphrynus melanostictus o rospo comune asiatico, benché l’ascendenza mitologica della creatura abbia legami assai profondi con la religione ed il folklore di questo luogo. Proprio qui in mezzo alle genti un tempo della minoranza etnica degli Isan, prima che il grado d’integrazione raggiunto permettesse di annettere a pieno titolo questa provincia nel novero del reame. La versione moderna, caso vuole, di quella stessa realtà politica e d’aggregazione che fu dominata nella nebbia dei tempi da un re saggio, la cui unica sfortuna fu quella di mettere al mondo un erede talmente lontano dal concetto canonico di bellezza esteriore, basso e dalla pelle scura e ricoperta di bitorzoli, da portare la brava gente della sua epoca a chiamarlo il rospo. Il che l’avrebbe portato a rivolgersi in preghiera a Phraya Thaen, il dio della pioggia e della creazione, affinché alterasse il proprio aspetto fisico rendendolo un giovane attraente, oltre a concedergli un vasto palazzo ed una moglie dalla bellezza conturbante. Il che avrebbe portato una dura lezione in merito alle leggi dell’equilibrio cosmico dettate dal peso significativo del karma, quando le genti cominciarono a venerare il proprio sovrano terreno con il nome di Phraya Khan Khak, ovvero “il re rospo” recandogli costose e significative offerte. Mentre dimenticavano, con la classica deriva di simili racconti, l’importante abitudine di fare lo stesso a vantaggio del divino Phraya Thaen. Con la conseguenza che di lì a pochissimi giorni la pioggia avrebbe smesso di cadere sulla Terra, mentre tutto il raccolto deperiva e significativi incendi imperversavano da un lato all’altro del regno. Il che avrebbe costretto lo splendente governante responsabile di tutto questo d’indossare la sua armatura, ed alla testa di un singolare esercito prendere d’assalto le porte stesse del Paradiso…

Alcuni dei rospi più improbabili montati a parete sulle mura interne del museo dedicato a tali creature sembrano trofei di caccia sovradimensionati, benché l’attenzione e precisione dei dettagli risultino essere senz’altro degne d’encomio

Il grande museo a forma di rospo, finito di costruire nel 2016 con qualche contrattempo su entusiastico mandato dell’ex-governatore provinciale Wanchai Udomsin, altro non rappresenterebbe dunque che lo stesso Phraya Khan Khak nella sua forma militante, ritrasformato in creatura della palude per aver osato prendere di mira il suo stesso divino protettore. Una creazione costata, secondo le informazioni reperibili online, niente meno che 200 milioni di baht, grosso modo corrispondenti a 5,2 milioni di euro, dopo la tardiva realizzazione che trattandosi di una statua e non un mero edificio, avrebbe meritato in base ai crismi sindacali un pagamento maggiorato per i suoi costruttori. Un importante investimento turistico dunque, nell’ottica di ricercare un tipo di appeal capace di andare oltre la famosa festa stagionale dei razzi del Prapheni Bun Bang Fai, praticata verso l’inizio della primavera in buona parte del Vietnam e la Thailandia, benché la versione dello Yasothon abbia il problema di risultare a tal punto caratteristica, così notevole che tutto il turismo locale si concentra unicamente in quel particolare periodo dell’anno. Da cui l’idea di creare una mascotte locale capace di “rivaleggiare con il Merlion di Singapore” (l’iconico leone con il corpo di pesce) e farlo in una maniera stranamente tipica della parte meridionale dell’Asia. Ma non provate ad inquadrare l’edificio rospo ed i suoi immediati dintorni, impreziositi tra le altre cose da un parco con siepi topiarie e la visitabile statua limitrofa del Phaya Nak o Re dei Naga, di suo conto lunga 19 metri ed alta 21, come delle semplici attrazioni architettoniche da luna park. Visto l’ampio contenuto didascalico nel nostro palazzo di riferimento inclusivo di tavole a parete che descrivono ed illustrano l’antica leggenda di Phraya Khan Khak, prima di proseguire nel piccolo cinema con video esplicativo sulla festa del Bun Bang Fai. Ed ai piani superiori dove si trova il vero tesoro dei suoi reperti: letterali dozzine di rospi riprodotti e preservati con l’aiuto della scienza, scelti in quanto rappresentativi delle 22 specie principali della penisola thailandese ed altre varietà dei recessi più remoti del vasto mondo. Coadiuvati da ordinate esposizioni sotto vetro di attrezzi agricoli, oggetti votivi e parafernalia rituale della regione dello Yasothon. Verso il gran finale della terrazza panoramica, situata niente meno che in mezzo alle fauci dell’imponente anfibio, da cui volgere lo sguardo all’orizzonte per prendere atto dell’amena superficie pseudo-acquitrinosa del fiume Thuan. Ormai da tempo sottoposto a una lunga e dispendiosa operazione di bonifica che ancora tarda a dimostrare i suoi frutti, almeno a giudicare dalle impressioni riportati sui siti di recensioni turistiche e racconti di visite alla singolare, quanto irripetibile attrazione. Laddove altri aspetti del contesto situazionale appaiono effettivamente del tutto completi, incluso un vicino e a quanto pare ottimo ristorante, dove risulta possibile assaggiare le famose ricette a base di rana della parte settentrionale del paese. Un modo diverso ma senz’altro irrinunciabile di raggiungere uno stato di comunione col batrace. E celebrarne, in qualche modo, l’importanza singolare nella storia mitologica dell’umanità.

L’annuale festa dei razzi dell’Asia Meridionale (vedi precedente trattazione) è un importante momento del calendario locale, durante cui la provincia dello Yasothon tendeva già a riempirsi di turisti. Che ora potranno anche accedere più facilmente alla sua storia.

Costituendo nei fatti pratici molto più che una semplice fiaba, la vicenda di Phraya Khan Khak o re rospo viene talvolta indentificata come il resoconto di una delle vite pregresse di Buddha in persona, se non di un degno Bodhisattva (santo) pronto a offrire soccorso a chiunque necessiti di aiuto verso il proprio personale cammino d’illuminazione.
Una posizione di preminenza che traspare dal momento topico del suo racconto, in cui il magnifico rospo, alla testa di un esercito di animali, assalta il palazzo celeste di Phraya Thaen, mettendo a frutto i punti di forza di ciascuna categoria di creature. La forza dei buoi, la scaltrezza dei cani (a cui è dedicato un intero parco nei dintorni del museo) e l’altruismo con la predisposizione al sacrificio degli sciami d’api e di vespe, pronti ad immolarsi contro l’alito fiammeggiante dell’iraconda divinità… Per dare il tempo ai più seguaci fedeli del re rospo, chiaramente gli umani, di portarsi a tiro della loro formidabile arma: un intero arsenale di razzi pronti a bombardare l’augusta dimora, non lasciando altra scelta al suo occupante che di restituire alle creature terrestri l’acqua necessaria alla loro continuativa sopravvivenza. Creando nel contempo la sacra tradizione, destinata a prolungarsi secoli o persino millenni, di anticipare la venuta delle precipitazioni meteorologiche ogni anno grazie all’utilizzo di chiassosi fuochi di artificio. O veri e propri ordigni auto-alimentati, talvolta con la forma di una girandola rotante dal peso di svariate decine di Kg, capaci di ascendere verso i cieli tra l’entusiasmo e il tifo dei presenti. Un modo come un altro, per sentirsi temporaneamente vicini all’estasi e il conseguente spalancarsi del portale che conduce alle regioni superne dell’esistenza. Là dove ad alcun rospo, prima di Phraya Khan Khak, sarebbe mai venuto in mente di appoggiare i propri grossi piedoni appiccicosi.

Lascia un commento