L’impossibile creatura parassita nata dal principio tumorale della non-esistenza

Può sembrare indubbiamente una fortuna, all’interno della sconveniente contingenza, il fatto che il più terribile e pericoloso gruppo di malattie capace di compromettere l’organismo umano, in verità la funzionale manifestazione del suo intento di autodistruzione, non possa essere trasmesso da un individuo all’altro, o persino ancor più pericolosamente, da una specie all’altra. Poiché cancri contagiosi esistono, benché rari, nel contesto di alcune specie animali, tra cui famosamente il diavoletto tasmaniano (Sarcophilus harrisii) il sarcoma del criceto siriano ed il raramente discusso, lungamente noto tumore venereo dei cani. E del resto la capacità di una cellula clonata di sopravvivere, in qualche maniera, all’interno di un organismo differente da quello di nascita sottintende un lungo e sofisticato processo evolutivo, la cui progressione elude ancora molti degli approcci analitici a nostra disposizione. Il che lascia un ampio margine per teorie frutto della scienza di confine, tra cui l’ipotesi teorizzata per la prima volta nel 2019, dagli scienziati della Federazione Russa Panchin ed Aleoshin, che un simile processo possa addirittura generare degli esseri viventi in qualche maniera capaci di sopravvivere fuori dallo stesso organismo che li ha generati, dei “cancri autonomi” che loro definiscono mediante l’acronimo SCANDAL: “Speciated by Cancer Development Animals”. Un principio ricercato quindi nello studio rilevante all’interno di diverse classi di creature microscopiche, con un particolare occhio di riguardo ai parassiti cnidari Myxosporea. Meduse semplificate, tassonomicamente parlando, il cui ciclo vitale prevede un periodo di crescita trascorso all’interno di organismi pluricellulari complessi (generalmente un pesce) ed una fase riproduttiva supportata da invertebrati come vermi policheti o gastropodi di varia natura. Esseri biologicamente insoliti, a dir poco, proprio perché privi della maggioranza di tratti genetici tipicamente riconducibili al proprio phylum d’appartenenza, come se per loro l’evoluzione fosse proceduta, impossibilmente, al contrario. Ed ecco dunque l’effettivo nesso dell’intera questione, riassumibile nel fatto che in base ai dati acclarati in nostro possesso, vi sono intere famiglie all’interno di questo ramo periferico dell’albero della vita eucariota che non corrispondono in alcun modo alla convenzionale definizione di cosa possa implichi effettivamente tale definizione. Creature le cui cellule non risultano essere in grado, in modo assolutamente chiaro, di generare l’energia necessaria alla loro stessa sopravvivenza. Poiché prive di mitocondri o eventuali MRO (organelli dalla funzionalità equivalente) essendo in altri termini teoricamente incapaci di replicare se stessi attraverso la replicazione del codice genetico per come noi l’abbiamo sempre concepita. Lasciando una sola, inquietante possibilità alternativa…

La ricerca in merito ai parassiti obbligati cnidari costituisce un campo della scienza ancora non approfondito, dove le ipotesi supportano un vasto ventaglio di teorie contrastanti. Ciò che sappiamo tuttavia per certo è che quasi nessuna di queste creature, a conti fatti, risulta riconducibile alla definizione convenzionale di “essere vivente”.

Prendete in considerazione, a tal proposito, la specie nota dal 1894 ma soltanto recentemente sottoposta a studi di approfondimento dello Henneguya zschokkei, un parassita myxosporeo della famiglia Myxobolidae, non più grande di 10 micron nella maggior parte delle circostanze osservate. Che lo portano a presentarsi, esteriormente, come una ciste biancastra visibile nei tessuti muscolari dei tranci di carne dei pesci salmonidi del Nuovo Mondo, certamente sgradevole ma fortunatamente priva della capacità di trasmettersi o nuocere all’uomo. Questo perché, grazie all’inferenza dei dati statistici raccolti, questa condizione è stata rilevata essere particolarmente contagiosa tra gli organismi ospiti, grazie alla produzione da parte del parassita di un alto numero di spore con un abito microscopico e dimensioni superficialmente paragonabili ad uno spermatozoo umano. Dotate di due surreali e grandi “occhi” nella parte frontale, in realtà le zanne necessarie ad attaccarsi alla carne viva dei pesci ed inoculare all’interno di essa il proprio codice genetico capace di sconfiggere il sistema immunitario della vittima designata. Che si troverà necessariamente a provvedere a tutte le necessità di questo passeggero indesiderato, in una maniera del resto totalmente diversa da quella impiegata dai parassiti di tipo maggiormente convenzionale. Questo perché la stragrande maggioranza dei Myxosporea, con particolare rilevanza di quelli simili allo H. zschokkei, non si preoccupano di generare a partire dalle sostanze nutritive sottratte il vitale “mattone” dell’ATP (Adenosina trifosfato) reagente necessario per la produzione dell’RNA, acquisendolo piuttosto per osmosi, in maniera largamente sconosciuta, dalla pelle stessa del salmone ospitante. Il che ricorda in modo allarmante, per tornare al nostro discorso d’apertura, l’effettivo funzionamento di un tumore maligno, per lo meno nel corso della fase vitale più lunga nell’esistenza di queste creature fuori da ogni schema di riferimento. Ma una forma straordinariamente funzionale, e per certi versi addirittura armoniosa, di tale temuta condizione, proprio perché capace di sopravvivere e replicarsi senza arrecare alcun tipo di danno al pesce vittima dell’infezione, che è stato dimostrato poter vivere una vita in alcun modo compromessa nella sua lunghezza e possibilità dall’evento di contrazione del parassita esterno. Un effettivo superamento biologico, in altri termini, del decorso e delle conseguenze che siamo abituati ad associare ad un cancro.

Un’esistenza senza mitocondri è possibile? Senz’altro, se sei un procariota unicellulare, capace di far fronte a un limitato fabbisogno energetico acquisendo gli elettroni che passano all’interno del tuo plasma privo di membrana esterna. Ma forme di vita come i parassiti Myxosporea risultano essere esponenzialmente più avanzate, e complesse.

Il che dimostra, ed in qualche modo anticipa, una possibile strada di sviluppo futuro utile a curare l’intero insieme di malattie incurabili rimaste a carico dell’odierna civilizzazione umana. Poiché non appare forse possibile, comparativamente, che ogni condizione in grado d’inficiare il fondamentale processo di replicazione delle cellule possa un giorno “evolversi”, o venire artificialmente trasformata in qualcosa di abile ad esistere semplicemente? Senza compromettere la sopravvivenza dell’organismo da cui ha preso in prestito, letteralmente, il permesso a generare copie invereconde della propria dolorosa presenza. Laddove nessun essere in qualche maniera subordinato ad altri ha un interesse, chiaramente controproducente, a compiere l’estremo gesto di far perire la creatura che costituisce il suo intero mondo d’appartenenza. Ed il cancro per così dire “perfetto” è proprio quello che ad un certo punto determina di aver fatto abbastanza e trasformandosi, o mettendo in campo soluzioni equivalenti, opera con la chiara finalità di migrare altrove. Per quanto oggettivamente terrificante, a conti fatti, possa apparirci in linea di principio l’acquisizione di una simile prerogativa.

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