L’evoluto stratagemma perpetuato dalla vongola mimetica dei fiumi statunitensi

Vi sono luoghi, lontani dalle strade statali e lungo il corso del fiume Chesapeake, dove le antiche usanze vengono ancora messe in pratica dai discendenti dei Pamlico, il popolo del gruppo culturale e linguistico algonquino che costituiva un’importante parte della confederazione Powhatan. Ed è col cuore gonfio di speranza e nostalgia che il giovane chiamato dalla sua famiglia Abooksigun (Gatto Selvatico) mise nuovamente piede oltre il confine esterno del suo villaggio, per trovare nuovamente il lungo filo ininterrotto che lo manteneva unito alle sue origini e preziose tradizioni ereditate dagli antenati. Così procedette, con un cenno a sua zia e le altre donne del villaggio al lavoro col telaio tradizionale per produrre abiti e coperte, principale esportazione verso le moltitudini dell’uomo bianco, per chinarsi oltre l’uscio di nonno Makkapitew (Colui che ha Grandi Denti) che tanto gli aveva insegnato sugli spiriti, la natura e la storia di un popolo che nonostante le difficoltà, era riuscito a sopravvivere e ritrovare i propri spazi relativamente incontaminati. “Figliolo, ben tornato! Cosa ti porta da queste parti?” Disse l’anziano con il grande copricapo, sempre formale, una grande pipa mantenuta in equilibrio a contatto con la guancia destra, lo sguardo penetrante concentrato in un punto leggermente sopra la testa del suo caro ragazzo. “Nonno, io… Oh, seguace del Grande Spirito, faccio il mio ritorno in cerca di un rituale! Nonostante l’educazione ricevuta fuori dalla riserva, e l’ottimo lavoro che ho trovato in qualità di contabile, resto privo di amicizie in città. Io non riesco ad essere come loro. Non so mascherare le mie caratteristiche inerenti, se sai cosa intendo.” Al che il saggio interlocutore fece un gesto magniloquente, invitando l’ospite al silenzio. Di certo, si trattava di una richiesta piuttosto comune esaudita la quale, ben presto, avrebbero potuto tornare a parlare schiettamente e scherzare come avevano sempre fatto quando Abooksigun era ancora un bambino. Un rituale totemico, finalizzato all’acquisizione di un potere proveniente dall’universo della natura… Ora lui si chiese quale feticcio il nonno avrebbe preso dalle ceste situate oltre la sedia intagliata, forse finalizzato a richiamare la ben nota furbizia del procione, oppure l’attenzione ai dettagli dell’aquila, piuttosto che il sottile ingegno del castoro. Ma quando il vecchio si voltò, col grande e caratteristico sorriso da cui aveva preso il nome, nella sua mano era stretta una piccola conchiglia, del tipo normalmente usato come ingrediente delle zuppe tradizionali cucinate da queste parti. Eppure, guardandola più attentamente, era possibile notare un’insolita colorazione tendente al giallo paglierino, striata di figure geometriche più scure. Delicatamente, dalla bocca dello sciamano iniziò a scaturire una precisa cantilena, mentre il fumo della pipa sembrò gonfiarsi e pervadere ogni angolo dell’angusta capanna.
Imitazione, copia, dissimulazione. Tutti aspetti in apparenza controproducenti nella comunicazione interpersonale, almeno secondo la principale percezione diffusa nel mondo contemporaneo. Ma in realtà potenzialmente utili, al verificarsi di particolari fattori ambientali o di contesto. Come quelli della vongola del genere Lampsilis, fortemente dedita alla pratica di una precisa serie di procedure. Che la portano a sembrare, con precisa ed allenata enfasi, quello che assolutamente non è: un pesce che si agita nella corrente…

L’attività stimolante della vongola risulta essere particolarmente dispendiosa sia dal punto di vista fisiologico che quello evolutivo. Il che non gli ha impedito, d’altra parte, di mantenere intatta la propria longevità, con alcuni esemplari di questo genere dimostratosi capaci di sopravvivere in cattività fino a un periodo di 20 anni.

Tipici molluschi bivalvi del tipo che si attacca saldamente al fondale, restando semisepolto tra i detriti mentre mette in pratica i passaggi di un copione ben collaudato. Quello che consiste nel filtraggio dell’acqua di fiume, conduttivo alla continua fagocitazione di una certa quantità di microrganismi ed altre sostanze nutritive. Una vita tranquilla ed almeno in linea di principio, totalmente indipendente, almeno finché non giunge il momento non meno importante di dar seguito alla propria linea genetica, trovando una controparte del sesso opposto con cui mettere al mondo la prossima generazione di conchigliette. Un approccio alla questione, di tipo gametico a voler utilizzare il termine scientifico, che prevederà per la generazione successiva l’individuazione di un’appropriata comunità per i nuovi nati possibilmente anche remota lungo il corso della corrente, oltre una distanza non necessariamente percorribile in maniera semplice mediante l’utilizzo del singolo piede muscoloso posseduto da questi animali. Ed è qui che entra in gioco il tipo di furbizia ereditaria, che può essere in natura solamente la diretta conseguenza dei molti anni di selezione artificiale e tutta l’energia creativa, che ne deriva attraverso i plurimi momenti trascorsi a combattere le difficoltà dell’esistenza. Tali da massimizzare, secondo un preciso schema inevitabile, il successo riproduttivo degli esemplari il cui parte del mantello (la parte molle del corpo) si trovava esposta allo sguardo indiscreto di particolari pesciolini di passaggio, soprattutto nelle femmine e progressivamente, con precisi ornamenti sempre più complessi ed istintivamente riconoscibili allo sguardo. Perché in effetti, la sacca delle uova prodotta da queste ultime ha una sorta di frangia sulla parte superiore capace di rassomigliare ad una pinna, più estesa nella parte posteriore per formare una coda. E soprattutto, piccoli occhi bianchi e neri sul lato opposto, proprio come quelli di coloro che ha il fondamentale compito di attirare.
Immaginatevi, perciò, la scena: di un ciprinide, una trota o un salmerino, che scorgendo tale potenziale “preda” si avvicina con l’intento istintivo di procedere a fagocitarla. Quando al primo morso, l’esca costruita dalla vongola letteralmente esplode, rilasciando un nugolo di piccolissime creature che immediatamente agiscono nella maniera predeterminata. Essi costituiscono i glochidia, forma neonata del mollusco, già morfologicamente identici alla madre sebbene della misura inferiore ad un millimetro ciascuno. I quali sfruttando le due metà del proprio guscio, resteranno parzialmente attaccati alle branchie del visitatore affamato, come fossero una sorta di benevoli parassiti. Ben presto individuati come corpo estraneo dal padrone di casa, essi verranno infatti circondati da una ciste, prima ancora di poter succhiare grandi quantità di sangue o intraprendere alcun tipo di azione nociva. Il che non rientrava, d’altra parte, nei loro progetti: la saggezza del minuscolo glochidium gli permette infatti di anteporre a tale pretesa un’altra di tipo decisamente più importante: il passaggio ottenuto, assieme all’inerente protezione dai predatori. Ivi inclusi, per l’appunto, i suoi stessi genitori. Ed è per questo che soltanto una volta raggiunte dimensioni maggiormente consone, assieme ai suoi molteplici fratelli provvederà semplicemente a liberarsi, per cadere agevolmente sul fondale iniziando quel tipo di vita che ancora non aveva conosciuto, ma per cui già possiede una precisa programmazione. È il cerchio della vita e dell’inganno che continua, ininterrottamente, ad ottenere il risultato desiderato. Purché nulla s’intrometta, come la mano di un sommozzatore eccessivamente curioso; è altamente inappropriato, a tal proposito, disturbare una di queste creature durante la stagione riproduttiva. In quanto le costringerebbe ad aspettare fino all’anno successivo, prima di poter creare nuovamente la sacca delle loro uova.

La varietà di esche offerte all’occhio dei nuotatori di passaggio è straordinariamente diversificata anche all’interno della singola specie. Un accorgimento niente meno che fondamentale, al fine di restare sempre interessanti per chi tenta di ghermirle.

Nonostante l’ingegnosa soluzione facente parte del loro modus vivendi, tuttavia, le vongole dell’intera famiglia Unionidae, cui appartengono anche le Lampsilis, non possono dire di essere attualmente prive di minacce significative alla propria continuativa esistenza. Prima tra tutte, l’alterazione del corso dei fiumi mediante l’utilizzo di dighe o altri sbarramenti creati dall’uomo, capaci di compromettere la naturale migrazione dei pesci e assieme ad essa, l’efficacia dell’esca creata dalle singole specie di mollusco, ciascuna delle quali possiede una precisa relazione simbiotica con una singola controparte. Come avviene, per esempio, con la sopra mostrata e descritta Lampsilis fasciola, per cui un soggiorno di almeno un paio di settimane tra le branchie del pesce persico costituisce un passaggio obbligato verso il raggiungimento dell’età riproduttiva.
Mentre non meno problematico risulta essere l’inquinamento delle acque, soprattutto vista la sensibilità dei glochidia a particolari sostanze, tra cui l’ammoniaca che tanto spesso si nasconde tra i nitrati liberati dalla corrente a causa dei fertilizzanti. Il che ha portato a numerose imprese di conservazione nel corso degli ultimi anni, spesso consistenti nella liberazione sistematica di specie di vongole meno rare, altrettanto capaci di filtrare l’acqua ripulendola a vantaggio della collettività con la conchiglia. Un approccio che richiede il mantenimento di un preciso equilibrio, pena l’ipersaturazione e conseguente esaurimento delle fonti di cibo. Il che si applica a ogni cosa, inclusa la fondamentale globalizzazione dei nostri modelli culturali e pratiche spirituali di ancestrale natura. Che dovrebbero avere idealmente la funzione di nutrire l’intelletto, oltre a mantenere vivida l’immagine di coloro che sono venuti prima di noi. Una cognizione maggiormente posseduta da taluni popoli, piuttosto che altri. Lungo il grande corso del tempo, con le plurime generazioni che si affollano sulle sue rive dolorosamente prive di appigli.

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