L’improvvisa manifestazione dei gamberi miracolosi nelle pozzanghere del Maine

Quanto delicato è realmente questo ecosistema, fino a che punto dobbiamo pensare ai nostri gesti e quello che riescono a causare, più o meno direttamente, nello scivoloso rapporto tra gli eventi fino a condizioni non più necessariamente recuperabili, in alcun modo conduttive a condizioni che si oppongono all’entropia? Per comprenderlo davvero, utilizzando un caso come punto di riferimento, basterà guardare al triste fato del gambero fata della Florida (Dexteria f.) finito per estinguersi nel preciso momento durante l’anno 2010 in cui, per costruire un edificio, fu deciso di prosciugare un piccolo punto d’accumulo dell’acqua piovana, in una depressione totalmente indistinguibile da tutte le altre. Almeno finché non fu fatto notare, purtroppo in ritardo, la maniera in cui quel sito costituiva l’unico recesso noto per quella notevole specie animale, che a partire da quel momento sarebbe stata relegata alla memoria dei naturalisti e i libri scientifici sul tema dei piccoli crostacei nuotatori. Giusto, sbagliato, poco importa: il corso del progresso porta l’uomo a muoversi attraverso dei binari obbligatori. Che pur espandendo i territori e i margini del profitto materiale, tende a metterlo in conflitto con l’ambiente così com’era prima della sua venuta. E tutto quello che all’interno di esso, fin da un’epoca remota, continuava a vivere in maniera ragionevolmente indisturbata. Ma il problema principale, che esula persino dallo spettro dei problemi presi in considerazione negli ambienti dei commissari ambientalisti più appassionati, è la maniera in cui non tutti le creature sono carismatici, appariscenti, sufficientemente grandi da lasciare un chiaro segno nella mappa ideale delle circostanze. E ve ne sono alcune, in modo particolare, che sfuggono alla percezione della gente comparendo ai meri margini della coscienza, a stagioni alterne, per poi ritornare nuovamente nell’ottuplice ed impercettibile dimensione.
Anostraca, forse saprete già di cosa parlo. O più nello specifico Branchinecta, Branchinectidae. Non le tipiche “scimmie” di mare in salamoia, questa volta (giocattolo scientifico dei tempi andati) né il triops, minuto fossile corazzato dal guscio idrodinamico (di cui pure parlammo in tempi non sospetti) bensì quei loro umili cugini raramente superiori ai 3-5 cm di lunghezza, disseminati nell’intero territorio degli Stati Uniti a partire dalla penisola meridionale nell’Atlantico ai fino ai territori ricoperti di foreste, pianure aride, colline remote lungo il tragitto della costa situata maggiormente a settentrione. Questo perché di animali acquatici che vivono primariamente circondati dalle acque ce n’erano già troppi. Laddove il gambero fata essenzialmente non ha nessun reale bisogno di quel tipo di presupposto. Facendo del suo stile la capacità di prosperare non soltanto nell’entroterra, bensì sfruttando quel tipo di pozza d’acqua dolce meramente stagionale, che compare al culmine della stagione delle piogge per poi evaporare o essere assorbita dalla terra, nel corso dell’estate più secca e incombente. L’inizio ricorrente, per tali esseri, di una drammatica ed al tempo stesso imprevedibile avventura…

Grigi, verdi, marroni, i gamberi delle pozze stagionali assumono spesso colorazioni mimetiche al fine di nascondersi dagli uccelli. I loro principali ed in realtà unici predatori, vista l’assenza di pesci nei loro legittimi ambienti d’appartenenza.

Sorge naturale la domanda a questo punto di come possano simili presenze riuscire a diffondersi, in quale maniera trovino la chiave per raggiungere, in prima battuta, luoghi tanto specifici e indissolubilmente legati a particolari rami della loro straordinaria corsa verso la speciazione, non sempre guidata da evidenti tratti evolutivi capaci di assicurargli significativi vantaggi. Soprattutto se messi a confronto con la capacità dominante dell’intera famiglia, consistente nel produrre ininterrottamente una progenie, in base a crismi ben collaudati dall’elevato e significativo grado d’efficienza. Partendo dalla fecondazione messa in opera dai maschi con i loro arti prensili situati sotto gli occhi e mediante la deposizione conseguente dalla controparte di due tipi di uova: il primo dal guscio sottile, pronto a schiudersi nel giro di una settimana, di per se utili a contrastare il frequente problema di una quantità eccessivamente bassa di machi riproduttori, rispetto all’alta quantità di femmine con le loro tasche laterali pronte ad essere fecondate. Ed il secondo tipo, ricoperto da una membrana totalmente impenetrabile ed impermeabile, capace di restare integra per settimane, mesi, persino anni e a dire il vero nessuno sa, esattamente, quale sia il confine massimo di tale persistenza. Una dote che le rende definibili in lingua inglese come cysts (o “cisti”) ovvero capsule all’interno di un ambiente, che dovranno preservare intonso e inalterato il proprio insostituibile contenuto. Nella terra ormai del tutto secca, magari trasportate via dal vento, fino a nuovi umidi recessi e territori che aspettavano soltanto di essere scoperti. O persino casistiche ancor più estreme: laddove uno dei tipici mezzi di propagazione degli Anostraca d’acqua dolce può essere individuato, benché risulti arduo crederci, all’interno dell’apparato digerente degli uccelli pescatori, che provvederanno quindi a defecarne le uova totalmente integre all’interno di altre pozze di natura effimera o stagionale. Affinché lo strano fenomeno della loro incredibile ricomparsa possa, ancora una volta, suscitare un comprensibile senso di stupore nella mente degli escursionisti. Detritivori e spazzini, tramite l’impiego di un sistema di filtraggio dell’acqua, i gamberi fata sono quindi particolarmente adattabili da un punto di vista ecologico, potendo trarre sostentamento da pressoché ogni tipo di pozza d’acqua stagnante. Dopo la nascita allo stato larvale, essi attraversano una serie di fasi ciascuna culminante nell’esecuzione di una muta del proprio esoscheletro, fino alla forma adulta dotata di 20 segmenti fisici individuali. Una loro caratteristica particolarmente distintiva, che condividono con gli Artemia salina soprannominati proprio per questo sea monkeys, è l’abitudine a nuotare capovolti, con i propri filopodi sottili e semitrasparenti mossi in rapida sequenza in maniera ipnotica da centinaia o migliaia di esemplari allo stesso tempo, suscitando uno spontaneo senso di fascino verso cui è difficile restare del tutto indifferenti. Soprattutto quando, essendo passati magari anche pochi giorni prima presso quella stessa pozza di riferimento, c’era stata l’occasione di notare al suo interno l’assoluta ed innegabile assenza di forme di vita.

L’allevamento in cattività di queste prolifiche creature è talvolta praticato dagli acquaristi, per la facilità con cui i gamberi si riproducono costituendo un’accessibile fonte di cibo per i propri pinnuti coabitanti. Non che un habitat artificiale pieno dei flessuosi ed attraenti Branchinecta risulti essere del tutto inaudito.

Derivanti da un’antica discendenza che i paleontologi sono riusciti a far risalire fino al Paleozoico Anteriore, questi gamberi potrebbero costituire l’accezione odierna della misteriosa creatura simile ad un millepiedi del Lepidocaris, trovata in un deposito di sedimenti presso Rhynie, nell’Aberdeenshire scozzese. Il che potrebbe giustificarne una continuativa esistenza cosmopolita nel tempo, con popolazioni di epoche successive attestate sia nel Vecchio che il Nuovo Mondo, per una radiazione risalente all’originale suddivisione del supercontinente Gondwana capace di crearne le attuali popolazioni situate in tutti e sette i continenti. Tutte in misura diversa, ma egualmente minacciate in linea di principio dallo stesso processo d’insistente invasione progressiva degli spazi, nonostante la loro implicita capacità di adattamento. Benché resista, nondimeno, un possibile barlume di speranza. Dopo tutto chi può realmente affermare, a scanso di ogni equivoco, che le siffatte vittime del sopracitato processo di estinzione non possano un domani ripresentarsi tra le schiere dei viventi, facendo un atteso ritorno dalle remote profondità invisibili o dimenticate.
O persino… Da molto più lontano. Prove scientifiche pregresse, condotte sullo Space Shuttle e nella Stazione Spaziale Internazionale hanno dimostrato la capacità di questi piccoli crostacei di sopravvivere agevolmente anche in assenza di gravità. Potendo immaginare strategie di sopravvivenza, di eventuali specie non ancora scoperte, anche nell’assoluto vuoto e gelo cosmico allo stato d’invulnerabili “semi” dell’Esistenza. Inclini ad essere sterilizzati soltanto durante l’ingresso in un particolare tipo d’atmosfera come quella della nostra Terra. E non è detto che ciò debba essere per forza un male.

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