Un gatto per pescarli, un gatto per ghermirli e nel fiume assaporarli. Dalla terra del distante Oriente…

In principio era il Caos. Le piccole creature scorrazzavano fuori controllo in mezzo ai prati, sopra gli alberi e in mezzo alle felci primordiali, moltiplicandosi e compromettendo l’equilibrio della natura. Allora il Fecondo Principio creò il prototipo dei felini e vide, come già sapeva ancor prima di attivarsi, che era cosa buona e terribile, ma anche giusta. Un predatore così perfetto e scaltro che nessun uccello, lucertola o roditore poteva sognare di sfuggire ai suoi affilati artigli, né salvarsi dal venire dilaniato e trangugiato. Un… Singolo… Pezzo… Alla volta. Effettivamente il gatto preistorico o mitocondriale, per quanto ci è dato comprendere dai ritrovamenti fossili e relative conclusioni, non era esattamente identico agli attuali compagni che vivono all’interno delle nostre case. Soprattutto nella sua accezione asiatica del genere Prionailurus, oggi rispondente ad una serie di creature accomunate da una dimensione due volte superiore rispetto ai loro cugini addomesticati, un manto maculato con funzionalità mimetiche, coda piuttosto corta e una forma del cranio lievemente più allungata. Oltre a specializzazioni in senso ecologico che lì rendono, in maniera alquanto prevedibile, maestri all’interno delle proprie legittime foreste di appartenenza. Così come la nostra vecchia conoscenza del gatto rugginoso (P. rubiginosus) originario dell’India ed in maniera analoga a quanto avviene per il cugino dal territorio parzialmente sovrapposto del P. viverrinus, più comunemente detto gatto viverrino o fishing cat, da non confondere assolutamente con il fisher cat, la martora statunitense di Pennant. Ma anche, a palese testimonianza del suo più vasto areale, mach-baghrol (Bangladesh) bavuru-pilli (Andra Pradesh) handun diviya (Sri Lanka) suea pla (Thailandia) e Kyaung-ta-nga (Burma). Tutte variazioni locali di espressioni riconducibili a gatto “selvatico” o “pescatore” nell’accezione chiaramente percepibile attraverso l’osservazione in alcun modo continuativa di questo affascinante animale. La cui propensione insolita a trascorrere una buona parte delle sue giornate a mollo, in netta contrapposizione con lo stereotipo di tale categoria di creature, corrisponde nettamente all’opportunità di occupare una particolare nicchia biologica, tale da farne essenzialmente l’unico piscivoro obbligato, o quanto meno preponderantemente tale, della sua intera famiglia di appartenenza. Una mansione che persegue soprattutto nelle ore notturne con caratteristica perizia e imperturbabile efficienza, grazie all’adattamento specifico dei piedi palmati coadiuvato da una sovrapposta stratificazione del pelo, che gli garantisce una superiore capacità di isolamento termico e impermeabilizzazione. Accorgimenti dal tipico ed elevato grado d’ingegno, che caratterizza quella preponderante forza del destino evolutivo che potremmo, con finalità elucubratorie, scegliere di ricondurre al Fecondo Principio…

Il cucciolo del gatto viverrino acquisisce le proprie tecniche di caccia in un periodo minimo di 10 mesi, a partire dal momento in cui apre gli occhi ed acquisisce la capacità di muoversi in autonomia. C’è molta pratica e trasmissione diretta delle tecniche da parte della madre, in questo imprescindibile processo.

Con due sole sottospecie occasionalmente riconosciute, la seconda e più rara delle quali definita P.v. rhizophoreus o (piccolo) leopardo di Sunda, il gatto viverrino esibisce dunque una notevole continuità dei tratti dominanti, perfezionati attraverso l’incedere dei secoli per farne il predatore di palude definitivo. Poco avvezzo a cacciare in effetti nei fiumi a scorrimento rapido, esso individua il proprio ambiente preferito nelle pianure acquitrinose popolate di mangrovie, le anse a ferro di cavallo ed i ruscelli carichi di sedimenti, tutti tratti paesaggistici piuttosto frequenti nella parte meridionale del continente asiatico. Frequentemente attestati in aree corrispondenti alla descrizione di vere e proprie foreste, amando nascondersi tra la vegetazione per preparare i propri agguati, questi distintivi felini hanno dimostrato di poter vivere anche a quote superiori, comparendo nelle fototrappole disposte fino ai 1525 metri d’altitudine presso le alture himalayane. Un approccio tecnologico, quest’ultimo, frequentemente utilizzato nel tentativo di definire i confini del loro habitat, impresa non particolarmente semplice a causa dell’imprevedibilità dei loro spostamenti di radiazione. Capace di nuotare per lunghi tratti se necessario, un singolo gatto può controllare territori molto vasti, che nel caso dei maschi può raggiungere i 22 Km quadrati di estensione, individuabili in maniera auditiva tramite la percezione del suo tipico richiamo, in condizioni normali paragonato al chiocciare di una gallina. Che diviene un gemito dall’estensione prolungata durante la stagione degli amori, corrispondente in genere al mese di gennaio e febbraio, unico periodo dell’anno in cui l’animale abbandona la sua propensione solitaria per creare una coppia stabile destinata a durare entrambi i mesi della gestazione e gli ulteriori due, necessari affinché i nuovi nati (raramente più di quattro) possano completare il periodo di svezzamento. Sarà quindi principalmente la madre, per buona parte del primo anno di vita, a insegnargli le metodologie di caccia e pesca necessarie a sopravvivere nella totale indipendenza, momento a seguito del quale saranno ormai prossimi alla maturità sessuale. Una volta raggiunto l’apice della propria condizione predatoria, i gatti pescatori non limiteranno dunque le prede selezionate ai soli esseri catturati sotto la superficie acquatica, andando spesso in cerca di possibili e più convenzionali vittime anche negli immediati pressi della zona da cui prendono il più internazionale dei propri soprannomi. La cui carne quindi, prima della consumazione, provvederanno a immergere talvolta in acqua, in maniera analoga a quanto fatto dagli orsetti lavatori (cit. Iwaniuk & Blankstein, 2001) Sebbene nessuno, in questo particolare caso, sembri conoscerne la ragione.

Anche in cattività, come nel caso di questo video ripreso presso uno zoo, viene ritenuto opportuno far “pescare” il gatto gettandogli da mangiare all’interno di una pozza d’acqua appositamente adibita. Il fatto che i pesci provengano da un frigorifero, dal suo punto di vista, non sembrerebbe fare un elevato grado di differenza.

Capace di vivere agevolmente più di 10 anni se tenuto in cattività, il gatto viverrino è ritenuto vivere soltanto una porzione di tale lungo periodo allo stato selvatico, causa l’imprescindibile insorgenza di problematiche situazionali e malattie. Originariamente privo di nemici naturali o veri e propri predatori, il suo problema quotidiano è oggi primariamente la convivenza con l’uomo, soprattutto per l’abitudine, tristemente prevedibile, di attaccare il pollame, pecore, agnelli o altri animali domestici della fattoria. Eventualità contro la quale neppure la presenza dei cani sembri in alcun modo scoraggiarli, visto il peso di fino a 17 Kg di questo letterale padrone della notte, capace di muoversi acquattato ma anche difendersi con gli artigli e i denti, caso si rivelasse necessario al fine di garantirsi la sopravvivenza. Metodologia esponenzialmente meno efficace ogni qual volta, inevitabilmente, si ritrova al cospetto del fattore armato col suo fucile. Ragion per cui, oggi protetto dalle norme del CITES e i piani ad ampio spettro suggeriti dallo IUCN, questo felino è oggi protetto in almeno cinque vaste zone dell’India, in Kandy e nelle Sundarban, benché manchino norme specifiche proprio nelle zone dove risulta maggiormente raro, come la penisola vietnamita. Un’apparente contraddizione purtroppo molto più frequente di quanto si potrebbe tendere a pensare, in questo ed altri luoghi facenti parte dell’attuale grande epoca estintiva dell’Antropocene.
Una tendenza dinnanzi cui neppure il più attivo ed agile degli esseri, all’interno del suo legittimo ambiente di provenienza, può davvero immaginare di poter continuare a vivere senza alcun grado di disturbo. E su questo non c’è anello, o altro magico MacGuffin letterario, che possa dirimere l’oscura Ombra pendente sul tragitto del suo destino.

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