Si festeggia sulla punta estrema dell’Asia: avvistata un’intera famiglia del felino più raro al mondo

Adattamento, esperienza, sopravvivenza: nella terra gelida della Russia nell’Estremo Oriente, non troppo lontano dalla città di Vladivostok, poche creature possono vantare la stessa capacità di adattamento del leopardo di Amur, sottospecie del grande felino associato nell’idea comune agli ambienti tiepidi dell’Africa centro-meridionale, in grado tuttavia di costruire la sua discendenza sulla base di presupposti notevolmente vari. Eppure non c’è nulla, tra le sue notevoli caratteristiche evolutive, che sia stato in grado negli ultimi anni di garantire la continuativa sopravvivenza di questa creatura, se è vero che all’inizio degli anni 2000, gli esemplari rimasti in tutto il mondo includevano una cifra di circa 35, molti dei quali custoditi in cattività. Ma le cose cambiano e come c’insegna la vicenda del panda gigante, dove c’è l’intento di fare del bene, fondato su precisi metodi scientifici ed approcci di efficacia comprovata, c’è ben poco che un destino gramo possa mettere sulla strada di una specie destinata ad esistere, nonostante tutto, e resistere per gli immediati secoli a venire. O almeno questo è ciò che siamo autorizzati a sperare, dopo l’ultima testimonianza raccolta, grazie a telecamere faunistiche disseminate nell’ecoregione delle foreste manciuriane, dove in epoca recente simili quadretti hanno ricominciato ad apparire saltuariamente, grazie allo sforzo di conservazione compiuto dalle istituzioni locali. A presentare il video al pubblico ci pensa Ivan Rakov, direttore e portavoce del parco di 2.799 chilometri quadrati “La Terra dei Leopardi”, fondato nel 2012 nella zona di Primorsky  con l’esplicita intenzione di offrire un porto sicuro a queste splendide creature, nonché la loro lontana e meno rara parente, la tigre siberiana. Tra il dire e il fare, come si è soliti affermare, c’è tuttavia la vasta taiga innevata dei reconditi recessi siberiani, ed è pur sempre straordinariamente difficile, per queste creature, portare fino all’età dell’indipendenza ben tre piccoli eredi, ciascuno dei quali rappresenta in primo luogo un’ulteriore bocca da sfamare per l’indaffarata madre cacciatrice, così come evidentemente fatto con successo dall’allegra famigliola oggetto della rilevante press release, i cui protagonisti appaiono sicuri di se, attenti e perfettamente in salute, mentre scrutano da un promontorio quello che i naturalisti hanno ipotizzato essere un animale di qualche tipo, probabilmente destinato a cader vittima della loro inevitabile fame.
Il leopardo della regione di Amur, nome scientifico Panthera pardus orientalis, rientra dunque tra le sottospecie a rischio d’estinzione critico secondo la classificazione dello IUCN, una triste medaglia riservata solamente a quelle creature la cui sopravvivenza risulta allo stato dei fatti attuali sospesa letteralmente a un filo sottile, avvolto attorno al braccio di coloro che riescono ad attribuire il giusto valore alla biodiversità corrente. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, esso rappresenta infatti la convergenza di particolari tratti, in grado di differenziarlo in modo significativo dai suoi parenti: in primo luogo, la prevedibile lunghezza maggiore del pelo ed le macchie di quel manto, maggiormente distanziate al fine di meglio adattarsi al mimetismo tra la vegetazione di questi luoghi. Inoltre, le dimensioni sensibilmente più piccole rispetto alla media dei leopardi, con 32-48 Kg per il maschio, 25-42 per la femmina. Completa il quadro, una maggiore propensione ad arrampicarsi sugli alberi, metodologia apprezzata dall’animale per potersi assicurare un luogo sicuro dove consumare le prede recentemente catturate. Creatura niente affatto socievole con i suoi simili, come nel caso di molti altri grandi carnivori, questa tipologia di predatore necessita inerentemente un area di caccia particolarmente vasta al fine di sostenere se stesso, ed ancor più quando sono presenti i cuccioli, avendo reso semplicemente impossibile garantire la sua sicurezza contro i molti cacciatori di frodo, interessati alla preziosa pelle e le ossa utilizzate nella medicina cinese, almeno fino alla costituzione di un’area sottoposta a stretto regime di sorveglianza dove gradualmente, uno dopo l’altro, un certo numero di esemplari è stato riportato gradualmente allo stato brado. Una scommessa particolarmente rischiosa eppure, in un certo senso, l’unica in grado di concedere un significato durevole allo sforzo per la conservazione di simili creature, così estremamente rappresentative di un particolare, ormai quasi perduto stile di vita…

La nascita di cuccioli di un animale raro è sempre occasione di festa negli zoo, come accaduto lo scorso novembre per una madre leopardo a Colchester, in Inghilterra. Ma bisogna anche capire i piccoli con quell’atteggiamento burbero, quando vengono forzatamente prelevati per le continue visite veterinarie e i vaccini.

Il conteggio dei leopardi di Amur capaci di sopravvivere nel parco di Primorsky, mantenuto aggiornato attraverso gli anni grazie agli autoscatti di una grande quantità di fotocamere-trappola, si è quindi rivelato estremamente semplice grazie alla variabilità della disposizione delle macchie, distinte per ciascun animale come un’impronta digitale umana. Ciò ha permesso d’identificare senza falla i singoli esemplari, verso un auspicabile conteggio che ne ha visto, in una proiezione estesa lungo gli ultimi vent’anni, un aumento più che raddoppiato, fino alla cifra attualmente stimata di circa 100 rappresentanti della loro preziosissima e insostituibile genìa. Ciononostante molto comprensibilmente, ancora oggi l’opportunità d’inquadrare un’intera famiglia in pieno giorno, con tutto il tempo di ammirarne approfonditamente l’aspetto ed il comportamento, è un’occasione che tende a far notizia, con l’ulteriore merito di far notare al mondo uno dei principali successi in ambito zoologico della Federazione Russa. Si è a lungo parlato, a tal proposito, dell’importanza dell’immagine per la conservazione delle specie a rischio, particolarmente quando come nel caso presente sarebbe implicitamente necessario uno sforzo internazionale, al fine di garantire una protezione effettivamente completa. Così come la tigre siberiana, il suo collega più piccolo è infatti solito spingersi a meridione oltre le terre confinanti della Cina e della Corea del Nord, dove anche per ragioni organizzative manca allo stato attuale un’istituzione paragonabile alla Terra dei Leopardi, il cui finanziamento è stato garantito, attraverso l’ultimo decennio, anche tramite l’adattamento ad un’impiego con finalità turistiche, come esemplificato dalle informazioni per i viaggiatori pubblicate sul sito ufficiale e l’effettiva costruzione, più recente, di uno spazio espositivo presso il più vicino viale di collegamento con le regioni più selvagge del parco. Benché l’effettiva esplorazione dello stesso, possiamo soltanto immaginare, risulti alquanto difficile e pericolosa senza un’adeguata preparazione o il reclutamento di una guida tra i ranger locali, dietro un ragionevole contributo capace d’incrementare i presupposti organizzativi dell’istituzione di appartenenza.
Dal punto di vista ecologico il leopardo di Amur può dunque classificarsi come carnivoro solitario e notturno, che è solito marchiare e custodire un territorio di caccia assai ampio. Particolarmente variegata la metodologia usata per tenersi lontani dai suoi simili, che include segni sugli alberi e versi minacciosi, in grado di propagarsi per molte centinaia di metri attraverso il silenzio del gelido inverno siberiano. Durante la stagione degli amori quindi, che trova collocazione generalmente durante il periodo primaverile a maggio, la femmina inizia a secernere un particolare feromone nell’urina disposta ai margini della sua zona, che il maschio interpreta come un segnale di via libera per avventurarsi oltre i limiti normalmente concessi, e dare inizio a una lunga serie di accoppiamenti, capaci di raggiungere anche i 100 episodi al giorno. Completato questo incontro di passione selvaggia, i due si separano di nuovo pressoché immediatamente, dando inizio ad un periodo di gestazione che dura circa 96 giorni. I piccoli, del peso di appena 1 Kg alla nascita e con gli occhi chiusi per la prima settimana, saranno quindi in genere tra i 2 ed i 4, lasciati all’interno di un tronco cavo o denso cespuglio per periodi di fino a 10 ore ogni giorno, mentre la madre s’industria per procacciargli il cibo necessario al raggiungimento dell’indipedenza, che si aggira tra i 13 e i 18 mesi, occupando conseguentemente anche il successivo e complicato periodo del primo inverno. Il leopardo dell’Estremo Oriente russo con i suoi fino a 6 metri di balzo, paragonabili a quelli dei consimili africani, diventerà quindi un predatore in grado di tendere imboscate anche alla preda più svelta e cauta, scelta tra creature che in questi luoghi includono il cervo della Manciuria (C. elaphus xanthopygos) quello Siberiano (Capreolus pygargus) ed il goral della coda lunga (Naemorhedus caudatus) un bovide ungulato tipico della regione di Amur. Il che era solito portare purtroppo, durante tutto il corso degli anni ’90, queste creature ad attaccare frequentemente i branchi di erbivori domestici tenuti dalle popolazioni indigene locali, portando all’eliminazione sistematica di una minaccia considerata lesìva per il benessere delle comunità umane. Ma il vero colpo di grazia ai propositi di sopravvivenza della distintiva sottospecie sarebbe giunta solo successivamente, con la riduzione dell’habitat sfruttabile causa il disboscamento per l’industria del legname e l’incendio intenzionale di vaste regioni di foresta, per adibire il territorio alla coltivazione intensiva di ben più affidabili, e durevoli fonti di cibo. Una storia che è solita ripetersi da lungo tempo, attraverso innumerevoli società dell’epoca contemporanea.

La perfetta indole del predatore, capace di piegare le più inospitali condizioni ambientali a suo vantaggio. Il leopardo, dopo tutto, non conosce in alcun modo le poche probabilità che un giorno possa sopravvivergli una discendenza. Ed è, molto probabilmente, meglio così.

Difficile capire oggi, in conseguenza di quanto affermato a questo punto, quale sia il futuro prossimo e remoto del leopardo di Amur, creatura ormai giunta a quel drammatico punto di svolta, in cui la riconquista di un territorio naturale può fare la differenza tra il destino di trovarsi un giorno solamente all’interno di gabbie e recinti, piuttosto che tornare ciò che un tempo, ormai più che mai remoto, aveva posseduto i presupposti per rappresentare. Ovvero l’animale prototipico d’innumerevoli leggende e prossimo all’acquisizione di quel particolare status di reputazione, che potremmo associare allo sfioramento dell’imprescindibile divinità.
Ed un avvistamento come quello mostrato al mondo da Ivan Rakov costituisce, indubbiamente, un segnale positivo in questa ottica di ricostruzione. Ma non potrà certo raggiungere il suo pieno potenziale, almeno che nel mondo se ne parli, in modo dettagliato ed approfondito. Avete mai sentito parlare delle cosiddette “specie ambasciatrici”? Perché nessuno dimentichi quello che abbiamo… Prima che sia ancora una volta, irrimediabilmente, giunta l’ora di dirgli addio.

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