Così apre “The Valley”, surreale contributo alla geologia metropolitana d’Olanda

Largamente costruito nel corso dell’ultima decade sul modello di zone come quella parigina di La Defense, o Canary Wharf a Londra, il distretto finanziario di Amsterdam chiamato Zuidas (letteralmente: Asse Sud) è una di quelle prove tecniche di città del futuro, ricettacolo tangibile di ogni significativa innovazione in campo architettonico e della ricerca estetica compiuta ai margini di un nuovo edificio. Luoghi come la sede della banca ANB AMRO, la torre ITO o il centro commerciale WTC colpiscono senza emozionare in modo particolarmente profondo, per la maniera in cui si presentano come il convenzionale “cubo di vetro” del tutto ordinario in questa categoria di contesti, perfettamente idoneo come luogo di lavoro ma che difficilmente verrebbe entusiasticamente scelto come luogo abitativo per la propria famiglia. Per vedere tuttavia qualcosa di radicalmente nuovo, tutto ciò che occorre è spingersi più avanti sul viale intitolato al grande musicista Beethoven, verso l’aeroporto di Schipol, dove sorge qualcosa di completamente innovativo per forma, funzione e posizionamento logico all’interno di un’ideale gerarchia degli edifici. Di primo acchito simile ad un edificio bombardato da un Creeper all’interno del videogame Minecraft, piuttosto che il costrutto risultante congelato di una partita in corso d’opera nel popolare rompicapo digitale Tetris, l’ultima creazione dello studio di Rotterdam MVRDV rivela dopo pochi attimi tutta la sua insolita ed intollerabile magnificenza. Di tre torri, rispettivamente alte 67, 81 e 100 metri costruite per la compagnia di sviluppo edilizio EDGE, in cui ogni cosa sembra essere stata lasciata al caos, in un tripudio di forme interconnesse e sovrapposte, per lo meno oltre l’involucro esterno di una ragionevole e rassicurante facciata riflettente. Unica concessione quest’ultima, in effetti, a quello che convenzionalmente si ritiene essere un’edificio di simili proporzioni.
Laddove la sua parte interna, discontinua e frastagliata, vorrebbe dichiaratamente ricordare la versione altamente stilizzata e quasi cubista di una formazione rocciosa naturale, complici anche le facciate dall’anonima tonalità color crema, nell’idea dell’architetto principale e portavoce del progetto Winy Maas, famoso sostenitore del moderno concetto di nuove città sostenibili e palazzi capaci di smaltire una quantità pari o superiore dell’anidride carbonica impiegata dai loro impianti d’energia inerenti. Così come appare l’appositamente denominata “The Valley”, nell’idea di partenza un vero e proprio bosco verticale ornato da molteplici giardini e piante, attentamente scelte in base all’esposizione nei confronti della luce solare nell’intricato dedalo di balconi ed elementi architettonici a sbalzo. Un risultato largamente perseguibile grazie al significativo apporto degli strumenti digitali e simulativi impiegati dallo studio in fase progettuale, non meno indispensabili per creare l’inventario dell’elevato numero di componenti realizzati su misura e materiali specifici utilizzati per dare una forma al surreale miraggio urbano. Una chiara dimostrazione di quello che parrebbe essere diventata oggi l’architettura di più alto profilo, sebbene come spesso capiti ai margini di simili creazioni d’avanguardia, le opinioni dei commentatori possano divergere con enfasi particolarmente intensa…

Questa silenziosa passeggiata tra forme quasi surrealiste ricorda da vicino i video simili reperibili online per il complesso Brutalista londinese del Barbican. Tanto da far augurare spontaneamente, negli anni a venire, un simile successo culturale per la struttura costruita in Olanda.

Creato come complesso d’edifici dalla funzionalità mista, con residenze, negozi ed uffici, The Valley vorrebbe rappresentare anche e soprattutto un nuovo tipo di spazio ibrido tra pubblico e privato, con buona parte dei suoi piani inferiori liberamente accessibili al pubblico mediante l’impiego di una serie di scalinate largamente definibili come escheriane, posizionate sia all’interno che l’esterno dell’edificio. Mentre largamente consigliabile è l’impiego dell’ascensore per raggiungere lo sky bar situato all’ultimo piano della torre più alta, direttamente dall’atrio del grande magazzino di rappresentanza dell’importante marchio italiano d’arredamento Malteni, in corrispondenza del piano terra sottostante. Tra questi due punti estremi, dislocati tramite un sistema d’indirizzi non particolarmente facile da decifrare, un letterale groviglio interconnesso di uffici e appartamenti a partire dall’ottavo piano a salire, in cui non ci sono due spazi totalmente identici, in un trionfo dell’imprevedibilità ed assenza di ripetizione del modulo all’interno del canone dell’architettura post-modernista. Sebbene l’ultima opera di Winy Maas e colleghi si spinga ancora oltre, esulando dal più puro catalogo delle forme platoniche, verso quella che potremmo definire come un’improbabile ed inconoscibile fantasia surrealista. Il che non può prescindere come dicevamo dal tipo di critiche già incontrate dalla MVRDV per le sue opere precedenti come il Marble Arch Mound, insolita attrazione temporanea configuratasi nella città di Londra a guisa di una collina trapezoidale e spazio per eventi, rimossa dopo meno di un anno e definita a più riprese “la peggiore attrazione” di tutta la capitale inglese. Immancabilmente citata, assieme al catalogo delle sue impressioni a caldo, nell’articolo risalente alla prima presentazione dell’edificio nell’ormai remoto 2016, scritto dal celebre critico Mark Minkjan per il suo blog/podcast Failed Architecture, da intendersi come un commento ad ampio spettro su quale possa essere il ruolo del creativo nel moderno mercato del rinnovamento cittadino, talvolta assunto più che altro al fine di “vestire” o “abbellire” la proposta dell’ennesimo colosso di acciaio e cemento, con buona pace di chi vorrebbe un ambiente metropolitano edificato maggiormente a misura d’uomo. Ed alcune delle sue critiche appaiono oggi profetiche, come quella relativa alla natura abbagliante della principale facciata a fronte strada del complesso, capace di accecare l’osservatore situato in basso impedendogli di ammirare come merita la forma quasi scultorea dell’innovativo complesso di edifici. Così come sarebbe difficile non condividere, almeno in parte, l’esplicita critica nei confronti della presunta connotazione ecologica della Valle, la cui impronta carbonifera nel quotidiano degna di celebrazione non andrebbe certamente subordinata al copioso consumo di prezioso ossigeno operato in fase di fabbricazione e risultante dalla lunga sussistenza del suo colossale cantiere.
Tutti appunti, molto evidentemente, di un autore sfiduciato dalle logiche della cultura delle immagini, in cui un bel rendering può aprire la strada all’ottenimento di permessi e lasciapassare largamente al di fuori della convenzione generalista, sebbene appaia invece smentita l’ipotesi secondo cui il prodotto finale avrebbe dovuto finire per realizzarsi in modo “molto diverso” dall’originale presentazione comunitaria. Come osservabile oggi partire dalla recente inaugurazione alla fine di settembre, con parecchi mesi di ritardo a causa del tempo perso durante l’era del Covid, quando il completamento di un nuovo stupefacente edificio autorale in cui trasferirsi appariva come l’ultima preoccupazione della società globalizzata nel suo complesso. Ma come rinunciarvi, adesso?

L’utilizzo copioso di materiali di pregio come il marmo in ogni rifinitura degli edifici costituenti dona al Valley un’aspetto di prestigio sconfinante nel vero e proprio lusso, in diversi dei suoi locali ed ambienti interni. Molto evidentemente, non siamo innanzi a una struttura alla portata di qualsiasi tasca.

Con appartamenti proposti al pubblico quasi esclusivamente in affitto, l’ultima e più prestigiosa proprietà di EDGE si conferma quindi a pieno titolo come uno degli edifici più affascinanti e al tempo stesso prestigiosi del suo paese, se non l’intero contesto europeo. Offrendo un approccio alternativo al futuro idealizzato di un mondo in cui casa e lavoro non debbano per forza essere drasticamente distanti tra loro, permettendo il recupero delle comunità di quartiere ed una produttiva convivenza coi propri vicini. Per non parlare dello spazio riservato nelle torri al cosiddetto Sapiens, uno spazio museale con annessa scuola e laboratorio, dedicato ai giovani direttamente interessati alle ultime innovazioni in campo scientifico e che vorrebbero, in futuro, offrire il proprio diretto contributo. Un’ultima e imprevista concessione, alla straordinaria polivalenza di quella che lo stesso autore ci ha tenuto a definire a più riprese come “città nella città”, con affinità apprezzabile ai progetti fantascientifici d’ipotetiche colonie o arcologie costruite fuori dagli spazi familiari di questo nostro piccolo pianeta. Quasi come se la torre centrale, riconfigurandosi nei giochi di luce che costantemente la circondano, potesse un giorno decollare all’improvviso, riuscendo a battere sul tempo l’ennesimo problematico velivolo spaziale prodotto dalla Nasa statunitense. Giacché ogni cosa è possibile nel regno della fantasia e c’è ben poco che possa stimolare la nostra mente ad esplorarlo con maggiore predisposizione, di uno spazio visitabile configurato sulla base di valori tutt’altro che acquisiti. Fuori dalla galassia della banalità e dentro un buco nero di fantastico e trasformativo entusiasmo. La vera natura imprescindibile di quella vita di frontiera, che tanto spesso abbiamo scelto di chiamare Avanguardia.

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