Personaggio d’importanza mondiale all’inizio del 1900, per la sua capacità d’anticipare e dare forma a molti aspetti estetici del Modernismo, il grande architetto di Glasgow, Charles Rennie Mackintosh fu un geniale maestro nella definizione degli spazi e l’integrazione di correnti provenienti dall’antichità con considerazioni dell’ergonomia e utilitarismo che iniziava a prendere una forma verso la fine della sua Era. Interessato alle nuove soluzioni e l’evoluzione tecnologica delle metodologie di costruzione, tuttavia, commise almeno un significativo errore a un punto di svolta nella sua carriera. Come chiaramente esemplificato dalla maniera in cui, già nel primo anno dopo il suo completamento nel 1904, la servitù della casa sulla collina di Helensburgh, nell’area costiera di Argyll and Bute, avevano iniziato a collocare secchi in punti strategici nel sottotetto, dovendo fare i conti con significative infiltrazioni d’acqua. Questo a causa dell’utilizzo al posto della calce tradizionale in quel clima, come copertura impermeabilizzante delle pareti domestiche, l’innovativo e “avveniristico” cemento di Portland, tutt’altro che perfettamente resistente alle intemperie senza l’utilizzo di trattamenti e vernici che sarebbero state create verso la metà del secolo successivo. Il che, attraverso gli anni, avrebbe portato l’edificio a fessurarsi ed impregnarsi fino al punto di esser prossimo ad un solo secolo di distanza, in una similitudine particolarmente calzante, a dissolversi “come un’aspirina effervescente in un bicchier d’acqua”. Soluzione possibile numero uno: coprirlo per 10 anni con un’impalcatura protettiva nei confronti della pioggia, prima di procedere a ricoprirne completamente l’esterno con soluzioni di natura più efficace. Soluzione numero due…
Lo strano edificio metallico sorge dal 2019 inquadrato nella verde campagna delle Isole, con la forma chiaramente riconoscibile di una serra o altro caseggiato di contenimento. Ed in effetti si era pensato, inizialmente, di crearlo completamente in vetro, al fine di favorire la visibilità continuativa della casa prossima al danneggiamento irrecuperabile, finché nel progetto non venne coinvolto lo studio di architettura londinese Carmody Groarke, a sua volta pronto a coinvolgere la compagnia tedesca specializzata proMesh GmbH, produttrice di un particolare tipo di materiali. Quello molto spesso associato, sorprendentemente, alle panoplie da combattimento di epoca medievale, costituito da una lunga serie di anelli strettamente interconnessi e intrecciati saldamente tra loro. Una vera e propria cotta di maglia, in altri termini, o per essere maggiormente precisi il più grande pannello ininterrotto di tale lavorazione mai posto in essere nel corso dell’intera storia dell’uomo, per un totale di 2.700 metri quadri. Soluzione non propriamente economica, visto il costo complessivo di 4,5 milioni di sterline pagati principalmente dal National Trust di Scozia, benché risolutivo sotto diversi punti di vista, poiché capace di fermare fino al 90% di pioggia mentre continua a permettere il passaggio dell’aria e degli insetti impollinatori delle piante situate all’interno. Risultando inoltre molto più resistente di una rete in materiali plastici e molto più semplice da riparare senza che restino segni visibili dell’intervento. Ma soprattutto risultando dotata di una capacità inerente di affascinare ed attirare l’attenzione, che sarebbero senz’altro piaciute all’originale creatore della magione…
Creata come molto più di un semplice ausilio al restauro, la “scatola” di Helensburgh si presenta dunque dotata delle caratteristiche di un vero e proprio museo all’aria aperta, con tanto di passerelle disposte lungo l’intero perimetro della sua struttura, concepite per permettere l’osservazione diretta della casa di Mackintosh da angolazioni inimmaginabili persino per lo stesso architetto. Così come appare nel corso del video esplicativo mostrato in apertura, del celebre youtuber Tom Scott, con l’illusione persistente che possa trattarsi di un semplice modellino in scala ridotta, dimenticando temporaneamente l’altezza effettiva di ben tre piani dell’edificio contenuto all’interno. Di quella che fu creata, all’epoca, da un giovane ma già famoso creativo su commissione del facoltoso editore Walter Blackie, rimasto colpito dalle notevoli capacità del genio di Glasgow nel superare alcuni stilemi ormai stanchi ma considerati insuperabili dell’architettura di epoca vittoriana. Secondo i crismi del nascente stile Art Nouveau inglese, ma anche sulla base di una sua particolare visione del mondo, che lo poneva in diretta opposizione con il neoclassicismo e tutto il mondo che vi ruotava attorno. “Idee nuove per tempi nuovi” è riportato aver quindi affermato costui, almeno una decade prima del completamento della casa della collina, grosso modo contemporanea alla costruzione multifase di quello che viene largamente considerato il suo capolavoro: l’edificio più iconico (purtroppo andato a fuoco due volte) della Glasgow School of Art. La cui sagoma vagamente avveniristica, capace di richiamarsi alla severità dello stile baronale scozzese ma con un riflettersi decisamente modernista di forma e funzionalità, corrispondeva ad una serie di ambienti interni attentamente calibrati sulle necessità della famiglia del committente, in cui ogni minimo dettaglio fino ai fiori da posizionare al centro dei tavoli era stato definito dalla mente creativa dell’architetto. Con decisi richiami ed influenze sorprendenti, tra cui quella giapponese, oltre all’aspetto fortemente ornato e naturalistico che sarebbe diventato un capo saldo dell’intero nascente periodo Liberty, incluse pareti decorate con il suo marchio di fabbrica, la rosa stilizzata, e raffigurazioni artistiche della figura umana quali la “principessa addormentata” sopra il camino del salotto, o le due “donne esili” in corrispondenza della testiera della stanza da letto principale. In quello che viene convenzionalmente definito come un connubio unico tra elementi del mondo femminile e quello maschile, particolarmente raro in un’epoca in cui ancora si credeva dovessero restare attentamente separati l’uno dall’altro.
Il nome della soluzione tecnologica impiegata per proteggere l’insostituibile edifico durante la decade a venire è dunque del tipo Alphamesh 12.0, decisamente più massiccio e resistente del tipo di maglia utilizzata al giorno d’oggi per i guanti dei macellai, che nel video di Tom Scott viene definito dalla responsabile del sito come “interamente tessuto a mano”. Il che risulta in effetti alquanto difficile da immaginare visto il costo finale, quando si dovrebbe calcolare circa 150 anelli l’ora moltiplicati per 200.000, ovvero circa 130 persone che lavorano 8 ore al giorno per un periodo intero di 9 mesi. L’utilizzo di un qualche tipo di macchinario industriale per la creazione di una serie di riquadri di grandi dimensioni., successivamente attaccati tra di loro manualmente, risulta perciò altamente probabile, se non l’unica effettivamente corrispondente alla realtà. Quale sia stata effettivamente la metodologia selezionata, d’altra parte, poco importa. Purché serva effettivamente allo scopo, di riuscire a preservare un bene insostituibile nonché prezioso.
Lo stesso che avrebbero potuto dire tante generazioni di guerrieri, pronti a fare affidamento all’ingegno dei propri armieri! Poiché non c’è corazza più flessibile e funzionale di quella creata dall’unione modulare di una lunga serie d’elementi… Inanellati saldamente, deviando facilmente un colpo vibrato di taglio, così come il flusso impietoso e inarrestabile dell’acqua piovana.