La fiabesca torre della birra, edificio più surreale della Baviera

La cittadina tedesca di Arlensberg, situata a circa 30 Km da Regensburg, ha molte attrattive storiche e culturali: lo splendente monastero carmelita di Klosterkirche, con l’altare riccamente dipinto e ricoperto d’ornamenti dorati; il centro cittadino simile al modello perfetto di un centro abitato nello stile tradizionale mitteleuropeo, con casette dipinte di tenui color pastello e punteggiate d’ordinate finestrelle quadrate; l’imponente Magazzino del Duca (Herzogskasten) titano premoderno candido e perfettamente logico, quanto i calcoli del grande filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz; la torre sconclusionata alta 35 metri, situata esteriormente alla convergenza delle Mille e una Notte, Gaudì ed un Luna Park americano, costituita da tre segmenti l’uno più imprevedibile dell’altro: un primo “stadio” fatto di mattoni, sormontato da effettivi alberi viventi, una parete cilindrica azzurra con la scala a chiocciola punteggiata da aperture panoramiche e sezioni esterne vagamente simili a boccali di cristallo bavarese e infine, l’empirea sala di una letterale cipolla d’oro, che si avvicina con la sua imponenza alla versione trasformata di un minareto mediorientale. Voglio dire, difficilmente il committente Leonhard Salleck, uno dei due padroni e direttori della rinomata azienda produttrice di birra Kuchlbauer che si trova oggi all’ombra dell’improbabile edificio, avrebbe potuto aspettarsi un risultato granché diverso, nel momento in cui convinse a disegnare l’opera l’artista austriaco ed architetto noto al mondo come “Reame Pacifico delle Cento Acque” ovvero Hundertwasser, una delle personalità più eclettiche, imprevedibili e ammirate del Novecento. Colui che, del suo rifiuto del razionalismo modernista era giunto a fare una bandiera e una dichiarazione programmatica, all’ingresso nel campo della progettazione di spazi abitativi a partire dall’inizio degli anni ’50, quando era già un celebre pittore surrealista, psicologico ed ecologista (o nella sua personale terminologia, transautomatista) all’età di soli 22 anni. “La linea retta era un tempo l’agognato simbolo della Casata Reale” scriveva Friedrich, al secolo Stowasser, nel suo Manifesto della Muffa del 1958 “Mentre oggi, qualsiasi idiota ne possiede centinaia anche soltanto negli oggetti che occupano le sue tasche, come un umile rasoio per fare la barba.”
Che ovviamente lui portava lunga e selvaggia, come ribelle era il rapporto con il mondo accademico e critici d’arte, che spesso lo criticavano per l’evidente intento di rottura con i canoni espressivi ed estetici dei suoi insigni predecessori. Puro genio ed altrettanto assoluta sregolatezza, furono così le linee guida operative, di un autore che credeva fortemente nel principio di autodeterminazione e libertà espressiva in ogni circostanza, contro le nozioni imposte dell’alto di quello che doveva essere Giusto e Responsabile nei crismi progettuali di un edificio. E bisogna ammettere che in questa sua creazione portata a termine soltanto 9 anni dopo il suo decesso sopravvenuto nell’anno 2000, l’architetto che ne ha ereditato il mandato Peter Pelikan si è dimostrato capace di dar piena soddisfazione ai crismi operativi del maestro, realizzando per quanto possibile la sua inimmaginabile visione originaria. Nonostante gli adattamenti e le limitazioni imposte dall’ente per i Beni Culturali bavarese, che ha chiesto ed ottenuto una significativa riduzione delle dimensioni per un tale punto di riferimento, originariamente concepito per raggiungere gli ancor più notevoli 70 metri. Eppure nonostante questo, altrettanto magnifico e del tutto degno di essere visitato…

Un’altra creazione di Hundertwasser destinata ad essere costruita dopo la sua morte è il Centro Artistico Māori di Wairau, con inaugurazione prevista entro la fine del 2020. L’edificio, con un prato ed alberi sul tetto, conterrà molti dei temi espressivi del grande architetto, tra cui le pareti variopinte e l’alta torre con cipolla decorativa.

La Kuchlbauer-Turm, per come si presenta sulle guide turistiche e gli album fotografici della regione, è stata quindi concepita per rappresentare fin da subito un potente ausilio pubblicitario per la birreria e se possibile, un vero e proprio simbolo della cittadina che la ospita, con i suoi appena 14.000 abitanti. Tra i quali non mancarono, assai prevedibilmente, le proteste e i malcontenti per un così caratteristico edificio, destinate tuttavia a smorzarsi non appena poterono beneficiare dell’aumento del turismo causato dall’opera di una tanto rinomata personalità creativa. La visita della torre inizia quindi con il pagamento di un ragionevole biglietto di 15-20 euro (che vuoi che sia!) per accedere al museo del birrificio situato al piano terra, con nani animatronici, alambicchi ed altri strumenti d’epoca d’alto interesse, oltre ai vecchi cartelli e logotipi della rinomata compagnia Kuchlbauer. Si accede non senza una certa meraviglia, quindi, alla sala con la straordinaria collezione di boccali rari e commemorativi messa assieme dal Sig. Salleck, che avrebbe dovuto originariamente trovare collocazione nella grande cipolla in cima alla torre di Hundertwasser, poi spostata per ragioni non del tutto chiare. Il che conduce gli affascinati turisti, senza falla, fino all’ingresso dei variopinti bagni dell’edificio, in realtà anch’essi parte irrinunciabile della visita, vista l’importanza che l’artista riservava a un tale ambiente, da lui considerati luoghi sacri in cui l’umanità restituiva un’importante parte di se stessa alla natura. Ma è soltanto terminata questa sosta, che le cose iniziano a farsi davvero interessanti, mentre s’inizia la ripida salita nella scala a chiocciola verso la sommità della Kuchlbauer-Turm. Per una serie di piani che lasciano gradualmente l’area concettuale dello spazio espositivo per entrare sempre più nettamente in quella del puro mondo onirico, con mattonelle sconnesse, pareti curvilinee; finestre diseguali e parapetti degni di un cartone animato disneyano; è ad un terzo dell’ascesa, a questo punto, che si fa l’incontro con gli “inquilini albero”, le piante ad alto fusto che Hundertwasser riteneva dovessero sempre trovare posto all’interno di qualsiasi struttura degna di questo nome. É quindi al quarto giro di una simile avventura nel regno dei sogni, che il visitatore accede al vasto ambiente della cipolla superiore, con le sue finestre tonde simili a quelle di un sottomarino e le pareti di un brillante blu cobalto, ricoperte di figure vegetali create con frammenti di specchi. Una comoda panca e alcune sedie, in colorazione rigorosamente pendant, invitano a una breve sosta, per meditare sulla natura della condizione umana e lo scopo ultimo dell’esistenza (o bersi un bel boccale di birra).
Resta indubbio, tutto considerato, che la torre da lui originariamente disegnata e poi modificata dopo la sua morte sarebbe piaciuta all’artista austriaco, che verso l’ultimo periodo della sua vita e carriera si era ormai trasferito in Nuova Zelanda, dove aveva dedicato le proprie non indifferenti risorse finanziarie nella creazione di una tenuta autosufficiente all’interno della valle di Kaurinui. Senza abbandonare, d’altra parte, i crismi operativi ed i principi che erano stati alla base della sua visione d’artista, giungendo a costruire una famosa casa con bottiglie di plastica riciclate ed il notevole edificio, per il vicino villaggio di Kawakawa, di una toilette pubblica, concepita come un vero e proprio monumento all’anti-razionalismo, che oggi viene inaspettatamente visitata (ed utilizzata) da migliaia di turisti ogni anno. Tutto questo mentre proponeva, in maniera del tutto spontanea, una nuova “bandiera alternativa” per il suo paese d’adozione, ispirata alla rappresentazione Māori della spirale formata dal rametto della selce argentea (Alsophila dealbata) simbolo dell’infinto, la rinascita e l’incomparabile magnificenza della natura.

I bagni di Kawakawa, completati nel 1999, furono l’ultima opera dell’artista prima della sua dipartita durante un viaggio in mare, all’età di 71 anni. Si tratta della sua unica creazione completata nell’Emisfero Meridionale, appropriatamente caratterizzata dall’integrazione di alberi e altre forme di vegetazione locale.

“Quando dipingo, immagino la mia opera accanto a un albero o una pianta. Se riesco a pensare, anche soltanto per un attimo, di aver creato qualcosa di altrettanto bello, allora so che il mio tempo è stato speso bene”. L’artista Reame Pacifico delle Cento Acque era straordinariamente coerente nell’applicazione dei suoi principi e canoni estetici, al punto da raggiungere la mentalità di un vero e proprio radicale. Nel suo manifesto sull’architettura dove predicava il “diritto alla finestra” per gli abitanti di un edificio, consistente nel poter dipingere a piacimento la facciata dello stesso entro l’intera area raggiungibile con la massima estensione delle braccia, continuava affermando: “Tutti dovrebbero progettare e costruire la loro stessa casa. Se quest’ultima dovesse crollare, per incompetenza ingegneristica, essi potranno apprendere dai propri errori e far meglio la volta successiva.” Una visione a suo modo basata su una sorta di Bene implicito del mondo fisico e la mente umana, proprio per questo non dissimile dalla visione utopistica della più pura ed assoluta anarchia. Verso l’ottenimento della quale, dopo tutto, qualche compromesso può essere accettato, a patto che l’intento resti chiaro ed evidente ad ogni curva dell’irto sentiero. Fino sopra l’alta scala a chiocciola, di un’alta torre bavarese.

Tra gli edifici più famosi e riconoscibili, va senz’altro citato il discusso Hundertwasserhaus, il complesso di appartamenti “pazzi” costruito nel 1979 in centro a Vienna, con l’architetto Joseph Krawina come collaboratore. A cui l’artista austriaco scelse di collaborare senza chiedere alcun compenso, godendo della sola consapevolezza di “Aver evitato che qualcosa di brutto finisse per occupare lo stesso spazio urbano”.

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