Pessimismo: essere del tutto preparati costituisce, o per lo meno dovrebbe costituire, uno dei pilastri portanti del credo operativo dell’ingegnere. Considerare ogni possibile evenienza, presente o futura, che potrebbe rivelarsi un ostacolo alla fruizione delle opere che lo coinvolgono o in merito alle quali è stato chiamato ad esprimere una precisa valutazione. Ciò che risulta spesso particolarmente difficile, tuttavia, è mettersi nei panni letterali delle future generazioni, e con questo intendo chi dovrà fruirne a 50, 100 oppure 150 anni di distanza, quando non soltanto l’usura progressiva dei singoli materiali costituenti, bensì l’intero contesto ambientale d’implementazione potrebbe facilmente risultare assai diverso, se non addirittura irriconoscibile rispetto allo stato attuale. Ed è proprio questa la prima, specifica problematica presentata in questo video da Daniel Rodger, esperto tecnico del settore nonché figura posta a capo della Jeremy Benn Pacific (JBP) recente divisione australiana, con sede a Brisbane, di una delle più importanti aziende britanniche di consulenza per la risoluzione di problemi di natura idrica, oceanica o marina. Lui che in maniche di camicia, rigorosamente lunghe, sembra intento in apertura a mettersi a giocare con dell’acqua colorata, con le stesse attitudini o finalità di un bambino. Ma sarebbe un errore, dubitare del valore della sua dimostrazione, proprio in funzione di una tale osservazione: poiché la mente particolarmente giovane, come sappiamo, possiede una naturale inclinazione alla curiosità che vuole dimostrare, molto spesso, ciò che noi tendiamo a dare per scontato. Per giungere piuttosto, qualche imprevista volta, alla prova inconfutabile che in molti, fino ad oggi, si erano sbagliati.
Così questa non è una semplice bacinella o acquario in perspex (o plexiglass che dir si voglia) bensì ciò che in gergo viene definito wave tank, grazie all’aggiunta di un sistema motorizzato in grado di generare un moto ondoso che comincia da una delle sue due estremità contrapposte. Mentre all’altra trova posto, con un minimo di fantasia, la versione più o meno riconoscibile di una “spiaggia” ovvero un piccolo declivio, corrispondente in senso metaforico a una costa spesso oggetto della furia incontenibile degli elementi. Ciò che egli procede a dimostrare, nel segmento estremamente educativo ed utile a schiarirci un po’ le idee, è cosa succede una volta che un convenzionale muro protettivo, rigorosamente in scala, viene posto all’apice di un tale punto particolarmente delicato, poco prima dell’artificiale creazione di una ragionevole “tempesta” in tale ambiente controllato. Il che comporta, irrimediabilmente, la tracimazione di una piccola quantità d’acqua nel recipiente di raccolta dietro la struttura costiera, conseguentemente raccolta dal dimostratore con un semplice bicchiere. “Ma osservate cosa avviene” afferma quindi Mr. Rodger “Nel momento in cui rimuoviamo la nostra spiaggia, come potrebbe avvenire anche naturalmente dopo circa un secolo di onde, vento e mutamenti di marea.” Quindi all’accessione reiterata della macchina e suo successivo spegnimento dopo lo stesso numero di onde, lascia almeno in parte che siano le immagini, a parlare: poiché il muro, ormai compatto ed elevato sopra il livello del “mare” sembra questa volta non servire (quasi) a nulla, come evidenziato dal momento in cui estraendo lo stesso bicchiere, questo viene ritrovato pieno per più di metà. 50 millilitri d’acqua potenzialmente corrispondenti, in una posizione veritiera, a cinquanta tonnellate l’ora, il minuto, addirittura la manciata di secondi, gettate dalla furia dell’ambiente a disgregare dalle fondamenta gli stessi elementi costituenti del vivere contemporaneo e della società civile. Una situazione certamente inaccettabile, che ci richiama ad un livello superiore nelle nostre aspettative…
Ora il direttore della JBP, come si usa fare in simili dimostrazioni, passa a quella che potremmo definire la soluzione, per così dire, tradizionale: ovvero l’aggiunta di una rampa costruita nella maggior parte dei casi col cemento, che possa in qualche modo ricostituire la forma originaria della spiaggia, agendo come ausilio alla barriera verticale precedentemente disposta. Ebbene è proprio a questo punto, che le cose iniziano a farsi tragicamente interessanti: poiché contrariamente a quello che potrebbe dettarci l’intuito, la presenza di una barriera semi-sommersa, meno estesa e necessariamente più ripida di quella pre-esistente finisce nei fatti per agire come una sorta di rampa, in grado di aiutare l’acqua a compiere l’estremo balzo verso l’entroterra totalmente impreparato. Un bicchiere totalmente pieno, ovvero 125 ml, sono quindi il risultato di un simile fraintendimento. Un risultato totalmente capovolto con l’aggiunta di un diverso tipo di elemento posto alla sommità della barriera, di un muro concavo con la forma estrusa di una “C”, all’interno della quale l’acqua dell’oceano tempestoso viene instradata come in una sorta di rampa, compiendo ad ogni assalto un balzo nella direzione più proficua per chi più di ogni altro è situato in condizione tale da temerla: indietro tutta, proprio lì da dove era provenuta. Il risultato: un bicchierino totalmente vuoto, ragion per cui, al fine di riuscire a migliorare ulteriormente il risultato della sua simulazione, Rodger deve necessariamente togliere un così eccelso elemento, ritornando a una versione alternativa della semplice, quanto inefficace rampa con parete verticale. La quale, nella nuova prova, viene sostituita da una scalinata, per varcar la quale l’onda dovrà necessariamente superare l’effetto frenante di una multipla serie d’alzate, ciascuna egualmente valida nello smorzare e scongiurare l’originale potenza di quel vettore. Il risultato è superiore a quello della rampa tradizione, sebbene non di molto: 100 ml contro i 125 precedenti. Il che lascia intendere, ad ogni modo, come sotto il muro curvo trovi una miglior collocazione questo particolare stile di barriera. Nella parte finale del video, quindi, si passa alla dimostrazione di due soluzioni alternative, entrambe comunque dotate di aspetti problematici degni di essere tenuti in considerazione: la prima è la disposizione di una certa quantità di massi tenuti assieme da una rete, o in alternativa specifici elementi in cemento studiati per incastrarsi tra di loro. Il cui effetto risulta essere decisamente valido (appena 5 ml di tracimazione) anche se, specifica il formatore, queste renderanno del tutto inutilizzabile la spiaggia o l’antistante lungomare. Alternativa di gran lunga preferibile, del resto, risulta essere una barriera trapezoidale da lui disposta sotto il “mare” a una distanza di sicurezza dalla costa, in grado di smorzare in modo preventivo la potenza delle onde dirette verso quest’ultima. Un approccio comunque estremamente difficile, e costoso, da implementare in una situazione su scala reale, come la maggior parte delle costruzioni architettoniche d’altura.
Molti migliaia di dollari, quindi, vengono spesi ogni anno nell’elaborazione di complessi software per la dimostrazione ipotetica dei più complessi scenari di pericolo o disastri naturali su ampia scala. Progetti seguiti, almeno in parte, anche dalle multiple divisioni della Jeremy Benn, come esemplificato dal loro terzo video più guardato su YouTube, di un interessante sistema digitale di realtà aumentata per lo studio dell’effetto d’interazione tra due fiumi in via di straripamento. Eppure tutto questo appare in qualche modo subordinato, a ciò che può essere semplicemente dimostrato grazie a una semplice bacinella, un motorino elettrico e l’applicazione pratica di un sufficiente dose d’ingegno umano. Quasi come se il semplice gioco con dell’acqua colorata, ancora una volta, si dimostrasse come l’unico sentiero veramente valido verso l’acquisizione di uno stato di consapevolezza ulteriore. Conoscenza nei fatti valida, nello specifico caso, a salvare delle vite o ingenti e preziosissime risorse necessarie alla ricostruzione, dopo l’ennesima onda anomala o terribile tsunami.
Difficile, in conseguenza di ciò, non provare almeno un transitorio fascino per il campo di studio multiforme che può essere nei fatti definita l’ingegneria civile. Perché anche se simili scelte, probabilmente, non saremo mai chiamati a compierle in prima persona, potremmo usare simili nozioni per capire chi è nei fatti meritevole della nostra fiducia. E dove trasferirci a vivere, nell’eventualità pur sempre possibile del futuro acquisto di una casa al mare.