La rara “pietra danzante” che si piega come fosse una piadina romagnola

In molti ricorderanno attraverso il corso delle proprie esperienze cinematografiche degli anni ’80 il personaggio del Mordiroccia, descritto dallo scrittore originale del romanzo Michael Ende come un gigante dalla pelle coriacea, capace di trarre sostentamento tramite il consumo di materia non organica, frantumata entusiasticamente tra i suoi denti simili a possenti mole. Ultimo della sua specie (come potrebbe essere altrimenti) l’essere descrive quindi all’eroe protagonista della narrazione il gusto posseduto dai diversi minerali: la spontanea dolcezza dello zinco, il sapore salato del rame, l’intenso umami posseduto dal ferro. E le consistenze tanto varie e sconosciute agli uomini, numerose quanto quelle di pietanze distribuite sulle nostre tavole dell’ora di cena. Ma se quel titano gentile, ci viene dato ad intendere, avesse mai voluto masticare, masticare qualche cosa per un tempo superiore al singolo minuto, si sarebbe ritrovato a fare i conti con un grave ostacolo procedurale: l’effettiva mancanza, a beneficio delle proprie proporzioni e preferenze alimentari, di un qualcosa che potesse fungere in maniera simile ad un chewing gum. Un gran peccato, per il regno di Fantàsia, quando si considera come la nostra prevedibile e familiare Terra ospiti tra i suoi depositi geologici qualcosa in grado di servire esattamente a tale scopo. Una cosa che parrebbe sfuggire alla definizione stesso del concetto espresso da tale parola, eppure per sua formazione, provenienza e composizione, giammai potrebbe essere null’altro di apprezzabile dall’esperienza sensibile di chi usa gli strumenti della ragione. “A-arenaria?” Pare quasi di sentire il rombo che riecheggia in mezzo alla palude, mentre mette in bocca il singolare dono proveniente dall’altro lato del portale: “Quanto dura il suo sapore, oh, quanto dura!”
Più che dura ed abbastanza, potremmo affermare con particolare presenza di spirito e d’intenti. Poiché qui di effettivamente durevole, c’è soltanto quello; mentre il pegno mineralogico del nostro affetto, con tanta magniloquenza offerta all’imponente ospite della serata, oscilla a trema, si piega e non mantiene la sua forma. Ovvero tutto quello che ti aspetteresti da un qualcosa di derivazione vivente, ovvero scheletro o residuo di esseri già fagocitati dal furioso Nulla delle circostanze. Niente di più sbagliato… Di questo! Griderebbe al nostro indirizzo il Marchese di Lavradio, vicerè di Rio de Janeiro, che per primo nel 1780 scoprì e descrisse le notevoli caratteristiche di un tale materiale ritrovato presso il monte Itacolumi, nella porzione meridionale della regione sudamericana di Minas Gerais. Mancando di assegnarli un nome ma annotando la presenza di una certa quantità di talco, clorite e mica, all’interno di un corpo mineralogico a base di arenaria fissile trovata nel sostrato coloniale. E soprattutto la capacità niente meno che sorprendente, da parte di un simile soggetto sperimentale, di piegarsi per l’effetto di una sollecitazione ragionevole, o persino sotto il suo stesso peso, una volta tagliata in strisce abbastanza sottili. Una dote per di più isotropica, ovvero indipendente da una singola direzione della grana, bensì in grado di verificarsi lungo l’estendersi dell’oggetto in qualsivoglia senso, proprio come si trattasse di un foglio di carta o tappetino per il bagno ammorbidito dall’acqua furiouscita da una vasca eccessivamente piena. Pur mancando dei moderni metodi d’analisi petrologica, e mancando di assegnargli un nome più specifico di quello di “arenaria flessibile” il Marchese avrebbe quindi trovato una conferma delle sue ricerche nei rapporti di Mr R.D. Oldham, direttore dell’Istituto Geologico dell’India, capace di trovare un tipo di pietra molto simile presso le pendici del monte Kaliana, vicino Dadri a Jhind. Con la sola significativa differenza di una grande quantità osservabile di quarzite nella sua composizione, tuttavia capace di accrescere, piuttosto che diminuire, le sue implicite capacità di flessione. Un effettivo appellativo utilizzabile per il concetto di tale misteriosa materia sarebbe quindi giunto dal mondo accademico europeo, alla consegna dei campioni in sede al geologo Von Eschwege, che scelse di chiamarla semplicemente itacolumite, dal suo luogo di provenienza originale in Brasile. Fu questo l’inizio, di un lungo periodo d’approfondimento ed introspezione…

Il vero geometra della pietra osserva sempre i suoi righelli da ogni angolazione di cui può disporre. Poiché un singolo errore di partenza, nella maggior parte dei casi, può inficiare l’inclinazione dell’intera montagna!

La prima ipotesi approntata dagli scienziati quindi, che l’itacolumite potesse acquisire la sua capacità di flettersi dalla composizione ricca di sostanze inusuali, fu presto smentita dalle prove di laboratorio. Questo perché non era la quantità d’intrusioni in mica & co. a determinare l’effettiva flessibilità di un singolo pezzo, quanto un fattore differente non altrettanto facile da individuare. L’ipotesi tentata per primo dallo stesso Oldham, fu quindi che il processo di formazione della roccia contribuisse alle sue qualità inusitate, forse in funzione degli spazi interstiziali tra un recesso e l’altro che potessero risultare osservabili ad occhio nudo. La sua idea, successivamente rivelatosi corretta, era quindi che minuscole intrusioni di quello che lui chiamava il “fango feldspatico” avessero contribuito a rafforzare i legami mineralogici tra i diversi componenti, portando la solidità della pietra a configurarsi in una maniera tanto notevole e priva di precedenti. Tale da diminuire, progressivamente, al prosciugamento e spontaneo drenaggio di tale “sostanza”, così da accrescere in maniera esponenziale il bizzarro comportamento elastico della pietra nel suo complesso.
Ciò che all’epoca non fu possibile approfondire, per mancanza di strumenti tecnologici adeguati, fu d’altronde l’effettiva struttura del reticolo cristallino vantato da questa straordinaria varietà d’arenaria, un processo approfondito tramite l’applicazione della fotomicrografia a partire dagli anni ’70 ed ’80. Momento valido a far scaturire la durevole percezione che il suddetto potesse vantare una distribuzione molto funzionale alla faccenda oggetto di studio, con una ripetizione modulare di strutture concatenate in grado di muoversi indipendentemente l’una dall’altra. Confermando e giustificando la maniera, già largamente nota, in cui le intrusioni di talco, quarzo e clorite contenute nella pietra potessero essere facilmente rimosse grattandone la superficie, generando una polvere il cui contenuto mostrava anche delle piccolissime quantità d’oro. Ma la vera utilità dell’itacolumite sarebbe apparsa chiaramente soltanto attraverso la decade successiva, quando la sua presenza iniziò ad essere impiegata con provata efficacia come punto di riferimento allo scopo d’individuare giacimenti diamantiferi soprattutto in Brasile, lasciando intendere una formazione della stessa in condizioni di profondità e pressione notevoli, previo trasferimento in superficie grazie ai processi di circolazione della materia magmatica terrestre. Una presa di coscienza valida a definire i meriti di un vero e proprio tesoro, raro per un’ottima ragione, e non soltanto per mancanza di nozioni pregresse in materia.
Oggi custodita in plurimi campioni distribuiti presso i musei geologici e le università di mezzo mondo, la “pietra danzante”, come viene chiamata soprattutto in India, è frequente protagonista d’affascinanti dimostrazioni dal notevole potenziale virale internettiano, fatte rimbalzare periodicamente da un lato all’altro dei social e della blogosfera. Funzionale, a tal proposito, il più recente ritrovamento di giacimenti facilmente raggiungibili nella Georgia statunitense e nella confinante Carolina del Nord, sebbene la raccolta libera senza disporre di particolari permessi sia oggi diventata proibita, causa l’alta desiderabilità di un così bizzarro oggetto, capace d’indurre ad una caccia assolutamente non sostenibile e lesiva per il suo ambiente naturale d’appartenenza. Ciononostante facilmente acquistabili su Internet, soprattutto tramite l’importazione diretta dall’India, piccoli pezzi d’itacolumite possono costare poco più di qualche decina di euro (più il costo di spedizione) giungendo a costituire un reperto irrinunciabile per qualsiasi collezione geologica degna di questo nome. Si consiglia ad ogni modo di prestare il giusto grado di cautela nell’imprescindibile “prova di piegamento” poiché ogni pietra simile ha un punto massimo difficile da prevedere, oltre il quale tenderà a spezzarsi con uno scricchiolamento altamente caratteristico e la conseguente proiezione di frammenti in tutte le possibili direzioni. Non proprio un esito desiderabile, né in alcun modo, salutare…

Così come non tutte le ciambelle riescono col buco, è possibile che la sottil focaccia tipica del centro-nord Italia non riesca propriamente a chiudersi formando l’iconica mezzaluna. Come quando ha avuto il tempo d’invecchiare sotto terra, per molte migliaia di secoli e il passaggio silenzioso degli Eoni.

L’immaginazione degli autori del fantastico ha costituito attraverso gli anni un importante trampolino di lancio per le nuove generazioni di studiosi e scienziati, che nonostante questo ci si aspetta lascino simili interessi “improduttivi” al raggiungimento di un’età sufficientemente elevata. Proprio in funzione di ciò, determinati libri e film per bambini o giovani adulti finiscono per plasmare il corso del progresso in maniera ancor più duratura di qualsiasi classico della letteratura imposto tramite la via maestra dell’educazione scolastica, mera imposizione da parte di linee guida ormai fossilizzate e prive di una vera e propria flessibilità generazionale. Poiché di giganti in grado di mangiare pietre potremo anche non conoscerne (ancora) nessuno, ma le possibilità restano letteralmente Infinite… E una cosa, tra le altre, spicca dalle nebbie primordiali: che vi siano più incertezze e strani oggetti fuori dal contesto nella vastità dell’Universo ancora da sperimentare, di quante riesca a descriverne qualsiasi creativo del nostro azzurro e piccolissimo pianeta. Ma questa non è certo un’ottima ragione per smettere di provarci. Anzi!

Lascia un commento