La furia del serpente d’acciaio che si abbatte sul ponte della portaerei

La scena mostrata, piuttosto famosa in particolari recessi di Internet, è di quelle che fanno trattenere il fiato per svariati secondi, poco prima di tirare un fragoroso (e prematuro!) sospiro di sollievo. Si tratta della registrazione militare in bianco e nero, che sembra quasi risalire alle grandi guerre del passato ma risulta in effetti datata al 3/18/2016, di un aereo AWACS per la guerra elettronica E-2 Hawkeye in corso di atterraggio sulla portaerei USS Dwight D. Eisenhower alias Possente Ike. Siamo durante le esercitazioni per la certificazione dei piloti e tutto sembrerebbe rientrare nella routine, se non che riesce facile notare come al momento del contatto con il ponte di volo, per qualche ragione, il velivolo non sembri ridurre abbastanza la sua velocità. Così che lentamente, inesorabilmente, continua a procedere fino al bordo anteriore del vascello. Ma si capisce fin troppo presto che non si tratta della manovra definita in gergo bolter, in cui un atterraggio viene annullato all’ultimo momento per girare attorno e fare un secondo tentativo quando, terminato lo spazio disponibile, sparisce al di sotto dello spazio prospettico per prima la fusoliera, prontamente seguìta dalle ali ed infine la coda dell’aereo: “Orribile!” Facciamo in tempo a pensare, dando già per spacciati i cinque membri dell’equipaggio del pesante bimotore a turboelica, destinato ad inabissarsi tra le onde dell’Atlantico in attesa. Quando in un attimo di trionfo inatteso, l’aereo riemerge nel centro esatto dell’inquadratura: poiché gioia e giubilo, la prontezza del pilota, il suo puntuale addestramento, la rapidità dei motori nell’erogare una spinta sufficiente, gli hanno permesso di reagire abbastanza in fretta e salvare il mezzo da un terribile destino. Una chiara e gloriosa dimostrazione, quindi, della formidabile efficienza dimostrata in ogni aspetto della macchina bellica statunitense? Da un certo punto di vista. Eppure non del tutto. Quando si considera perché, in effetti, il disastro stesse per accedere e le conseguenze inaspettate di una simile, rara, contingenza, che non traspaiono in alcun modo nella testimonianza pubblicata orgogliosamente online.
Oh, snap!” Afferma una famosa esclamazione anglofona, spontanea e infantile, intesa a sostituire un’imprecazione con l’utilizzo della più innocente onomatopea da cartone animato. Ma snap è anche il verbo multiuso che indica tra le altre cose, nel dizionario, la rottura improvvisa di un qualcosa di resistente, flessibile ed oblungo, oppure il colpo violento ed intenzionale di una frusta. Vedi ad esempio, uno dei cavi di arresto presenti sul ponte delle moderne portaerei. Disposti parallelamente e nel senso trasversale in gruppi di tre o quattro, come nel caso della Ike, al fine d’intervenire sul tragitto di un pesante bolide di metallo intento a rientrare previo completamento della sua missione. Salvo imprevisti o incidenti la cui portata, a seconda dei casi, può anche risultare drammaticamente grave. E di espletivi alquanto coloriti devono averne risuonati parecchi in quel dannato giorno, dal ponte fino all’isola di comando della portaerei. Quando tutti gli sguardi andarono a concentrarsi istantaneamente verso la fonte dell’istantaneo e fragoroso rumore, comprendendo istantaneamente la portata terribile del disastro. Otto persone colpite dalle due metà del cavo spezzato giacevano a terra con vari livelli di gravi ferite, ossa rotte ed in un caso almeno un trauma cranico di grave entità. Sembrava, a tutti gli effetti, che la nave avesse appena subìto un attacco nemico…

L’E-2 Hawkeye è uno degli aerei più ingombranti sul ponte delle portaerei Nimitz, con la sua apertura alare di 25 metri e il pesante “fungo” radar sulla sommità della fusoliera. É per questo particolarmente importante che il pilota riesca ad agganciare il secondo o terzo cavo di arresto, piuttosto che l’ultimo, troppo vicino al bordo della nave.

La problematica dicotomia delle super-portaerei statunitensi viene pienamente espressa nei due detti che da sempre le accompagnano nell’ethos conoscitivo della marina militare contemporanea: poiché “Non esiste un luogo più sicuro in cui trovarsi durante una guerra nucleare tattica globale.” ma nello stesso tempo “Il ponte di volo è il posto di lavoro più pericoloso al mondo.” Una multiforme e soltanto in apparenza caotica bailamme d’individui identificati dal colore della loro giacca, che contribuiscono secondo gradi di responsabilità definiti ai diversi aspetti delle complesse operazioni di volo, senza nessun bisogno di comunicare a voce: i meccanici in abito marrone, incaricati di verificare l’appropriato mantenimento degli aerei; e quelli verdi, responsabili dei sistemi di lancio e recupero degli aerei. Gli addetti al munizionamento, con la loro tenuta molto appropriatamente rossa; i fornitori di carburante scherzosamente soprannominati “chicchi d’uva” proprio perché vestiti di un viola acceso. E poi ci sono loro, le cosiddette giacche gialle, che figurano nella maggior parte delle fotografie più spettacolari di tale ambito, data la mansione di dirigere e veicolare il traffico, sullo stretto ed affollato ambiente di questi veri e propri aeroporti viaggianti. Coloro che, proprio per la vicinanza estrema con la subdola fonte del pericolo, finiscono per pagare il prezzo più alto nei casi affini a quello mostrato nel tristemente celebre video del 2016.
Un sistema di arresto moderno, ben diverso dal semplice sistema con sacchetti di sabbia originariamente inventato dall’aviatore americano Eugene Ely nel 1911, è in realtà una macchina complessa formata da tre elementi: il pendant o cavo di aggancio per l’uncino presente in coda all’aereo, una fune metallica in acciaio con l’anima in canapa sollevata dal suolo mediante una serie di archetti di metallo, collegata alle due estremità con anelli di zinco fuso saldati ai rispettivi purchase cables, arrotolati e fatti scomparire all’interno del cuore del meccanismo. Stiamo qui parlando, in effetti, del “motore” idraulico con valvola di run-out regolabile, capace di garantire lo sfogo dell’inerzia dell’atterraggio in maniera graduale e costante, indipendentemente dal peso e la spinta totale dell’aereo. Tanto che il tipico caccia a reazione, come l’F-18, è famosamente solito atterrare con la manopola della potenza al massimo, proprio al fine di poter effettuare una manovra di decollo rapido nel caso in cui il cavo dovesse spezzarsi o altre situazioni altrettanto gravi (una misura quest’ultima, comunque non necessaria per un velivolo a turboelica come l’Hawkeye, capace di far salire a regime i motori in una letterale frazione di secondo).
Secondo la prassi operativa della marina statunitense, quindi, il componente soggetto a maggior usura del pendant dovrebbe essere sostituito regolarmente ogni 125 atterraggi, benché l’ispezione regolare sia comunque consigliabile, per intervenire nei casi in cui dovesse dimostrarsi urgentemente necessario. Eventualità che purtroppo, qualche rara volta, manca di verificarsi in maniera idonea, portando al tipo di conseguenze associate al significativo incidente della USS “Ike” Eisenhower.

In un’altra famosa scena di cable snap ai danni di un F-18 Hornet, verificatosi sulla USS Ronald Reagan durante esercitazioni in mare aperto nel 2003, il pilota riuscì a sopravvivere soltanto grazie al sapiente uso del seggiolino eiettabile. Mentre nel video è possibile osservare gli straordinari riflessi della giacca gialla, che si salva le gambe saltando non una, bensì due volte il colpo di frusta letale del cavo.

Dopo i pochi attimi necessari a comprendere cosa, esattamente, fosse successo, la precisa serie di gesti memorizzati da ogni membro delle squadre mediche di soccorso presenti sulla nave ha quindi provveduto a portare in infermeria i feriti, facendo il possibile per aiutarli prima di procedere alla fase successiva trasporto a terra, assolutamente necessario nei casi più gravi. Il bilancio, in quel tragico 18 marzo, fu senz’altro terrificante: il portale Navy Times parla di parecchie ossa rotte, un ferito grave alla testa ed il caso di un membro dell’equipaggio che ha “quasi perso una gamba” dovendo sottoporsi a numerose operazioni e lunghi trattamenti farmacologici per il dolore.
Nonostante in definitiva, occorre comunque sottolinearlo, le cose siano andate relativamente bene. Una delle prime nozioni inculcate alle giacche gialle durante i corsi di certificazione operativa, secondo le testimonianze riportate più volte online, è che un cavo di arresto tagliato possieda la forza sufficiente a decapitare o tagliare a metà un uomo, entrambe eventualità (a quanto sembra) pienamente documentate nella storia pregressa della marina. Ma la narrazione storica di tali spiacevoli ed irrimediabili fallimenti, come potrete facilmente immaginare, risulta piuttosto nebulosa. Soprattutto rispetto ad un caso come quello dell’Hawkeye del 2016, culminante con le medaglie al valore giustamente attribuite al pilota Matthew Halliwell ed il suo vice Kellen Smith, entrambi con una probabile sfolgorante carriera all’orizzonte nella marina militare degli Stati Uniti. Dove ogni errore umano è l’occasione di apprendere nuovi approcci e gradi apprezzabili di cautela. Benché gli incidenti, talvolta, tendano ad avere un prezzo estremamente significativo.

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