Era il 6 settembre scorso quando sulla pagina Facebook gestita dall’Ente Parchi, dedicata alla famosissima caverna di Carlsbad, la foto incriminante faceva la sua comparsa: vermiglio e scintillante, accartocciato tra le ombre, l’incarto minaccioso con il logo che preannuncia condanna: sono diventato Doritos, il distruttore dei mondi. Chi l’aveva lasciato, e perché? Com’era potuto succedere che i ranger non lo avessero notato? Ma soprattutto, da quanto tempo era rimasto incustodito, nelle profondità sacrali della prima e più importante cattedrale sotto l’esteriore scorza delle praterie soprastanti?
Ogni complesso di caverne americano è strettamente associato alla vicenda del suo scopritore, il portatore della torcia, depositario ed erede dello spirito di frontiera. Giovani avventurieri come l’allora teenager Jim White, successivamente autore di numerosi testi autobiografici e l’emblematica citazione “[Nella vita] Voglio essere un cowboy”. Ed è perciò che in quel giorno fatidico, nel 1898, all’età di soli 16 anni si trovava ai margini dei territori del cosiddetto XXX (poi Washington) Ranch in New Mexico, quando vide all’orizzonte il chiaro segno di un incendio boschivo: una coltre ombrosa nel tardo pomeriggio, che ritagliava forme geometriche nel cielo. Poiché dopo tutto, cos’altro avrebbe potuto essere? Non ci sono vulcani tra le Guadalupe Mountains. Soltanto qualche ora dopo, avendo camminato lungamente in direzione dell’anomalia, trovò inaspettatamente una voragine verso le viscere della Terra. Allorché comprese che quanto aveva scorto dovevano essere dei pipistrelli. Ed in una quantità tale da tradire l’esistenza di un dedalo sotterraneo dalle dimensioni letteralmente spropositate. Giorni dopo, non settimane, il dado era tratto: armato di una rudimentale lanterna, una scala di corda fabbricata artigianalmente e (si dice) accompagnato da un ragazzo messicano che non avrebbe mai menzionato per nome nei suoi racconti, Jim camminò all’interno di uno stretto passaggio fino al raggiungimento di qualcosa di assolutamente immenso: la cosiddetta Stanza Grande o Sala dei Giganti, un ambiente tra le stalattiti largo 191 metri e lungo 78. Semplicemente una delle più ampie camere sotterranee degli Stati Uniti e del mondo, riecheggiante del richiamo di milioni di chirotteri nascosti tra gli anfratti. Il senso di maestosità era notevole, ma ancor più i propositi imprenditoriali latenti. Così anni dopo il giovane cowboy avrebbe coinvolto l’imprenditore locale Abijah Long, con l’intento particolarmente redditizio di estrarre, per rivenderlo come fertilizzante, lo spesso strato di guano dei mammiferi volanti. Ma neppure queste due menti unite avrebbero potuto immaginare il successo e la fama turistica internazionale che, soltanto mezzo secolo dopo, si sarebbe guadagnata questa caverna…
imprevisti
Fuoco e fiamme dai grimori del maestro dei go-kart a reazione
La tromba del Paradiso, produttrice di una melodia immortale, usata per dar fiato agli spartiti del saliente Inferno… Nel giorno della fine o momento storico di un nuovo Inizio. Ma non è ottone questo materiale bensì acciaio inossidabile ma soprattutto, resistente alle alte temperature. Poiché altrimenti, come spiegheresti le palesi aspettative del barbuto Creatore alle origini di una simile allusione speculativa… Colui che ha posto il segno della sua firma e mantenuto saldamente in pugno il timone. Nonostante le possenti vibrazioni intente a renderlo del tutto incontrollabile attraverso le spericolate contingenze dei nostri trascorsi. Sempre più sfocato, invisibile sulla distanza! Mentre chi è rimasto a piedi continuava a chiedersi, piccato: “Ma chi DIAVOLO è costui?” Maddox, Robert Maddox. Folle architetto di momento adrenalinici basati sulla forza incontenibile del gas propano, kerosene e/o altre tipologie di carburante opportunamente incendiario. Soprattutto quando incanalato, tramite un sistema d’iniezione, dentro un tubo di metallo rispondente ad un progetto estremamente preciso. Quello brevettato, per la prima volta, nella Francia dell’inizio del secolo scorso da parte di Victor De Karavodine, ma messo in pratica famosamente quasi quattro decadi dopo, dal Reichsluftfahrtministerium che voleva far volare più lontano i propri missili a lunga gittata. In quella che sarebbe diventata celebre come bomba “V1” perfetta per colpire Londra e gli altri obiettivi più invitanti all’altro lato della Manica inglese. Arma di distruzione destinata ad essere associata a due cose: il proprio basso costo d’implementazione, pari a circa il 4% di uno dei successivi e più potenti ordigni V2; lo strano suono vibrante prodotto per l’intero tragitto e poco prima del devastante impatto. La cui indescrivibile ancorché roboante persistenza, possiamo ad oggi ben conoscere dal contributo videografico della qui presente celebrità internettiana. Quindici anni, in questi lidi, rappresentano d’altronde un’eternità e ciò è vero soprattutto quando sembrano essere stati trascorsi a sperimentare, perfezionare e produrre successive iterazioni della stessa melodia tecnologica di riferimento. Assieme all’apparato, relativamente semplice, capace di dar fiato a quell’inconfondibile essenza. Poiché stiamo parlando, per chi ancora non l’avesse capito, dell’oggetto noto come motore a pulsogetto, uno dei più semplici e primitivi degli impianti a reazione. Capace di rappresentare ben più che una semplice dimostrazione d’intenti, ma giungendo piuttosto a sviluppare una quantità di cavalli significativa, a discapito di consumi non trascurabili, vibrazioni ed un frastuono ragionevolmente udibile a chilometri di distanza. La cui storia delle applicazioni contemporanee è una costellazione di modellini, apparecchi fatti in casa e strabilianti meraviglie dalle inusitate circostanze d’impiego. Proprio come, per l’appunto, le improbabili follie veicolari di quest’uomo…
La furia del serpente d’acciaio che si abbatte sul ponte della portaerei
La scena mostrata, piuttosto famosa in particolari recessi di Internet, è di quelle che fanno trattenere il fiato per svariati secondi, poco prima di tirare un fragoroso (e prematuro!) sospiro di sollievo. Si tratta della registrazione militare in bianco e nero, che sembra quasi risalire alle grandi guerre del passato ma risulta in effetti datata al 3/18/2016, di un aereo AWACS per la guerra elettronica E-2 Hawkeye in corso di atterraggio sulla portaerei USS Dwight D. Eisenhower alias Possente Ike. Siamo durante le esercitazioni per la certificazione dei piloti e tutto sembrerebbe rientrare nella routine, se non che riesce facile notare come al momento del contatto con il ponte di volo, per qualche ragione, il velivolo non sembri ridurre abbastanza la sua velocità. Così che lentamente, inesorabilmente, continua a procedere fino al bordo anteriore del vascello. Ma si capisce fin troppo presto che non si tratta della manovra definita in gergo bolter, in cui un atterraggio viene annullato all’ultimo momento per girare attorno e fare un secondo tentativo quando, terminato lo spazio disponibile, sparisce al di sotto dello spazio prospettico per prima la fusoliera, prontamente seguìta dalle ali ed infine la coda dell’aereo: “Orribile!” Facciamo in tempo a pensare, dando già per spacciati i cinque membri dell’equipaggio del pesante bimotore a turboelica, destinato ad inabissarsi tra le onde dell’Atlantico in attesa. Quando in un attimo di trionfo inatteso, l’aereo riemerge nel centro esatto dell’inquadratura: poiché gioia e giubilo, la prontezza del pilota, il suo puntuale addestramento, la rapidità dei motori nell’erogare una spinta sufficiente, gli hanno permesso di reagire abbastanza in fretta e salvare il mezzo da un terribile destino. Una chiara e gloriosa dimostrazione, quindi, della formidabile efficienza dimostrata in ogni aspetto della macchina bellica statunitense? Da un certo punto di vista. Eppure non del tutto. Quando si considera perché, in effetti, il disastro stesse per accedere e le conseguenze inaspettate di una simile, rara, contingenza, che non traspaiono in alcun modo nella testimonianza pubblicata orgogliosamente online.
“Oh, snap!” Afferma una famosa esclamazione anglofona, spontanea e infantile, intesa a sostituire un’imprecazione con l’utilizzo della più innocente onomatopea da cartone animato. Ma snap è anche il verbo multiuso che indica tra le altre cose, nel dizionario, la rottura improvvisa di un qualcosa di resistente, flessibile ed oblungo, oppure il colpo violento ed intenzionale di una frusta. Vedi ad esempio, uno dei cavi di arresto presenti sul ponte delle moderne portaerei. Disposti parallelamente e nel senso trasversale in gruppi di tre o quattro, come nel caso della Ike, al fine d’intervenire sul tragitto di un pesante bolide di metallo intento a rientrare previo completamento della sua missione. Salvo imprevisti o incidenti la cui portata, a seconda dei casi, può anche risultare drammaticamente grave. E di espletivi alquanto coloriti devono averne risuonati parecchi in quel dannato giorno, dal ponte fino all’isola di comando della portaerei. Quando tutti gli sguardi andarono a concentrarsi istantaneamente verso la fonte dell’istantaneo e fragoroso rumore, comprendendo istantaneamente la portata terribile del disastro. Otto persone colpite dalle due metà del cavo spezzato giacevano a terra con vari livelli di gravi ferite, ossa rotte ed in un caso almeno un trauma cranico di grave entità. Sembrava, a tutti gli effetti, che la nave avesse appena subìto un attacco nemico…
Il problema indissolubile del fucile da guerra francese MAS-36
Il soldato di ventura Bob Denard, mercenario e oppositore dei governi rivoluzionari che si erano formati nell’intero corso degli anni ’70 nelle colonie disseminate attraverso gli ampi spazi della franco-sfera d’influenza, incluso l’arcipelago delle Comore, guardò il suo ufficiale di controllo sul campo, responsabile delle operazioni di riconquista di quest’isola “imprendibile” di Anjouan, mentre l’odore di cordite cessava lentamente di permeare l’aria. “Lo stratagemma di far saltare in aria la vecchia quercia non ha funzionato, signore. I fratelli sono ancora operativi e pronti a far fuoco.” Già, due giovani cecchini in grado di guadagnare fama attraverso i numerosi colpi di stato che si erano succeduti a partire dalla dichiarazione d’indipendenza operata dal governo socialista nel 1976 e che ora, collocati in una posizione strategica in cima a quel fatale promontorio e sparando a turno con un singolo fucile, rischiavano di rallentare sufficientemente la conquista delle postazioni d’artiglieria sul fronte nord dell’isola. Le quali a loro volta, continuando a far rumore, avrebbero impedito lo sbarco delle truppe nella capitale, inficiando una sconfitta tempestiva delle truppe lealiste del governo dell’ex Ministro della Difesa, recentemente auto-dichiaratosi Presidente, Ali Soilih. “Capisco. Quanti anni hai detto che avevano? Diciannove?” Quindici secondi di meditazione “Cessa il fuoco di sbarramento per un tempo di due ore. Credo di aver avuto un’idea.” Chiamando quindi il suo soldato più imponente e muscoloso, gli chiese di operare uno strano gesto: prendere un fucile d’ordinanza in dotazione all’esercito di liberazione, il vecchio e onnipresente attrezzo con otturatore girevole-scorrevole risalente alla seconda guerra mondiale MAS-36, e lanciarlo all’indirizzo dei ragazzi in posizione fortificata. Con un foglio d’istruzioni in dotazione sul “corretto impiego” della spaventosa baionetta cruciforme in abbinamento all’arma. Quindi fece mettere da parte i suoi soldati, per l’intero pomeriggio a seguire. Verso l’ora del tramonto, organizzando una sortita, confermò le sue più rosee speranze: nessun nemico sembrava più sparare verso il sentiero. Facendo il proprio ingresso nella postazione dei cecchini, dopo essersi sollevato dalla posizione del leopardo, Denard scrutò quindi entro la fossa, confermando i suoi sospetti: due ottimi fucili frutto di tecnologia francese con le canne unite tra di loro, perfettamente uniti in una sorta d’inservibile doppia clava. Nessuna traccia dei fratelli, costretti necessariamente a ritirarsi. “Avanti, mon vaillant dell’orgogliosa Legione. La GLORIA attende gli audaci!”
Il Fusil à répétition 7 mm 5 M. 36, spesso abbreviato alla sua sola cifra d’identificazione finale, è uno di quegli oggetti la cui semplice esistenza, per alcuni versi, sfida la logica e la convenzione. Prodotto per ben 15 anni a partire dal 1937, ben prima di trasformarsi in modo tardivo nell’arma d’ordinanza delle forze armate delle isole Comore, aveva infatti la caratteristica di funzionare grazie al tradizionale metodo di sparo, dipendente dall’inserimento manuale nella canna di ciascun singolo proiettile, mediante l’utilizzo ben preciso del succitato otturatore. Perché mai produrre, dunque, alle soglie ormai della seconda guerra mondiale con le sue armi semi-automatiche e a ripetizione, un dispositivo tanto anacronistico nel suo funzionamento? E sopratutto, perché farlo in quelli che sarebbero diventati a un certo punto oltre un milione d’esemplari, facendone il principale fucile usato contro le forze d’invasione tedesche ma non solo, fino alle guerre successive d’Indocina, Algeria e la crisi del canale di Suez? La risposta, come spesso avviene, è che nulla di tutto questo era stato in effetti pianificato. Quando gli ufficiali responsabili decretarono di rinnovare l’ormai antica dotazione dei fucili Berthier e Lebel in dotazione alle forze armate, residuati della grande guerra, mentre i paesi del resto d’Europa erano già in avanzata fase di preparazione per quanto di tragico stava per accadere, alla soglia del quarto decennio del ‘900. Mediante lo schieramento, rigorosamente temporaneo, di un vettore di transizione, destinato successivamente a andare in dotazione ai riservisti, che fosse economico, rapido da produrre mentre venivano perfezionati i progetti di armi migliori e soprattutto adatto a chi non avesse ricevuto un lungo addestramento preparatorio. E fu così, che nacque una tale arma. Se non che come sappiamo anche troppo bene, nel 1940 i generali al servizio di Hitler avevano già terminato di aggirare agilmente la solidissima ed inutile linea dei forti d Maginot. E fu allora, che il MAS-36 si ritrovò letteralmente in prima linea, in mano a dei soldati che la guerra l’avevano immaginata solamente in potenza…