Si tratta di una storia ripetuta più volte nei trascorsi dell’aviazione americana, con un particolare senso di umiltà e reverenza nei confronti della possibilità di diventarne il prossimo protagonista. Come una sorta di monito, verso l’evenienza di commettere lo stesso errore per riuscire, auspicabilmente, a raccontarlo. Eppure nonostante ciò, illustrativa di un certo senso di giustificata fiducia, nei confronti dell’ingegneria applicata alla progettazione di un aeroplano eccellente. Affidabile e capace di cavarsela in svariate situazioni limite, come le svariate volte durante la guerra del Vietnam in cui un Vought F-8 Crusader ebbe modo di tornare alla base nonostante i danni riportati in combattimento. Oppure tutte quelle, ancor più deleterie, in cui il pilota di turno saltò a piè pari una delle voci che potremmo giudicare come Fondamentali nel novero della sua checklist di decollo. Qualcosa di assolutamente tangente, come “girare la manopola che controlla l’abbassamento delle ali”, ma soltanto al completamento delle suo tragitto tra i viali della base o sull’angusto ponte di una portaerei. E dopo tutto, come biasimarlo? Si tratta di un passaggio da compiere all’ultimo momento ed a tutti è capitato di distrarsi almeno una volta nello svolgimento delle proprie mansioni professionali. D’altra parte, sarebbe assolutamente lecito aspettarsi di andare incontro a conseguenze particolarmente deleterie in siffatte circostanze, non potendo far altro che eiettarsi con il seggiolino e una breve preghiera di poter assistere all’alba di un altro giorno. Se non che in almeno due casi celebri e documentati, il primo presso l’aeroporto di Capodichino a Napoli, ed il secondo nel campo di volo a Miramar, San Diego, gli eventi collegati a questo aereo ebbero modo di prendere una piega totalmente all’opposto. Col protagonista della vicenda non soltanto in grado di decollare agevolmente, nonostante la significativa riduzione della sua portanza ma persino manovrare (con qualche difficoltà) fino all’allineamento per il ritorno sulla pista. Ed appoggiare il carrello di un aereo sano e salvo nuovamente sul terreno, ringraziando lungamente la benevolenza degli Dei del cielo.
Ridondanza delle facoltà è per questo la parola d’ordine, nella particolare configurazione aerodinamica del velivolo notoriamente soprannominato come the last gunfighter, per il suo impiego ideale nell’intercettazione di nemici ad alta quota facendo uso primariamente dei cannoni automatici di bordo, quattro potenti Colt Mk 12 da 20 mm di calibro. Montati ai lati della fusoliera lunga ben 17 metri, ovvero abbastanza perché un atterraggio di tipo convenzionale rischiasse di urtare il suolo col motore situato nella parte posteriore, un singolo Pratt & Whitney J-57-P-12, poi sostituito con il più potente J-57-P-20. Ragione valida per l’inclusione tra le sue caratteristiche di un’originale accorgimento, consistente nella cosiddetta ala ad assetto variabile: un dispositivo idraulico capace di sollevarla ruotandola di esattamente 7 gradi. Abbastanza da aumentare la capacità di stare in aria a bassa velocità, ma anche e soprattutto massimizzare la visibilità per il pilota permettendo di tenere la cabina orientata verso il terreno. Non certo l’unica, né maggiormente degna di nota, tra le doti di questo bolide d’acciaio dal notevole successo operativo…
La storia del Vought F-8 Crusader ha inizio nel settembre del 1952, quando la Marina degli Stati Uniti, realizzando l’insufficiente capacità d’offesa delle mitragliatrici e cannoni utilizzati nei migliori aerei di cui poteva disporre in quel periodo, commissionò un appalto per la creazione di nuovo caccia multiruolo, che potesse raggiungere la velocità minima di 1,2 Mach a 30.000 piedi d’altitudine. Una chiamata cui risposte prontamente la compagnia di Nashville dai molti successi risalenti alla seconda guerra mondiale, vedi l’ineccepibile F4U Corsair, nonché l’atipico F7U Cutlass dell’immediata era post-bellica, con la sua configurazione priva di un impennaggio di coda. Per proporre questa volta un tipo di soluzione maggiormente convenzionale, che potesse dominare i cieli nel primo periodo della guerra fredda, grazie a doti prestazionali e potenza di fuoco superiori. La squadra incaricata di concepire il preliminare V-383 provvedette dunque, in aggiunta ai già citati quattro cannoni, ad includere due attacchi sotto le ali per il montaggio di altrettanti missili AIM-9 Sidewinder ed un lanciarazzi retraibile con 32 FFAR Mk-4 “Mighty Mouse” destinati ad essere successivamente rimossi per la poca affidabilità dell’arma e sostituiti con piloni ad Y per raddoppiare il numero dei missili a ricerca di calore. Strumenti, questi ultimi, le cui caratteristiche, poco dopo la metà del secolo scorso ancora venivano considerate secondarie a quella di posizionarsi in coda al nemico e inquadrarlo direttamente con il proprio reticolo di tiro, sebbene la situazione fosse più che mai incline a un repentino e inevitabile capovolgimento delle aspettative. Non che ciò fosse esattamente al centro dei pensieri del committente, quando la proposta fu approvata l’anno successivo a svantaggio dei rivali Grumman F-11 Tiger, McDonnell F3H Demon ed F-100 Super Sabre, basati su filosofie d’impiego sostanzialmente coincidenti sopra i campi di battaglia futuri. Destinati a concretizzarsi a pieno titolo entro la fine della decade, con l’accendersi del conflitto vietnamita e il conseguente coinvolgimento statunitense, quando il nuovo aereo approfonditamente testato e già detentore di svariati record prestazionali venne schierato nel 1965 con diversi squadroni a bordo di moderne portaerei. Come la USS Hancock, da cui ebbe origine il primo scontro aereo del conflitto, risultante nel danneggiamento di un F-8 Crusader pilotato dal tenente comandante Spence Thomas, che si dimostrò nonostante ciò capace di atterrare sano e salvo. Dando inizio ad una fama di notevole resilienza e versatilità del mezzo, anche rispetto al più diffuso F-4 Phantom II, tale da giustificare il detto “Quando hai finito i Crusader, hai finito i caccia”. Entro il termine del conflitto vietnamita, le vittorie aeree contro i MIG russi pilotati dai nord-vietnamiti sarebbero ammontate quindi a 19 per un totale di sole 3 sconfitte in combattimento (svariati altri velivoli furono persi in incidenti o bombardamenti) superiori a quelle di qualsiasi altro velivolo impiegato contestualmente. Questo nonostante, è importante notarlo, soltanto quattro nemici fossero stati effettivamente abbattuti mediante l’utilizzo dei cannoni, confermando ulteriormente se possibile la superiorità presente e futura dei missili a ricerca in qualsiasi tipo di conflitto dei cieli. Il comprovato successo nei test di volo e successivo impiego operativo aveva nel frattempo convinto la Francia ad ordinare 42 esemplari del Crusader, per l’utilizzo a bordo delle loro nuove portaerei Clemenceau e Foch, destinati a rimanere parzialmente operativi fino alle guerre in Yugoslavia e Kosovo dei tardi anni ’90.
Una delle mansioni maggiormente interessanti condotte dal Vought F-8 Crusader è tuttavia rintracciabile al di fuori delle missioni d’intercettazione, attacco al suolo o combattimento, come esemplificato dal successo della variante RF-8A priva di armamento e dotata di telecamera di bordo, utilizzata dall’inizio degli anni ’60 per catturare immagini delle operazioni in territorio nemico, inclusa l’isola caraibica di Cuba. Dove fu proprio il passaggio a bassa quota di questi aerei a rendere possibile la conferma dei lavori per l’installazione di silos per i missili intercontinentali a medio raggio da parte dei sovietici nel 1962, durante la situazione che portò il mondo in bilico sull’orlo della terza (ed ultima) guerra mondiale. Quando l’abilità e ricerca del pericolo da parte dei piloti permisero l’ottenimento delle circa 160.000 foto, utilizzate in tempo reale dagli organi presidenziali per elaborare un quadro generale delle circostanze, tali da condurre la crisi diplomatica fino all’unica risoluzione possibile, prima che potesse degenerare.
Un ulteriore marchio di riconoscimento, per l’aereo che restando in servizio anche in America fino al 1987 nel corpo dei Riservisti, sarebbe sopravvissuto ad ogni suo collega coevo dimostrando la capacità di assolvere perfettamente alla mansione per cui era stato concepito, anche nel caso d’inopportuni e problematici imprevisti… Molto più di quanto sia ragionevole aspettarsi per la maggior parte dei suoi insigni successori odierni. Perché in guerra tutto può realmente capitare, ma forse ancor più pericoloso, statisticamente, risulta essere il periodo dell’addestramento prima di entrare in azione (Vedi… Full-Metal Jacket?) Ed è per questo che apprezziamo grandemente nel saliente campo ogni velivolo che può essere chiamato, a pieno e meritato titolo, fool-proof.