La storia del Camerun raccontata da un ragno tra le spire del serpente sacro

Attraversando in macchina la città un tempo fortificata di Foumban, nell’entroterra settentrionale del Camerun, sarebbe difficile non notare almeno due notevoli edifici: il primo è il palazzo del grande sultano Ibrahim Njoya (1860-1933) costruito sul modello di uno chateu europeo a tre piani, con abbaini, due livelli di portici e diverse torri dalla forma a barile, un oggetto che chiunque sarebbe pronto a definire “fuori dal contesto” nel cuore dell’Africa Nera. Se non ci fosse ad appena una manciata di metri di distanza, a far da termine di paragone, la più improbabile struttura con la forma di un aracnide gigante, circondato da quelli che potrebbero sembrare ad un primo sguardo una coppia di serpenti. Ma che ad un’analisi più approfondita (e debita preparazione antropologica) si rivelano in effetti rappresentare il celebre Ngnwe peh tu, mitologica vipera a due teste che come Mfon Mbuembue, sovrano del XIX secolo che la pose nel proprio emblema, seppe combattere su due fronti allo stesso tempo, indifferente al numero e la possenza dei suoi nemici. Emblema contenente per l’appunto anche un ragno dalle dimensioni tutt’altro che indifferente, in grado di funzionare da tramite tra la terra e il cielo, grazie alla valenza mistica della sua ragnatela. Così le autorità nazionali possibilmente nella persona dell’attuale sultano Ibrahim Mbombo Njoya, hanno decretato in un momento imprecisato degli ultimi 10 anni (il museo veniva definito soltanto un progetto fino al recente 2016) di dare non soltanto forma fisica all’emblema reale, ma trasformarlo in una vera e propria struttura dotata di due porte da usare per custodire i molti tesori e testimonianze dell’articolata storia di questa dinastia. Simbolo dall’aspetto vagamente egizio che compare anche sul cancello della proprietà e ricorre in diverse circostanze, in quanto fondamentale punto d’incontro culturale dei popoli dell’antica capitale.
Re Ibrahim Mbouombouo Njoya, 17° sovrano di una lunga dinastia e restauratore di quanto era stato usurpato nei confronti dei discendenti di suo nonno, successivamente a una grave sconfitta in battaglia contro il popolo degli Nso, costituisce nello specifico una di quelle figure che accentrano su di se un importante periodo di rivalsa per il proprio popolo, con la creazione, tra le altre cose, di un moderno sistema di struttura sillabico della lingua Bamun, una macchina per macinare il grano e un nuovo tipo di religione, per la prima volta capace di coniugare elementi mutuati dal Cristianesimo e l’Islam, a cui si era convertito nel 1916. Essendosi quindi dichiarato amico delle autorità coloniali tedesche, fu lui ad impiegarne i soldati come alleati, per sconfiggere gli Nso e recuperare la testa di suo padre, un importante passaggio verso l’acquisizione e mantenimento di un adeguato grado d’egemonia nazionale. Senza mai abbandonare, tuttavia, quella che era stata l’identità originaria facente parte della sua educazione, arrivando a fare della sua Foumban un centro fondamentale delle arti e l’artigianato del Camerun, mentre accresceva sensibilmente la propria notevole collezione personale di opere e reperti. Al punto che, in epoca recente, l’importante destinazione turistica del suo palazzo, decorato con una statua equestre del sovrano, giudicò di dover disporre di una nuova area espositiva su un’area di 7300 metri quadri e un diametro della struttura principale stimabile sui 35, per cui la scelta estetica ricadde su un qualcosa di così straordinariamente d’impatto, da far pensare quasi subito una mente impreparata agli arredi architettonici di un Luna Park. Eppure sarebbe un errore attribuire una simile struttura, dal così profondo significato culturale, al solo bisogno di catturare l’attenzione dei visitatori…

Accattivante quanto un logo aziendale, l’emblema della dinastia Bamun si è trasformato in un vero e proprio brand moderno posto all’apice delle attrazioni del suo specifico contesto di appartenenza. Impossibile non trattenere il fiato, d’altronde, mentre si sale a bordo camminando sopra la “lingua” di un così notevole gruppo di creature…

Il Museo Reale di Foumban la cui struttura sembrerebbe contenere uno scheletro metallico interno, come testimoniato da un video piuttosto in bassa risoluzione registrato via drone durante la sua costruzione, trova ispirazione diretta dalla natura ed i veri animali che popolano il Camerun, grazie a uno stile ragionevolmente realistico mirato probabilmente a riprodurre una versione bicefala della vipera rinoceronte (Bitis nasicornis) e la tarantola rossa (Hysterocrates gigas) aracnide purtroppo piuttosto comune entro i confini di questa nazione africana. Esseri capaci d’instillare un certo grado d’imprescindibile fobia nella mente dei non iniziati ma accettando di essere “divorati” dai quali l’atterrito visitatore potrà essere trasportato attraverso gli oltre 7 secoli di storia del popolo Bamun. A partire dall’insediamento originario dell’etnia Tikar nella regione degli altipiani camerunensi, poco prima della fondazione del nuovo centro culturale Mfomben (l’attuale Foumban) dove lingua, cultura e religione vennero modificate per includere in parte quelle dei popoli localmente pre-esistenti. Incluso il matrimonio del sovrano assoluto con una quantità estremamente elevata di mogli, verso la creazione di una famiglia reale, e relativa corte, tanto affollata da arrivare a sfidare l’immaginazione. Attraverso una serie di ritratti postumi, dunque, è possibile conoscere il nome e l’aspetto delle successive generazioni di sovrani che mantenendo la pace in assenza di mire espansionistiche per diverse centinaia di anni, cambiarono quindi registro con la figura del decimo Mbun (re) Mbuembue, la già citata figura che scelse di farsi rappresentare dallo stemma totemico tutt’ora impiegato dai suoi discendenti, dopo aver difeso con successo il regno da un doppio tentativo d’invasione da parte dei guerrieri Fulani e Chamba. Fu quindi nel 1884 che il suo diretto discendente Nsangou, il padre di Njoya, venne sconfitto e ucciso dagli Nso, venendo succeduto dalla sua concubina Gbetnkom Ndo`mbue, in assenza di eredi disponibili presso il palazzo reale. Fu così che uno dei numerosi figli del re venne portato da un villaggio limitrofo, se non che costui, sorto al potere col nome di Mbetnkom, si rivelò essere un crudele e folle dittatore, che si dice fosse solito “far tagliare le gambe” a chiunque fosse dotato di una statura maggiore della sua. Dopo essere stato ucciso dalle sue guardie ribelli, quindi, fu un membro della corte di nome Ngouoh a governare per un breve periodo, dopo aver fatto uccidere il figlio di Mbetnkom, fino al suo esilio involontario ad opera dei dissidenti e il glorioso ritorno della dinastia originaria con re Njoya, successivamente rinominatosi sultano a causa della sua conversione all’Islam.
La maggior parte dei reperti custoditi nella pancia del grande ragno risalgono quindi al suo lungo e glorioso regno tra il 1883 e il 1931, durante cui ben sei officine di tintura vennero costruite nella sua capitale, favorendo l’importazione di tessuti di raffia dalle regioni di etnia Hausa, creando un tipo di stoffe impiegate per gli abiti dell’estremamente numerosa nobiltà Bamun. Il sultano, di suo conto, raggiunse all’apice del suo regno l’astronomica cifra di 600 mogli con una quantità stimata di 149-177 figli, rendendo nei fatti del tutto impossibile l’estinzione futura della sua dinastia. Altre meraviglie del museo, quindi, includono secondo le guide il manto piumato da usare durante l’investitura di ciascun nuovo sovrano, documenti scritti di suo pugno da Njoya nell’alfabeto che lui stesso aveva inventato, maschere da bufalo usate durante la riunione delle ngiri, le tradizionali società segrete dei prìncipi di Bamun, e un notevole boccale creato dal teschio di un qualche pregresso nemico della dinastia. A concludere la visita, in un’area posta dinnanzi all’ingresso del palazzo vero e proprio, una capanna di legno ospita nel frattempo un importante tamburo cerimoniale in pelli di animali, con una struttura in legno intagliato rappresentante, anch’essa, l’emblema della serpe bicefala con il ragno al centro.

Il palazzo del sultano, ornato con una statua dalle proporzioni non propriamente rinascimentali di questo importante personaggio storico e nazionale, trova la sua coerenza architettonica nella ricostruzione dei palazzi coloniali tedeschi, visitati dal committente durante un suo viaggio giovanile a Buéa, città del Camerun meridionale.

Edifici carichi di significato assumono, al di fuori del contesto occidentale, l’aspetto di animali mitologici in diversi e significativi casi: i poderosi elefanti indiani, le statue cave di Buddha, i draghi del Vietnam e della Thailandia. Ogni forma creata dalla potenza incalcolabile dell’immaginazione, del resto, offre un appiglio valido alla creazione d’identità simili, altrettanto meritorie d’essere celebrate.
Di palazzi come quello del sultano, in conclusione, ne esistono molti sia dentro che fuori l’Africa. Ma soltanto Foumban può vantare un doppio serpente velenoso con titanica tarantola in agguato tra le sue annodate spire. E a una simile visione potenzialmente infernale, collocata in questo preciso punto della storia umana, non sarebbe affatto facile negare un importante valenza cosmica ed immanente. Perché soltanto una cosa può attraversare i secoli senza venirne gradualmente consumata: l’inusitata cultura della memoria. E qualche volta, il terrore della natura…

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