Lo spettacolare tempio che costituisce la più grande struttura intagliata da un singolo blocco di basalto al mondo

C’è stata un’epoca, anche se risulta difficile crederci a posteriori, in cui il concetto di un luogo sacro non veniva necessariamente determinato dall’esclusione di ogni fede alternativa a quella considerata maggiormente imperativa o “corretta”. Un tempo in cui le alte mura di un tempio potevano rappresentare l’equivalente spirituale di un grande luogo d’incontro, come una piazza del mercato, basilica o anticamera del sincretismo di valori, concetti e sensibilità distanti. Un importante ruolo nell’istituzione di punti in comune, tra diverse fasce di popolazione o gruppi etnici anche geograficamente distanti. Come meta di pellegrinaggi e il tema di preghiere, storie o leggende, la cui diffusione trasversale avveniva ancora più rapidamente delle spezie o altri beni dal valore materiale largamente acclarato. Vedi le caverne asiatiche della regione del Gandhara, poste lungo il corso della Via della Seta e vedi anche il caso, fisicamente più imponente e per certi versi magnifico ma purtroppo meno conosciuto, del complesso indiano di Ellora, situato parallelamente ad una via commerciale di primaria importanza tra gli imperi storici della regione settentrionale e la parte più estrema del subcontinente, collegata tramite i suoi porti alle località dall’altro lato dell’Oceano Indiano. Un luogo composto da oltre 100 scavi scolpiti laboriosamente nell’affioramento basaltico del Deccan, celebre per la sua roccia stratificata ed altamente reattiva all’impatto degli scalpelli ed altri attrezzi similmente finalizzati. Un lavoro continuato complessivamente per parecchie dinastie ed almeno tre tipologie di devozione: induista, giainista e buddhista, come reso chiaro dalla coesistenza a pochi metri di distanza di soggetti scultorei e pitture parietali dedicate alle rispettive storie e leggende. Ma nessuno più magnifico, ed impressionante nel suo complesso, del gigantesco edificio formalmente numerato come “Caverna 16” ma che tutti continuano a chiamare, fin da tempo immemore, col nome storico di Kailashanatha o Tempio di Kailasa, la cui datazione precisa è una chimera inseguita ormai da molte generazioni di studiosi nonostante proporzioni superiori a quelle del Partenone di Atene: 84 x 47 metri e 33 di altezza. Creazione soltanto in apparenza architettonica, ovvero costruita da una pluralità di elementi sovrapposti, almeno finché avvicinandosi dal corso del viale non si scopre la fondamentale compattezza delle sue mura, quasi come fosse nata in modo pressoché spontaneo dal fianco delle pietrose colline retrostanti. Visione per certi versi supportata dall’origine leggendaria di questo luogo, che secondo le storie tramandate dalla gente del vicino insediamento di Ellora, sarebbe stato creato nel giro di soli 18 anni dopo un atto di preghiera e venerazione nei confronti dei naturali processi geologici della Terra. Richiesta sovrannaturale a seguito della quale, in base a dati chiaramente desumibili dall’osservazione dei risultati, le maestranze coinvolte avrebbero acquisito la capacità di rimuovere una media di 55 tonnellate di pietra al giorno, fino al gran totale di 200.000 del lavoro finito. Uno dei più grandi misteri, in altri termini, dell’ingegneria del mondo antico, ulteriormente connotato da una fondamentale domanda: dove, esattamente, gli antichi abitanti della regione avrebbero portato tutto questo materiale di risulta, che in tutti questi anni a nessuno è mai riuscito d’individuare? Un alone di mistero, in ultima analisi, accresciuto ulteriormente dalla mancanza di consuete dediche o datazioni ad almeno uno dei sovrani committenti della colossale meraviglia, fatta eccezione per un possibile riferimento indiretto su una placca di bronzo ritrovata nella città di Vadodara, nel non vicinissimo Gujarat. Che parla di un “tempio tanto magnifico da aver impressionato anche il suo stesso architetto” attribuito alla figura storica vissuta nell’ottavo secolo di re Krishna I…

Le misure di sicurezza presso il tempio di Kailasa sono relativamente elevate, in considerazione dell’interesse mostrato storicamente da diverse figure islamiche per la sua distruzione. Una tra tutte il sovrano Aurangzeb dell’Impero Mughal (1618-1707) che nella sua famosa campagna iconoclasta inviò ben 1.000 uomini nel tentativo di distruggere l’edificio. Fallendo miseramente, o almeno così si narra, di fronte alla protezione divina di Shiva in persona.

Siamo in un’epoca, dunque, in cui la nascente dinastia di Rashtrakuta stava espandendo drasticamente i propri territori, grazie dapprima alla guida illuminata ed altamente diplomatica del suo fondatore Dantidurga, alla cui morte era succeduto nel 756 d.C. lo zio paterno dopo un’importante vittoria militare contro l’ultimo sovrano dei Badami Chalukya, Kirtivarman II. Krishna I quindi, come molti dei dinasti che lo avevano preceduto, investì le sue considerevoli risorse finanziarie e di manodopera nel costruire un lascito ed acquisire crediti tramite la messa in opera di un importante luogo di culto. Ciò detto l’effettivo progetto condotto in tale epoca potrebbe aver costituito, nell’opinione di molti studiosi, un semplice rinnovamento o ampliamento di quanto precedentemente sussisteva in qualche forma primordiale e meno vasta, potenzialmente da parecchi secoli o millenni. C’è a tal proposito almeno una leggenda riportata nell’antica tradizione delle genti Marathi del Deccan riportata nel Katha-Kalapataru di Krishna Yajnavalki (c. 1470-1535), che collegherebbe il tempio di Kailasa ad una storia dinastica molto antecedente a quella dei Rashtrakuta. In cui si parla di un sovrano colpito da una grave malattia, la cui moglie aveva pregato ardentemente perché potesse rimettersi. Ed all’esaudimento della propria richiesta, aveva pronunciato il giuramento di mantenersi a digiuno finché non avesse visto lo shikhara (pinnacolo) di un nuovo tempio costruito al fine di ringraziare il Dio Ghrishneshwar (Shiva) presso il sito sacro di Ellora. Al che fu decretato dal consorte ritornato in salute che l’immensa struttura fosse costruita, contrariamente alla convenzione, dall’alto verso il basso e nell’unico modo che permettesse tale risultato: intagliandolo direttamente nel fianco della montagna. Una soluzione, d’altra parte, che possiamo giudicare meno ponderosa e complicata del portare i materiali necessari in-situ, benché resti certa la complessità del relativo smaltimento, ancora oggi rimasta largamente irrisolta. L’effettiva composizione del tempio dunque, concettualmente induista nella sua pianta rettangolare sebbene non priva di elementi presi in prestito da altri sistemi religiosi, costituisce una delle applicazioni più notevoli dell’architettura Dravidica importata dall’India del sud, con grandi gopura (portali monumentali) e vimana (torri riccamente ornate) disposti idealmente in un diagramma tangibile di quella che veniva ritenuta la più probabile configurazione dell’Universo, contenuta a sua volta nella forma ispiratrice del monte Kailasa o quello di Sumeru, massicci paesaggistici ritenuti tra i perni centrali dell’esistenza. Ottenendo una struttura complessivamente paragonabile a quella di un carro, “tirato” dal toro sacro Nandi, cavalcatura di Shiva, reso apprezzabile mediante la statua dedicatogli nella principale sala d’ingresso. Ed attraverso spazi di passaggio con notevoli sculture, raffiguranti divinità shivaite e visnuite, rispettivamente collegate a due delle figure principali della Trimurti, inframezzate da bassorilievi dedicati ai principali eventi dei due antichi poemi epici del Mahabharata e del Ramayana. Creazioni artistiche considerate oggi tra alcuni degli esempi più notevoli e meglio conservati dell’antica arte indiana, tra cui spicca in modo particolare una raffigurazione del demone Ravana che nel corso di una leggendaria battaglia tenta di sollevare sulle proprie spalle l’intero tempio di Kailasa, mentre Shiva lo ostacola sedendovi sopra assieme alla moglie Parvati. Una chiara dimostrazione della protezione divina associata al soggetto ed al tempo stesso contenitore di una tale opera, capace di costituire uno degli esempi più antichi di un metatesto auto-referenziale nella storia della scultura. Al di là della quale è situato il sancta-sanctorum con la grande scultura aniconica del lingam (ovoide fallico) all’interno di un’enorme sala col soffitto in pietra a sbalzo più esteso al mondo.

Le grotte di Ellora sono databili complessivamente tra il 600 ed il 1.000 d.C, sebbene resti largamente incerta la collocazione all’interno di tale periodo del più grande e notevole tempio del complesso. Di queste, 34 sono ancora visitabili dai pellegrini e costituiscono un importante simbolo del sincretismo religioso tipico del subcontinente indiano.

Molti sono, d’altra parte, gli aspetti ritenuti sovrannaturali ed inspiegabili del tempio di Kailasa, che hanno lungamente giustificato la sua inclusione in programmi sul tema degli antichi alieni ed altre elucubrazioni sui misteri inspiegabili dell’Universo. A partire dalla strana rete di piccole gallerie, semplicemente troppo strette per contenere un essere umano, scavate tutto attorno all’edificio e le altre grotte di Ellora, che secondo alcuni potrebbero condurre a una misteriosa e mai trovata città sotterranea. Angusti cunicoli ricavati, si ritiene, tramite l’impiego del passaggio dell’acqua potenzialmente coadiuvata da additivi appositamente corrosivi, sebbene resti inspiegabile l’effettiva funzione ricercata da un simile e imponente dedalo nascosto. Forse l’invito a visitare il tempio riservato ad un possibile popolo di gnomi o altre creature vagamente antropomorfe dalle dimensioni particolarmente compatte? Di sicuro il ben noto alieno grigio, con la sua grande testa e gli occhi sporgenti, avrebbe avuto più di qualche difficoltà nel transitare attraverso quel labirinto.
Domande a cui molti hanno tentato di rispondere, soprattutto dopo l’inclusione a partire dal 1983 dell’intero complesso di Ellora nella lista dei siti patrimonio dell’UNESCO. Portando sotto i riflettori internazionali l’esistenza di un luogo tanto notevole ed al tempo stesso trascurato dal senso comune occidentale, a discapito di altre tipologie di costruzioni maggiormente rappresentative del concetto prototipico di cattedrale. Sebbene non fosse per complessità, altezza ed imponenza, in alcun modo meno spettacolare di quest’ultima. E di certo assai più raro all’epoca antichissima ed ancora nebulosa del suo probabile completamento.

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