Quando si considera lo stile di guida e lo stato d’animo, per non dire il modo in cui si guardano le curve, implicati da un particolare approccio veicolare agli spostamenti, non esistono probabilmente estremi più distanti che le due e le dodici ruote. Corrispondenti, le prime, al tipico implemento molto popolare anche in tempi di pace, con l’aggiunta di un motore alla versione più pesante di una bicicletta, meno i pedali; ed il secondo al caro panzer, corazzato sfondatore delle linee nemiche, oggetto di manovra ed ottima risorsa tattica della Wehrmacht, durante molte delle sue campagne condotte prima e dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. E chi si mette dentro i panni del pilota, volta per volta, deve necessariamente riadattare i limiti delle sue aspettative, all’uno o all’altro caso, sulla base di capacità o prospettive ben diverse. Anche per questo fu inventata, in tempi soltanto lievemente sospetti, l’unione concettuale delle due cose, ovvero equivalenza veicolare di quello che potremmo definire un centauro delle valli, o una sirena dei mari. Sd.Kfz. 2 (Sonderkraftfahrzeug: veicolo speciale) o Kettenkrad (letteralmente “moto cingolata”) era una soluzione pratica a una grande quantità di problemi: spostare fino a due passeggeri, in aggiunta al guidatore, da una zona all’altra del fronte di battaglia, trainare pezzi d’artiglieria o aerei, consegnare bagagli o svolgere bobine di cavi. La sua popolarità, tuttavia, non avrebbe raggiunto l’apice fino all’operazione Barbarossa del 1941, quando i tedeschi s’inoltrarono attraverso il fangoso territorio della Russia coi loro mezzi, armi e bagagli, scoprendo quanto poco fosse nei fatti utilizzabile su tali superfici la moto con sidecar BMW R75, principale veicolo leggero da loro impiegato sui diversi fronti di battaglia. Ecco allora che i soldati Schmidt, Schulz, Koch o Bauer afferravano saldamente il rigido manubrio, riuscendo finalmente a trovarsi lungo i diversi punti della sovra-estesa catena di rifornimento militare della Germania.
La (o il) Kettenkrad costituiva, nei fatti, l’ottima espressione di un bisogno percepito da molte nazioni coéve, quello di un veicolo capace di essere impiegato attraverso le più diverse situazioni militari, un po’ come la Jeep dell’esercito americano. Sebbene fosse, rispetto a quest’ultima, sensibilmente più costosa e difficile da mantenere in condizioni operative. Questo perché il tipo di trasmissione e cingoli impiegati, l’onnipresente Schachtellaufwerk o sistema delle ruote sovrapposte era già sufficientemente complesso ancor prima di considerare il cingolo tenuto assieme da una lunga serie di cuscinetti a rullini, ciascuno chiuso in una capsula e da lubrificare individualmente, pena progressiva cessazione del funzionamento veicolare nel suo complesso. Benché la presenza di una ruota anteriore montata su una forcella a parallelogramma potesse costituire essa stessa un significativo vantaggio, capace di rendere più istintivo l’impiego del mezzo aumentandone nel contempo stabilità e agilità di sterzata. Dal che deriva la ragionevole questione di come, effettivamente, tale approccio relativamente poco significativo all’interfaccia di controllo umana potesse influenzare in qualsivoglia modo la direzione di spostamento di un qualcosa che pesava, tutto considerato, circa una tonnellata e mezzo esclusi i passeggeri. Ed è proprio in questo che possiamo trovare il genio fondamentale della compagnia costruttrice, la NSU Motorenwerke di Neckarsulm, vicino Stoccarda: poiché nel momento in cui si esercita pressione contro il suddetto manubrio, lungi da limitarsi a operare su di esso, il pilota mediante un complesso sistema idraulico interagisce con il sofisticato differenziale della moto/rimorchiatore, capace di arrestare l’uno o l’altro cingolo esattamente come avviene nella maggior parte degli altri mezzi cingolati. Verso l’ottimo e auspicabile raggiungimento della meta originariamente prefissata…
Sull’effettivo inventore di un simile approccio, immediatamente comprensibile, alla guida e il controllo di quello che nei fatti poteva essere essenzialmente definito un trattore cingolato, basti affermare che le opinioni differiscono, tra le tre diverse figure chiave del dipartimento ricerca e sviluppo della NSU, Ewald Praxl, Ernst Schmidt ed Ernst Kniepkamp, che potrebbero del resto aver coerentemente contribuito al progetto con la finalità di rispondere a un’esigenza profondamente sentita dallo stato maggiore di Hitler, che si preparava alla mobilitazione ormai da tempo in quell’anno fatidico del 1939. Dimostrata quindi la sua efficienza in un ampio ventaglio di situazioni, la Kettenkrad venne prodotta in quantità progressivamente maggiori fino al raggiungimento degli oltre 8.000 esemplari verso il termine della guerra ed oltre, quando con un permesso speciale da parte dei paesi vincitori del conflitto lo strumento originariamente militare poté essere adattato ad esigenze per lo più agricole o relative ad altre attività di ambito civile. Un po’ come la sopracitata Jeep sebbene per un periodo più limitato, inoltre, la moto tedesca riuscì ad essere adottata all’estero in funzione delle sue ottime prestazioni nel fuoristrada, con la produzione di un particolare trattore da parte della francese Babiole, la cui versione prodotta in serie prevedeva un’inversione del senso di marcia e la rimozione della ruota originariamente anteriore, affinché potesse essere guidato come un normale implemento agricolo cingolato. Da un’analisi più approfondita delle sue caratteristiche, del resto, la Sd.Kfz. 2 dimostra una precisione e attenzione ai dettagli che più di ogni altro aspetto appaiono estremamente tedesche, grazie all’evidente attenzione di non lasciare alcunché al caso. Dotata di un motore a quattro cilindri in linea prodotto dalla compagnia automobilistica Opel, lo stesso della vettura Olympia, essa poteva spingersi fino alla velocità di 70 Km/h, sebbene tale vetta fosse consigliabile soltanto su strade asfaltate e ragionevolmente prive di asperità, dato il baricentro piuttosto alto del veicolo. I serbatoi di benzina erano due, ai lati del pilota, e dotati di pescaggio intelligentemente in opposizione, affinché la più piccola quantità di benzina potesse raggiungere il carburatore in salita o discesa, mentre costui sedeva su un sellino attentamente ammortizzato, capace di ridurre sensibilmente l’impatto di eventuali buche. Tra gli optional forniti su richiesta, un piccolo rimorchio capace di trasportare fino a 350 Kg di peso addizionali. A completare il comfort di guida, erano presenti degli appoggi per le ginocchia contro la paratia frontale della postazione, mentre un eccellente sistema d’instradamento dei gas di scarico riusciva ad utilizzarli per riscaldare la parte inferiore del corpo, possibilmente mediante l’impiego ausiliario di una copertura capace d’isolare completamente dalle intemperie. Il Kettenkrad, non fornito in una versione dotato di armamento sebbene dotato di diversi livelli di corazzatura in base al teatro d’impiego, fu in seguito prodotto in alcune varianti alquanto rare, tra cui la 2/1 e la 2/2 in cui lo spazio posteriore per i passeggeri era stato sostituito dal sostegno per bobine di cavi rispettivamente feldfernkabel e feldkabel, usati per la comunicazione durante le operazioni sul campo. Degni di nota inoltre i progetti per almeno due versioni di dimensioni superiori, dotate di un maggior numero di ruote e motore più potente, effettivamente mai entrate in produzione.
Stravagante, insolita, eclettica soluzione a un problema piuttosto comune: caratteristiche che ritroviamo spesso, nelle contrapposte dottrine ingegneristiche dei periodi di guerra. Quando la sopportazione di uno o più difetti di funzionamento (in questo caso, la difficoltà di manutenzione) può essere immediatamente giustificata dal bisogno di assolvere a particolari esigenze pratiche, più o meno transitorie attraverso le diverse situazioni militari.
Eppure come ogni altra volta in cui un singolare veicolo emerge dalla mente dei suoi progettisti, la Kettenkrad può essere considerata l’effettiva espressione materiale di quanto essere stravaganti, in talune circostanze, significhi anche risultare preparati. Ad ogni tipo di situazione come incidentalmente dimostrato, attraverso innumerevoli peripezie, nel popolare exploit delle due protagoniste del manga del 2014 dell’autore Tsukumizu, Shoujo Shuumatsu Ryokou (l’ultimo viaggio delle ragazze) in cui l’anacronistico mezzo di trasporto viene condotto dalle titolari soldatesse attraverso le rovine di una tentacolare metropoli, distrutta in un qualche misterioso & dimenticato conflitto finale. Poiché quando ogni cosa sembra essere perduta, è soltanto l’ingegno umano a poterci salvare. Che sia quello posseduto da noi stessi, oppure ereditato, in maniera estremamente diretta, dai nostri ansiosi predecessori.