L’avanzata tedesca nei territori polacchi oggetto del trattato di Versailles alla fine del 1939 viene generalmente riassunta nei programmi scolastici come “rapida e priva di resistenza”. Un conflitto della durata di un mese in cui la superiorità tattica e operativa della Wehrmacht si mostrò per la prima volta sul palcoscenico internazionale, rivelando a tutti la straordinaria portata del rinnovato problema che stava per profilarsi nel territorio europeo. Qualora s’intenda approfondire maggiormente la questione, tuttavia, sarà possibile avvicinarsi a una serie di battaglie lunga un mese in cui non fu certo la mancanza di capacità o il morale, a impedire un capovolgimento sul nascere di una delle più grandi tragedie della storia umana. Bensì un’evidente quanto incolmabile superiorità tecnologica, in grado di cambiare sensibilmente le caratteristiche di quella che potesse definirsi un’efficiente macchina da guerra e rendendo istantaneamente obsoleta la maggior parte di quanto era stato considerato fino a quel momento l’assoluto stato dell’arte. Contrariamente a quanto siamo stati spesso indotti a pensare, infatti, il comando generale di Varsavia disponeva di un esercito ben organizzato e capace di schierare, tra le sue risorse maggiormente significative, una quantità di esattamente 870 unità corazzate, da contrapporre ai circa 2700 panzer inviati oltre i confini dalla Germania. Ciascuna relativamente moderna dal punto di vista della corazzatura ed armamento, capace di muoversi ad un ritmo sostenuto e dotata di un armamento capace d’impensierire qualsiasi reparto di fanteria meccanizzato… Ma il TKS, compatto tankette di 2,5 tonnellate, era figlio di una concezione di guerra ormai vecchia di circa un decennio. In cui l’approccio metodologico all’avanzata sotto il fuoco nemico partiva dal presupposto secondo cui fosse possibile aggirare l’avversario dotato di un arco di fuoco inferiore ai 360 gradi offerti dalla cognizione della torretta motorizzata, l’idea che tanto profondamente aveva rivoluzionato il concetto stesso di conflitto tra veicoli sul campo di battaglia moderno. E con l’obiettivo principale di accompagnare i principali mezzi pesanti di uno schieramento oltre le trincee, coprendo i loro fianchi mentre i resto appiedato dell’armata s’industriava per superare l’ostacolo e scardinare ogni difesa posta in essere dalla controparte. Sulla base di un progetto inglese risalente al 1927, prodotto dalla Vickers-Armstrong inizialmente per l’esportazione nei principali paesi europei, che tanto aveva fatto per modificare le regole di un futuro conflitto, ormai paventato a più livelli tra i confini delle nazioni in corsa verso l’ammodernamento dei loro sistemi di combattimento. Il suo nome scelto, a quell’epoca, era Carden Loyd dall’interpretazione tecnologica che era stata offerta dall’omonima compagnia di trattori, sulla base di un’idea dell’ingegnere e maggiore militare Giffard LeQuesne Martel. Sebbene successivamente all’acquisto di un primo lotto di 10 unità, l’esercito polacco avesse immediatamente deciso di apportare una serie significativa di miglioramenti. Così piuttosto che produrre localmente su licenza il veicolo, venne coinvolta l’azienda PZI ed il tenente Stanisław Marczewski, che disegnò una versione riveduta e corretta del sistema di guida e sospensione, con nuovi rulli tendi-cingolo e un’ulteriore ruota motrice posteriore. In qualità di armamento venne scelta una mitragliatrice Hotchkiss wz. 25 o 30 da 7,92 mm, mentre la corazza frontale venne ispessita fino a 10 mm, incrementando sensibilmente i propositi di sopravvivenza dell’equipaggio composto da sole due persone. Rinominato in tale accezione con l’acronimo TK e numerato in serie successive da 1 a 3, il carretto veniva quindi inzialmente classificato sulla base del motore d’adozione: un Ford Type A da 22,5 cavalli per il primo, il Type B da 40 per il secondo. Mentre la terza versione, che mantenne quest’ultimo impianto, vantava ulteriori perfezionamenti al sistema di trasmissione ed una visibilità migliore per il comandante/artigliere. Verso la prima metà del 1933, tuttavia, il TK-3 venne sottoposto ad un ulteriore progetto di miglioramento, che avrebbe condotto ben prima dello scoppio della guerra allo schieramento della sua versione profondamente rivisitata TKS, dotata di motore Fiat 122 AC a 6 cilindri (potenza 42 cavalli) e giungendo al veicolo che nei fatti, si sarebbe contrapposto all’avanzata inarrestabile dei tedeschi.
Molti furono anche i progetti d’impiego alternativi, tra cui l’ingegnoso telaio su ruote, sul quale il veicolo poteva essere montato previa rimozione dei cingoli e collegamento diretto delle ruote al sistema di trasmissione, incrementando la mobilità e trasformando il piccolo carro armato in una sorta di autocarro. La cui utilità, ancora una volta, veniva sensibilmente ridotta dall’assenza di una torretta rotante. Una delle versioni più ambiziose, nel frattempo, venne dedicata al tentativo di risolvere tale annoso problema, con il TKW destinato tuttavia a rivelarsi lento, opprimente per l’equipaggio e fin troppo incline a disastrosi capovolgimenti.
Durante il suo impiego in una situazione di conflitto effettivo, la tankette dalla forma tradizionale si sarebbe rivelata nel frattempo un concetto non del tutto privo d’utilità. Rapida, facile da mimetizzare e soprattutto affidabile, poteva essere utilizzata con successo per compiere imboscate e accerchiare un nemico impreparato, soprattutto se utilizzata all’interno di un piano di guerriglia sufficientemente ben organizzato. I TKS disponibili, quindi, vennero organizzati in venticinque formazioni distribuite tra le diverse armate polacche, con la relativa sicurezza di riuscire a contrapporre una resistenza ragionevole all’ancora non acclarata efficacia dell’ondata d’assalto nello stile del Blitzkrieg, l’attacco lampo privo di compromessi operativi. Il problema principale, tuttavia, restavano gli armamenti: concepito primariamente come piattaforma di supporto per la fanteria, c’era ben poco che un mezzo dotato di mitragliatrice potesse fare per fermare l’avanzata di un carro armato appartenente alle serie Panzer III e IV, del tipo destinato a restare ragionevolmente efficace per una buona metà dell’intera seconda guerra mondiale. Ciononostante, un ragionevole grado di successo sarebbe stato possibile con un’adozione su larga scala delle unità sperimentali dotate di cannone da 20 mm Solothurn S-18/100, precedentemente testato con risultati insoddisfacenti nella versione TK-3 e considerato un potenziale approccio valido a trasformare la tankette in veicolo anticarro. Particolarmente significativa, a tal proposito, l’esperienza dello studente d’architettura Edmund Roman Orlik (1918-1982) che arruolato all’inizio del conflitto venne posto al comando di uno di questi veicoli, riportando una serie di successi che avrebbero dimostrato al nemico la praticabilità effettiva di una simile idea. Poco dopo la grande battaglia fallimentare del fiume Bzura all’inzio del settembre 1939, durante cui le forze polacche si trovarono a dover contrapporre la cavalleria tradizionale (con gli zoccoli e tutto il resto) contro l’implacabile avversario tedesco, il suo veicolo si rivelò finalmente utile durante la battaglia della foresta di Kampinoski del 18 dello stesso mese, nella quale tre TKS di cui armati di sole mitragliatrici sorpresero un plotone tedesco, riuscendo a distruggere due Panzer 35 del modello Cecoslovacco e un Panzer IV Ausf. B, all’interno del quale si trovava niente meno che Viktor IV Albrecht Johannes von Ratibor, il ventitreenne principe di Silesia. Il giorno successivo, durante la battaglia di Sieraków il suo TKS prese parte nuovamente al conflitto come trattore d’artiglieria di un cannone anticarro, probabilmente un Bofors wz. 36 da 37 mm. Arma mediante il quale, come comandante d’unità, avrebbe conseguito ulteriori 7 vittorie e catturato due carristi tedeschi, anche aiutato dalla compattezza del veicolo, che lo rendeva particolarmente difficile da inquadrare nel mirino. I suddetti prigionieri si narra in un popolare aneddoto abbiano infatti esclamato “Dannazione! Come è possibile colpire uno scarafaggio…”
Successivamente, causa l’ulteriore cocente sconfitta del suo schieramento, Orlik si ritirò col resto dell’esercito a Varsavia, dove avrebbe finito per unirsi alla Resistenza. Ruolo nel quale, per sua fortuna, riuscì a sopravvivere al periodo di occupazione, iniziando dopo la guerra una lunga e riuscita carriera nel campo dell’architettura.
Il semplice fatto che il TKS potesse conseguire un qualche grado di successo non dovrebbe quindi sorprenderci; molte sono le variabili di un conflitto, tra cui l’intraprendenza e l’imprevedibilità della componente umana, nonché le circostanze vigenti in ogni possibile situazione d’ingaggio. La stessa legge dei grandi numeri, tuttavia, dimostra come la capacità di disporre di un impianto bellico superiore incrementi sensibilmente le possibilità di vittoria dell’uno o dell’altro schieramento.
Lo stesso progetto originario del Carden Loyd, incidentalmente, era stato acquisito e copiato anche dall’esercito italiano, che lo impiegò al fine di costruire l’L3-35 e successivamente l’ancor più celebre CV35 (“carro veloce”) destinato a giocare un ruolo marginale benché tutt’altro che inutile durante le campagne di conquista africane. Prima che la marea crescente dei carri armati inglesi sempre più grossi, corazzati e potenti, ponesse irrimediabilmente fine all’epoca delle tankette. Che nel mondo intangibile della fantasia avrebbero continuato a rappresentare l’ideale di una guerra molto più mobile e versatile, in cui l’esigenza di portare ogni cosa alle sue ultime conseguenze diventava secondaria, rispetto ad un certo grado d’eleganze ed agilità operativa. Destinata ad infrangersi, rovinosamente, contro l’energia inarrestabile del grande fiume della storia.