L’inumana precisione del cannone meridiana

Scorrono le nubi, si agitano i rami. Squittiscono tra i passeri le ali di cicala. Siamo all’interno del giardino formale alla francese, un prodotto dell’ingegneria e dell’arte, dove tutto avviene per una specifica ragione. Tra siepi esatte come una scacchiera, statue, monumenti e un piedistallo di granito. Sopra cui sfolgora, colpito dalla luce che proviene perpendicolare, un qualcosa di metallico, stranamente in attesa. Quando una sorta di segnale senza volto, assolutamente limpido nel mezzo di cotanta precisione, non avvia il processo chiaramente definito e un COLPO dall’estrema e roboante POTENZA non riecheggia tra il silenzio delle circostanze. Uno sbuffo di fumo di dirada dall’oggetto minaccioso, portando via con se ogni margine residuo d’incertezza. Provate pure a ricercare chi ha sparato, con il piccolo cannone. Qui nei pressi, non c’è un’anima smarrita. Son già tutti avviati verso il tavolo del mezzogiorno, consapevoli dell’ora di pranzo.
Il più grande dono, e dispetto al tempo stesso, che l’uomo ha fatto a se stesso è stato lo scorrere delle 24 ore. Uno strumento logico per la scansione delle giornate, in se stesse entità soggette al solipsismo e per questo diseguali. È forse la stessa cosa, svegliarsi una mattina e andare a scuola, o a lavorare, piuttosto che doversi preoccupare solamente, la domenica, di praticare a fondo l’arte del riposo? Mi sembra ovvio che nel primo caso, lo spazio che intercorre tra l’alba e il tramonto dovrebbe durare appena un attimo. Mentre nel secondo, una generazione intera! Eppure, poiché c’è sempre questo Eppure, la scienza matematica si è fatta sua premura di mostrarci come, se vogliamo aver sempre lo stesso numero di giorni in una settimana, settimane in una decade, secoli all’interno di un millennio (e lo vogliamo, chissà poi perché) la nostra unica speranza è far di conto col trascorrere dei singoli momenti, una sequenza inenarrabile e del tutto priva di un appiglio. Come potevano mai fare i nostri antenati, dunque, per non scivolare immersi nei granelli di una simile clessidra continuamente rigirata, privi di cristalli liquidi o le oscillazioni atomiche sul meridiano zero… È presto detto. Fino al XV secolo, almeno, c’era un solo metodo affidabile per misurare la distanza dagli alti muri messicani posti al termine e all’inizio delle ore diurne: un palo nel terreno, oppure orizzontale a gettito da una parete, che potesse gettare la sua ombra sopra un qualche tipo di riferimento. Il che, in effetti, aveva una sua chiara utilità. Presentando nel contempo un’ampia serie di problemi. In primo luogo, le impercettibili variazioni della rotazione e dell’asse terrestre, discontinue come qualsivoglia processo naturale, generavano un’imprecisione di circa 15 minuti, come esemplificato dalla cosiddetta equazione del tempo (Edt=tempo solare medio – tempo solare vero). Inoltre, l’avrete certamente notato, un dì d’inverno non ha la stessa durata che in primavera o piena estate. E questo, inevitabilmente, rendeva alquanto problematico impiegare uno schema di calcolo invariabile annualmente, benché esistessero diverse soluzioni, come quadranti multipli o gnomoni (le asticelle) che potevano essere spostati tra i diversi buchi. Ma sempre e comunque, questo qui è il nesso principale, dalla mano imperfetta dell’uomo.
C’era, tuttavia, ci tengo a farvelo notare, un singolo concetto uguale in ogni giorno di un singolo anno, e quello a venire verso all’indomani, fin dall’epoca della civiltà Egizia, quando i primi scribi presero a impiegare la bottiglia con la sabbia dentro, con il probabile scopo di farsi pagare a ore. Quel momento straordinariamente significativo, in cui l’ora del sorgere della luce (per inferenza, del risveglio) e quella della sua scomparsa (ovvero l’ora di andare a dormire) sono esattamente equidistanti. Il fondamentale mezzogiorno, tanto spesso scandito, nei porti e presso le caserme, dallo sparo a salve di un’utile arma, che sincronizzasse in qualche modo il trascorrere delle giornate soggettive. E che a partire dall’invenzione dei primi, inesatti orologi, avrebbe permesso di creare la concordia tra le moltitudini del ticchettante caos. C’era quindi quel momento, nella vita assai noiosa di un qualcuno, in cui l’ora esatta della meridiana raggiungeva il punto culmine, giungendo all’attimo di prendere la polvere, lo scovolino, caricare il tutto e accendere la miccia. Ma sapete che vi dico? L’errore è umanamente imprescindibile. Noi non siamo degli automi. A chiunque dovesse pensare che quell’uomo, giorno dopo giorno, possa compiere la sua missione con la cadenza semi-esatta concessagli dallo strumento già piuttosto inadeguato… Direi, beh: non avete mai provato la perfetta alternativa. Lasciate che vi parli del cannone/meridiana…

L’effettiva datazione della torre di Kanonkullen non è facilmente reperibile online. Visto l’essenziale stile architettonico e il tipo di tecnologia impiegata, ad ogni modo, non sarebbe del tutto azzardato ipotizzare che risalga al XVI-XVII secolo.

Ad Åtvidaberg, nella regione svedese meridionale di Östergötland, in cima alla collina di Kanonkullen (un nome, un programma!) c’è una torre di mattoni rossi che ha una dote assai particolare. Quella di sparare il colpo di riferimento, ogni giorno, esattamente a mezzogiorno, senza l’ombra di una mano coscienziosa. Benché in effetti, a guardare i video che ci sono online, parrebbe che un addetto alla manutenzione si occupi di controllare, volta per volta, che non ci siano bambini/cani/piccioni o altre cose viventi dinnanzi alla bocca da fuoco prima di permettere il decorso titolare. Del resto, anche se caricato a salve, uno sparo può fare pur sempre fare male. Ma il punto principale resta che, ecco… Se soltanto il primo cittadino firmasse le relative carte, se il popolo in effetti lo volesse, l’antica arma resterebbe ancora oggi in grado di far fuoco autonomamente, al sopraggiungere del mezzogiorno esatto. Le dimensioni maggiorate di QUESTO cannone, poi, all’apparenza adatto a fare fuori un elefante, avrebbero concesso la capacità auditiva di scansionare il tempo a una frangia molto più corposa di abitanti.
La ragione di un tale rapporto causa/effetto, incidentalmente la stessa alla base del funzionamento del modellino mostrato in apertura, è alquanto semplice. Molti di voi l’avranno già capita. Ciascun cannone-meridiana, questo attrezzo dei vecchi tempi che fu spesso un arredo molto amato dei giardini di sovrani e governanti, si compone di tre parti: il quadrante con lo gnomone, l’arma da fuoco ed una lente d’ingrandimento. Quest’ultima dunque, montata su un supporto orientabile, doveva essere periodicamente orientata sulla base delle coordinate geografiche la prima volta, quindi spostata con il proseguire del calendario. E se il tutto fosse stato disposto correttamente, ogni volta in cui il sole cadeva perpendicolarmente su di esso, la luce solare concentrata in quel singolo punto avrebbe dato fuoco alle polveri all’interno di una stretta fessura del pezzo, facendogli far fuoco con un’esattezza precedentemente sconosciuta. Siamo di fronte, in parole povere, al concetto assai moderno di una sveglia. Che fosse in grado di “suonare” tuttavia, soltanto all’ora esatta del mezzogiorno. Il che, lasciatemelo dire, in assenza di orologi veramente affidabili, non era affatto cosa da poco. I cannoni del mezzogiorno, come venivano talvolta chiamati, diventarono quindi un accessorio molto stimato sulle navi di molti potentati europei, dove per funzionare richiedevano di essere montati su una piattaforma girevole, affinché fossero orientati sempre a nord, per svolgere la loro mansione prefissata. Simili arnesi diventarono abbastanza popolari, negli anni, da giustificare anche una trattazione offerta da niente meno che Benjamin Franklin, con la sua mente da polimata ultra-Rinascimentale, che nell’opera letteraria Poor Richard’s Almanac, datata al 1757, descrisse forse l’implementazione teorica più ineccepibile del sistema dei cannoni-meridiana. “Prendete uno spazio vuoto nel vostro terreno, disegnatevi una meridiana ed iniziate a disporre i vostri cannoni lungo le linee delle ore. Mettetene uno sulla prima, due sulla seconda e così via…” Stiamo parlando, tanto per essere chiari, di 78 piccoli implementi d’assassinio “Quindi montatevi sopra 12 lenti, affinché il Sole, inviando la sua luce, possa farli sparare in sequenza, indicando chiaramente il trascorrere del tempo.” Non è perfettamente chiaro come il rinomato scienziato e filosofo intendesse evitare che ciascuna serie di cannoni facesse fuoco in contemporanea, bensì in scansione successiva, ma egli aggiunge: “L’unica spesa sarà la polvere, poiché le armi, se soggette ad appropriata manutenzione, potranno durare anche 100 anni.” E soprattutto: “Nei giorni nuvolosi, i cannoni non faranno fuoco, permettendovi di risparmiare.” Davvero, davvero una fantastica idea!

Nel giardino del Palais-Royal a Parigi è presente un celebre cannone-meridiana, al quale viene ancora permesso occasionalmente di sparare, recante sulla base la dicitura in latino Horas non numero nibi serenas (le ore non contano se non sono serene). Il luogo viene impiegato come scena del delitto in una missione del videogioco Assassin’s Creed. Via

L’analogia, a questo punto, direi che è chiara: l’uomo è un essere davvero terrificante. Poiché ogni sera muore, quando si addormenta, e la mattina muore di nuovo, lasciando dietro di se il mondo parallelo dei sogni. Il trascorrere del tempo, in se stesso, è un concetto talmente complesso ed aleatorio che per quanto ne sappiamo, non c’è una singola specie animale che sia in grado di concepirlo. Pensate ad esempio ai nostri cani che s’intristiscono o…I gatti (si, si, meow) che ogni volta che vedono il padrone andare via, parrebbero assolutamente pronti a credere che egli sia scomparso per l’intera eternità a venire. Nulla è crudele come il sopraggiungere del nulla. E non c’è altra risorsa, contro di esso, che essere del tutto coscienti del momento della sua fine.
In questa concezione del mondo, i rintocchi dell’orologio devono sembrare come altrettanti spari nella notte, che distruggono spietatamente un’altra sequenza di preziosi minuti, ormai persi alla coscienza e alle ragioni del mondo stesso. Avete presente la rappresentazione offerta dal mondo classico dell’orribile dio-titano Cronos? Un gigante malefico, divoratore di ogni cosa che cammini, parli o scriva poemi epici sulle gesta degli eroi in Asia Minore. Contro una simile forza inesorabile, non è possibile impiegare alcun tipo di arma. L’unica speranza a nostra disposizione, dunque, è scandire il segno del suo passaggio. Si, serve ammetterlo: il cannone rappresenta una metafora adeguata. Ora possiamo soltanto sperare che a nessuno venga, prima o poi, l’idea di interpretare in modo letterale il concetto di “Orologio Atomico”. Quello si, che sarebbe un bel problema…

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