Il ponte olandese creato tramite l’impiego di un sistema robotico di stampa in 3D

L’individuo che cammina lungo i canali di Amsterdam ha molte cose verso cui focalizzare la propria attenzione. Le ordinate file di case tradizionali dalle finestre con infissi bianchi, con forma slanciata, vista sul canale e tetto spiovente. Le piste ciclabili il cui traffico umano sostituisce almeno in parte quello, rumoroso e maleodorante, di migliaia di autoveicoli in viaggio verso destinazioni non sufficientemente distanti. Per non parlare delle tipiche mete del turismo, dei cosiddetti “coffee” shop ed il quartiere a luci rosse De Wallen, sulle cui vetrine convergono gli occhi dei curiosi che talvolta scelgono di diventare dei clienti. Ed è proprio nei dintorni di un simile luogo ragionevolmente unico al mondo, sopra lo spazio riflettente del canale Oudezijds Achterburgwal, che quegli stessi sguardi avranno da oggi l’occasione d’incontrare la forma di una struttura estremamente inaspettata, degna di figurare a pieno titolo all’interno del design fantastico di un mondo videoludico del tutto digitalizzato: trattasi di un ponte, creato grazie all’uso di un singolo tipo di materiale: l’acciaio. La cui struttura quasi aereodinamica, nonostante questo, sembra fluire in modo naturalistico neanche si trattasse di una pianta. Benché risulti essere nei fatti la creazione diretta di quel massimo pilastro dell’industria, creature robotiche massimamente asservite alla volontà e visione pratica dell’uomo. Che non sarebbero neanche state poi così particolari, trattandosi delle tipiche braccia robotiche impiegate, ad esempio, nell’assemblaggio dei sopracitati autoveicoli, se non fosse per l’estrema finalità evidente che è riuscita a realizzarsi tramite movenze precise, frutto di una programmazione del tutto priva di precedenti. E si tratta giustamente di un record del mondo, o per meglio dire la coccarda di chi riesce ad arrivare per primo, attribuita nelle cronache dei nostri tempi a niente meno che l’azienda locale MX3D, famosa per la creazione e messa in opera di un sistema produttivo assolutamente particolare. Facente affidamento su quel software proprietario che viene chiamato sul sito della compagnia Metal XL, non dissimile nell’interfaccia a qualsiasi altro tipo di strumento per la modellazione virtuale di un oggetto in puro 3D. Ma capace d’istruire, al termine della realizzazione a schermo, macchine che diano il proprio contributo tangibile al progetto, invero percorribile, da un numero contemporaneo d’individui che potremmo definire superiore a quello di un’intera piccola piazza cittadina.
Ed è un tipo di ponte, quello che possiamo qui riuscire ad ammirare, del tutto in grado di distinguersi dall’aspetto tipico di una simile infrastruttura urbana, visto l’alto grado di sofisticazione organica dei suoi diversi componenti, ciascuno l’apparente risultanza di precise scelte artistiche da parte dell’artista creatore, quel Joris Laarman (nascita: 1979) già nome principale di mostre internazionali presso luoghi come il MoMA di New York, il V&A di Londra ed il Centre Pompidou di Parigi. Un uomo, una visione, validi strumenti utili per dargli forma. Tridente niente meno che essenziale all’epoca contemporanea dei processi, attraverso cui la semplice ripetizione di una serie di gesti non risulta più essere davvero abbastanza. Ed ogni cosa sembra succedere per via di una ragione, in un rapporto reiterato di cause ed effetti, fin troppo slegati dal bisogno di riuscire a soddisfare le necessità del quotidiano. Il ponte della MX3D del resto, così sorprendentemente privo di un appellativo ufficiale (quasi come se la sua mera esistenza fosse sufficientemente atipica da definirne l’esistenza) lungi dall’essere un’opera del tutto scevra di funzioni addizionali all’esistenza, risulta inoltre caratterizzato da una vera e propria rete sensoriale di sorveglianza, utile alla monitorizzazione in tempo reale delle forze e sollecitazioni attraverso il procedere dei giorni. Al fine di perfezionare ulteriormente, per quanto possibile, le scelte progettuali messe in atto fin dal primo momento della sua ormai remota concezione…

La creazione del ponte in 3D è stato un processo graduale e complesso, con molti ostacoli capace di allungarne i tempi di consegna. Le metodologie create da hoc, tuttavia, saranno pienamente applicabili alle realizzazioni future.

L’idea di creare un ponte tramite le metodologie ultramoderne che accomunano Laarman e la MX3D può essere quindi fatta risalire fino al remoto 2015, da una sinergia nata dall’incontro tra l’azienda ed il suo partner quasi decennale Autodesk presso l’aeroporto di San Francisco, la cui collaborazione avrebbe permesso di creare un video programmatico entro il mese di ottobre di quell’anno. Capace di attirare un tale numero di sguardi su scala internazionale, da cementare la posizione del CEO Bert van der Els ai massimi livelli di quest’ambito ancora largamente inesplorato, di adattare i sistemi di prototipazione grazie all’uso dei computer verso linee guida in grado di assistere direttamente le persone. Segue quindi un anno di esperimenti, durante cui le personalità coinvolte scoprono qualcosa d’inaspettato: la maniera in cui, così come le automobili a guida automatica potrebbero guidare già senza problemi, se soltanto nessuno impugnasse più da sè il volante, una creazione architettonica “perfetta” mal potrà riuscire ad adattarsi ai suoi punti d’appoggio pre-esistenti, ivi incluso il ciglio degli antichi canali della città di Amsterdam. Da qui l’idea, successivamente destinata a diventare essenziale, di procedere tramite l’applicazione di un sistema parametrico, ovvero guidato dall’intelligenza artificiale sulla base del risultato desiderato inserito all’interno del programma, grazie ad un processo di perfezionamento ingegneristico destinato a durare un periodo di circa 18 mesi.
Entro il 2017, nei vasti ambienti usati come fabbriche dalla compagnia, i primi tentativi di produzione in metallo iniziano ad essere eseguiti lungo l’asse orizzontale, benché continui a sussistere un problema di fondo: come permettere alle braccia robotiche di raggiungere i punti più elevati del ponte? La creazione si svolge tramite il ben collaudato metodo della sinterizzazione, un processo attraverso cui polveri semi-dense vengono proiettate in base allo schema a controllo numerico, mentre una testina incandescente interviene per saldarle in posizione, lavorando uno strato alla volta. Da qui l’idea, man mano che il lavoro procede, di far sollevare letteralmente i macchinari piuttosto che abbassare i componenti, contrariamente a quanto avviene nella stampa dell’acciaio di tipo convenzionale. Ciò richiede inevitabilmente un altro anno di lavoro, fino al 2018 in cui l’oggetto appare già ragionevolmente completo in ogni sua parte, ma ancora ben lontano dall’opportunità di essere posizionato nel suo luogo d’utilizzo futuro. Ulteriori tre anni sarebbero quindi stati necessari, per la probabile acquisizione dei permessi e via libera necessari, prima che l’opera potesse essere calata in posizione tramite l’impiego di una grande gru, poche ore prima di essere inaugurata con gran rilievo mediatico il 15 luglio dalla sua prima utilizzatrice, niente meno che la regina Máxima, sovrana d’Olanda.
Dal punto di vista estetico e grazie alla visione dell’artista che l’ha disegnato, il ponte sembra dunque scegliere uno stile marcatamente Art Nouveau/Liberty, benché asservito a mere considerazioni utili a garantirne la solidità ed efficienza strutturale. Vedi il grande numero di fori sui parapetti ad onda, con la probabile utilità di farne diminuire il peso complessivo. Un piano pedonabile creato da un singolo pezzo di metallo, inoltre, dona solidità ulteriore risultando interessante grazie all’uso di una serie linee ottiche che riescono ad alternarne l’impressione prospettica inerente. Il che completa, senz’alcun dubbio, un effetto complessivo che potremmo definire surreale ma pragmatico, misterioso ed al tempo stesso quasi eccessivamente razionale.

Lavorare attraverso sistemi parametrici non significa di certo dimenticare la situazione di partenza. Ed è perciò importante poter fare riferimento, come chiaramente dimostrato dalla MX3D, ad una serie di rilevamenti e misurazioni del tutto prive d’incertezze latenti.

Nello stato dell’India settentrionale di Meghalaya, le tribù locali del popolo dei Khasi costruiscono dei punti di passaggio fluviale mediante l’impiego delle lunghissime radici degli alberi Ficus elastica, contorti e resistenti, che continuano nel frattempo a crescere ed aggrovigliarsi tra di loro. Soltanto l’esperienza frutto di moltissime generazioni, tramandata attraverso una pregevole tradizione orale, permette ai loro creatori di mantenere il passaggio utilizzabile, senza nuocere nel contempo alla continuativa sopravvivenza delle piante.
E non è forse, l’applicazione di metodologie fluide come la stampa 3D ad un’opera di tipo permanente, una perversione post-moderna dello stesso veicolo delle antiche idee? L’instradamento di sistemi versatili, all’interno di strade progettuali attentamente definite. Che possa consentire l’attraversamento del fiume (o canale) senza deviare il corso totalmente imprescindibile delle sue acque, ragionevolmente impenetrabili alla percezione umana. E se qualcuno, poggiando i piedi sopra quel passaggio degno di essere segnato dalle reali scarpe, dovesse risultare troppo inebriato dai divertimenti e sostanze della città notturna per eccellenza, poco importa. Ci penseranno le linee sinuose del sentiero tanto surrealista, a riportarlo paradossalmente lungo il corso della giusta Via.

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